«E’ morto un santo», così dicevano di Ginetto D’Astore il mattino del 25 aprile 1954 gli abitanti della Borgata di San Paolo fuori le mura. Ventidue anni di vita, ventidue anni di lento, sereno e gioioso martirio. Colpito dal morbo di Lyttel all’età di sei mesi, seppe comprendere fin dall’infanzia la sublime vocazione del dolore e, senza minimamente sentirsi in stato di inferiorità, portò il suo prezioso contributo di spirituale lavoro per la ricostruzione della cristiana società.
Le brutture del mondo non lo sfiorarono affatto. I suoi occhi riflettevano il profondo candore dell’anima sua; candore che gli emanava dal volto sempre rischiarato come da celeste luce. Degno emulo del santo, di cui con gioia portava il nome; di San Luigi Gonzaga fu fervido devoto e costante imitatore.
Al Sacro Cuore era stato consacrato in San Giovanni Laterano quaranta giorni dalla sua nascita.
Unitamente alla fervida devozione al Sacro Cuore, sommamente cara gli era quella alla Vergine Immacolata. A Lei egli aveva consacrato tutta la propria vita. Per realizzare in sé le richieste formulate dalla Vergine Santa a Lourdes ed a Fatima volle iscriversi tra i Volontari della Sofferenza, partecipando con entusiasmo alle iniziative del Centro e vivendo con vera fede il programma stabilito:
– Riparare ai tanti peccati che offendono il Cuore di Gesù ed il Cuore Immacolato di Maria Santissima.
– Pregare per la conversione dei peccatori.
– Pregare per il Papa, per i Sacerdoti e per il loro sacro Ministero.
Avrebbe voluto essere Sacerdote, per salvare tante anime. Esercitò invece il suo sacerdozio nell’offerta di se stesso a Dio, per mezzo di Maria Santissima, vivendo la propria vita come un lungo Venerdì Santo, per la pacificazione del mondò col Padre Celeste e «per la salvezza di molti».
Vittima consapevole e volenterosa; angelo consolatore del Getsemani; adoratore costante del Santissimo Sacramento, che poteva adorare soltanto «in spirito e verità». Volle recarsi a Lourdes in ossequio all’invito della Vergine Santa: «venite qui in Pellegrinaggio di preghiera e di penitenza».
Partecipò pure con viva gioia al primo corso di esercizi spirituali tenuto dal Centro presso il Santuario di Oropa nel1952.
Accanto al suo lettino, su di un piccolo altare, perennemente vegliavano sopra di lui le immagini della Vergine Benedetta e del Crocifisso, circondati dalle statuette dei suoi Santi Patroni e dall’Immagine del suo Angelo Custode, che teneramente amava.
Sovente gli venne celebrata la Santa Messa nella sua cameretta. Erano quelli i giorni più belli e più radiosi della sua vita d’ammalato, sempre così uniforme.
Mai si considerò un menomato. La sua missione era troppo bella per perdere tempo e sognare quello che avrebbe potuto fare se fosse stato guarito, trascurando la volontà di Dio, che si manifestava a lui attraverso le cause seconde.
Non sempre riusciva a parlare, specialmente negli ultimi anni. Lo sguardo suo però rifletteva i suoi desideri, che, bisogna pur riconoscerlo, erano sempre rivolti alle cose celesti.
Sabato 24 aprile, Gesù Eucaristico era andato ancora ad illuminare la sua giornata di dolore.
Domenica in Albis, 25 dello stesso mese alle ore 1,30 circa, Luigino d’Astore andava incontro a Gesù per incominciare un’altra vita, quella vera, quella che non avrà mai fine, in seno alla Santissima Trinità, vicino a Maria santissima.
La schiera dei nostri particolari amici lassù in Cielo si è arricchita quindi di un nostro caro iscritto, tanto più caro quanto più sofferente. Dio voglia che presto possa uscire alle stampe la biografia del nostro caro Ginetto come pure quella del bimbo Pietro Salvi Alessi, entrambi fratelli d’ideale, fratelli di dolore, e di uguale genere di malattia, i quali tanto già fanno parlare di sé con grazie di ogni genere che vengono ad essi attribuite.
(Luigi Novarese, L’Ancora, n. 5, maggio 1954, pp. 7-8)