Pietro Salvi-Alessio, nato a Milano nel 1943, fa parte di quei “testimoni bambini” che hanno saputo offrire la propria sofferenza a Dio con la chiara intenzione di voler svolgere un’azione missionaria mirata alla conquista delle anime attraverso la preghiera e il dolore.
A 13 mesi si ammala di distrofia muscolare, un male all’epoca ancora misterioso per la scienza. Medicine disgustose, dolorose iniezioni, cure penosissime, diventano il pane quotidiano del povero bambino per tutta la durata della sua breve vita.
Scriveva il piccolo Pietro in una lettera indirizzata al Beato Luigi Novarese, datata 20 febbraio 1951:
“Io non sono mai triste, ma sono sempre sereno perché offro tutto a Gesù per portargli tante anime; particolarmente offro a Gesù la mia sofferenza per la santificazione dei sacerdoti, l’aumento di sante vocazioni religiose e il ritorno a Gesù di tanti Sacerdoti che si sono allontanati da Lui”.
Parole scritte sei mesi prima di morire a soli 8 anni.
Pietro non ha scelto la sua croce, ma ha accettato semplicemente, generosamente, con amore, quello che la Volontà divina gli presentava.
Con tutto lo slancio del suo cuore, segue Gesù nell’ascesa al Calvario, senza atteggiarsi a piccolo martire, ma vivendo lo spirito di una piccola “vittima di Gesù”; dona e si dona con gioia.
Tra i molti, un lato commovente e bello della vita di questo bambino è il senso di serenità, di letizia crescente che sa non solo mantenere in sé, ma irradiare.
Con la semplicità e quindi la luminosità dovuta alla loro innocenza, i bambini hanno a volte intuizioni profonde: Pietro ha certamente capito che il pensiero eterno di Dio sull’anima sua fu di darle quaggiù una piccola missione corredentrice, per mezzo del dolore offerto con amore.
Lo ha capito a Loreto e subito ha aderito alla volontà del suo Gesù: “Io sono contento così; se Gesù vuol guarirmi va bene, mi farò missionario; ma altrimenti, sono missionario anche così”. Ecco come rispondeva un bimbo di appena tre anni a chi lo spronava a chiedere una grazia per la sua guarigione.
Nonostante la tenera età, Pietro è cosciente della sua specifica vocazione di piccola vittima: non può non provare quindi un amore speciale per Gesù, per la Vittima per eccellenza: Colui che nacque, soffrì e morì d’amore per tutti noi, il Modello divino di tutte le anime desiderose e chiamate a seguirlo nell’immolazione amoroso: Cristo Gesù Crocifisso.
Il piccolo Pietro “Volontario della Sofferenza”
Un giorno, Pietro ascolta alla radio, un sacerdote che parla specificamente agli ammalati, e spiega come sia sorto in Roma un Centro, chiamato dei «Volontari della Sofferenza», che ha lo scopo preciso di valorizzare appieno le sofferenze degli infermi, per rispondere in tal modo alle richieste di « preghiera » e di «penitenza » della Madonna, sia a Lourdes, sia a Fatima.
E ne svolge lo spirito, le finalità, i mezzi, l’organizzazione.
Pietro ascolta entusiasta. Senza conoscere questo Centro, ne vive da tempo il programma, e le parole del sacerdote colpiscono Pietro, tanto che appena la trasmissione è finita, chiede alla zia di voler scrivere da parte sua al Fondatore del Centro – Mons. Luigi Novarese – per dirgli quanto le sue parole lo hanno consolato e infervorato, e per pregarlo d’iscriverlo senz’altro tra i «Volontari della Sofferenza».
La zia, naturalmente, accondiscende volentieri al desiderio del nipotino, e pochi giorni dopo, arriva a Sangiano un primo numero della rivista «L’Ancora», la rivista che il Centro invia ai suoi aderenti.
E da lì a non molto, Pietro riceve anche la pagellina d’iscrizione tra i «Piccoli Volontari della Sofferenza», arricchendo così di grazie la famiglia del Centro.
Da quel giorno, Pietro segue ogni iniziativa, ogni progresso del Centro, legge con interesse la Rivista, ed inizia un’amicizia e corrispondenza con Monsignor Novarese, il Fondatore del Centro: amicizia e corrispondenza che soltanto la morte del piccolo Pietro troncherà, o meglio, muterà di forma, poiché Pietro continua dal Paradiso a pregare, proteggere il Centro Volontari della Sofferenza e ne rimane uno dei fiori più belli, l’angioletto invisibile ma attivo, che addita ai membri, col suo esempio, la bellezza, la fecondità spirituale della loro vita di ammalati.