L’Ancora nell’unità di salute: n. 5 – 1979 – pag. n. 446-465
Mons. Luigi NOVARESE
INCONTRO CON GIUNIO
Giunio Tinarelli non ha frequentato l’Università, anzi la sua cultura scolastica si ferma alla quinta elementare, terminata a 11 anni, nel 1923.
Nato il 27 maggio 1912 a Terni da Alfredo e da Maria Giorgini subito si è trovato inserito, per necessità familiari, nell’ambiente di lavoro, iniziato per lui a 12 anni, nella tipografia Perotta, ove anche il padre prestava la sua attività.
Il lavoro, in tutta la sua vasta e delicata problematica in sé e d’ambiente, si è presentato a Giunio in età in cui invece è prescritto di andare a scuola. Ai suoi tempi questa obbligatorietà di scuola fino ai 14 anni non esisteva e le necessità familiari, altri tre fratelli: Orlando, Giuseppina e Fernanda, esigevano aiuto al modesto bilancio di casa.
Giunio Tinarelli ha però una parola da dire a tutti noi. La dica, quindi, lui, da solo, attraverso i fatti della sua vita, con l’impostazione e soluzione che lui ha dato ai suoi problemi.
Il linguaggio dei santi, e tutti dovremmo comportarci da “gens sancta” vivendo le nostre realtà umane e soprannaturali, è sempre una testimonianza dello Spirito di Dio che vive in essi ed un itinerario di grazia svolto sul sentiero, per tutti stretto e difficoltoso, della perfezione cristiana.
Come e quando ho conosciuto Giunio.
Fu nel mese di settembre del 1949 alla Stazione Termini di Roma, quando presi posto, in qualità di Assistente, in un treno di ammalati organizzato dall’” UNITALSI “ (Unione Italiana Trasporto Ammalati a Lourdes e Santuari Italiani).
Avevo, con Sorella Myriam, dato vita da poco (maggio 1947) al movimento dei “ Volontari della Sofferenza “ ed avevo con me dei fogli ciclostilati col programma del Centro per divulgarli tra i sofferenti.
Il programma del Centro è quello dell’Immacolata, presentato a Lourdes ed a Fatima: l’ambiente quindi, doveva essere il più adatto per stabilire contatti di lavoro con gli ammalati nell’intento di realizzare le richieste della Madonna.
Un’ammalata di Roma mi aveva fatto chiamare per dirmi di pregare e far pregare per suo marito che da 36 anni non si accostava più ai Sacramenti. il marito aveva accondisceso ad accompagnare la moglie a Lourdes, tanto per accontentarla, forse animato da una segreta speranza: troverà ancora la sposa l’uso delle gambe, o avrebbe continuato a dirigere la famiglia relegata su una poltrona?
Non volendo affrontare l’argomento della pratica religiosa con la persona segnalata, preferii ricorrere al mezzo, sempre sicuro, della preghiera e dell’offerta del dolore.
Ed è proprio a questo punto che ebbi il primo colloquio col nostro Giunio.
Gli parlai in un vagone attrezzato, ove egli era stato collocato in mezzo a tanti altri ammalati gravi. Giunio seguiva il mio discorso, guardandomi attraverso uno specchietto che, data la sua totale immobilità, anche quella del collo, manovrava con la mano.
Giunio aveva 37 anni, aveva smesso il suo lavoro a 24 con l’affacciarsi dei primi sintomi del suo male che gli rendevano difficoltoso il camminare e lo stare in piedi.
Il colloquio mi fu facile: a bruciapelo gli dissi:
Giunio, sul nostro treno c’è un’anima da conquistare. Sono 36 anni che non si accosta ai Sacramenti; in luogo della grazia della guarigione sei disposto a chiedere a Lourdes la sua conversione?
Sorrise apertamente e con immediatezza:
Veramente non era mia intenzione di chiedere la guarigione, bensì la conversione di mio padre.
E senza porre indugio continuò:
Dal momento però che Lei mi presenta un’anima, io offrirò per quest’anima; a mio padre ci penserà la Madonna.
La risposta evidentemente mi colpì. Da quel momento diventammo amici. Giunio conobbe il programma del Centro: lo trovò totalmente consono alle sue ispirazioni e diede la sua adesione.
Due giorni dopo il nostro arrivo a Lourdes vidi, di fronte all’Asile, quel signore, per cui Giunio aveva offerto il frutto del pellegrinaggio, venirmi frettolosamente incontro, chiedendomi ove avrebbe potuto incontrare un Sacerdote per fare la propria Confessione.
Seppi poi da Giunio, con parole pronunciate senza alcuna amarezza, che il padre non frequentava la Chiesa, pensava diversamente ed era causa di sofferenze per la mamma e la famiglia.
Su questo punto da lui non seppi più nulla al di fuori di qualche breve accenno per chiedere preghiere.
Sofferenza morale
La mamma, le sorelle, zia Eva che tanto fu vicina al nostro caro protagonista, sollevarono il velo sulla sofferenza causatagli dal padre e compresi, così, tutta la sua croce.
« Il padre, mi disse la mamma, accostava di più Orlando, l’altro fratello. Non era tanto riguardoso verso questo figlio. Giunio, ragazzo di statura alta, camminava un po’ avanti, ossia un po’ curvo, chissà, forse era la malattia che già si affacciava. Il padre vedendolo un po’ chino gli diceva: — Un’altra volta che ti vedo ti dò un calcio nello stomaco che ti raddrizzo, sai! ».
«Giunio non rispondeva affatto: si mortificava e piangeva. Questo è lui che ce lo ha detto, perché non sapevo che il padre gli dicesse così ».
La ragione?
Qualunque risposta potrebbe suonare giudizio. La piccola Bernardetta ebbe a Nevers la Madre Vauzou che le fece assaporare il calice della prova, così pure Madre Gonzaga verso Santa Teresa del Bambino Gesù.
Permissioni di Dio: ecco l’unica risposta. In Paradiso vedremo il Suo disegno, sempre infinitamente misericordioso, salvifico e santificante per tutti.
«Il padre non era un credente, ecco» — così la mamma di Giunio.
Per una visione chiara ed aderente alla situazione, martirizzante per Giunio, onorifica e glorificante per il trionfo della grazia per il padre, è bene conoscere fino a che punto il Signore abbia permesso che gli occhi del padre fossero chiusi sulla situazione dolorosa del figlio.
«Andava con le mani sotto il viso di lui immobile e gli diceva: “disgraziato!”».
— «Anche quando stava male, così depone la mamma, il papà gli diceva:
— Te ne vai — te ne vai!…
E Giunio allora rispondeva:
— Ma papà mio, dove vado in queste condizioni? Come
faccio ad andarmene?
— Mi sono stancato di vederti, fatti portare via dai compagni tuoi».
Ma fino a che punto mi vuoi o Signore in croce, distaccato da tutti?
— «Agli ultimi giorni della sua vita, però, racconta ancora la mamma, il papà andava sovente nella camera del figlio. Ebbe anche un atto di pietà verso di lui. I nipotini volevano bene allo zio, salivano sovente sul suo letto per fargli feste e così anche la vigilia della sua morte.
In tale circostanza il papà disse ai bambini:
— Scendete giù che gli date fastidio.
E Giunio li scusò:
— No, mi vogliono dare un bacetto: lasciali fare.
Poi, guardando il padre, continuò:
— Vorrei darlo anche a te.
Il padre allora si fece avanti e baciò il figlio. Giunio provò una grande gioia, ma non basta, gli chiese anche la benedizione ed il perdono. Il padre rispose che nulla aveva da perdonargli”.
Il giorno dopo Giunio chiudeva la sua giornata terrena e continuava dal Cielo a pregare per il suo carissimo papà.
Tanti sacrifici non potevano però essere stati offerti invano. La Madonna “rifugio dei peccatori” strappava la grazia della conversione dalla infinita misericordia di Dio.
Il 4 novembre 1958 la mamma di Giunio infatti mi scriveva:
“ Il giorno 12 ottobre è deceduto mio marito dopo due soli mesi di malattia; ma, nel dolore, il Signore mi ha dato un’immensa gioia, perché le preghiere e le sofferenze del figlio non sono state inutili.., egli è morto in grazia di Dio. Riceveva di buon grado il sacerdote col quale faceva lunghe chiacchierate e ad ogni commiato gli faceva baciare il Crocifisso, avendolo, dopo tre o quattro visite confessato e somministrato la Santa Comunione; questo un mese prima del decesso. In un secondo tempo gli ha pure somministrato l’Olio Santo; infine, all’ultima mezz’ora che è rimasto in vita ha avuto il sacerdote accanto che tanto pregava per la sua anima.
Mai avrei sperato tanto! Le vie del Signore sono infinite. Curvando la fronte dico: “Signore non sono degna di ricevere nel male tanto bene”.
La strada era stata lunga e difficile. Tante preghiere e tante sofferenze erano state poste sui suoi passi.
Giunio, ormai nella pace di Dio, avrà certamente gioito; l’ultimo respiro del papà sulla terra sarà certamente stato sottolineato in Cielo dal Magnificat di riconoscenza, cantato dal figlio.
Di fronte alla vita
Se per comprendere la vita di Giunio è necessario ambientarla nel quadro familiare, per scoprire le altezze spirituali da lui raggiunte è necessarlo considerare l’ambiente in cui è vissuto, la sua guida spirituale e l’attuazione del suo piano vocazionale.
Mons. Giuseppe Lombardi, comunemente chiamato Don Peppino, Assistente dell’Oratorio di Terni, fu l’apostolo dei giovani. Li radunava tutti i giorni nei locali dell’Episcopio, attigui alla Cattedrale, e li abituava ad una sincera testimonianza cristiana.
Don Peppino, “ era una bella anima sacerdotale che, in tempi difficili, di vera miscredenza e di lotta contro la Chiesa, ha saputo radunare ed accostare nel suo Oratorio, centinaia di ragazzi e di giovani per più di un quarantennio, illuminandoli e guidandoli nelle vie del Signore “ (deposizione di P. Emanuele).
Giunio con il fratello Orlando, frequentò fin da bambino l’Oratorio. Don Peppino fu la loro naturale guida e Giunio aprì la sua anima ai primi incontri con Dio con un sì grande e sperimentato maestro.
La mamma, poi, confermò che Don Peppino fu, per tutta la sua vita, il confessore di Giunio. Del resto, le lettere e gli stessi racconti dicono quale influenza decisiva e quale opera di sostegno abbia svolto su di lui.
La caratteristica della vita del nostro giovane è quella di una vita ordinaria, vissuta nel mondo, in ambiente di lavoro promiscuo, tutt’altro che facile, in affermazione di testimonianza cristiana convinta, difesa, tenuta ferma in qualsiasi circostanza, senza compromessi, da tutti imitabile.
In lui c’è l’affermazione, in tempi in cui i metodi tradizionali già venivano discussi, del sistema educativo cristiano che ha caratterizzato la vita di S. Domenico Savio e di Santa Maria Goretti: vita di grazia vissuta e custodita, fuga dal peccato perché offesa fatta a Dio, pratica della vita cristiana e frequenza sacramentaria, accettazione gioiosa della divina volontà, anche se crocifiggente.
Affermazioni soltanto?
Ma tutta la vita di Giunio fu un corso limpido, sgorgato dalla grazia, aumentato dalla libera e volontaria cooperazione.
Palestra di santità fu la famiglia, il campo di lavoro e di apostolato.
Di fronte al lavoro
La famiglia aveva bisogno di sostegno e vediamo Giunio, appena dodicenne, entrare nella tipografia Perotta, dove si stampavano cartoline.
Non ancora quattordicenne, lascia la tipografia ed entra in una officina dove si facevano serrature, chiavi, aggiustature generiche.
Poco dopo, per opera dell’Ing. Mandrelli, riesce ad essere assunto dagli stabilimenti delle Acciaierie di Terni. Il suo primo posto di lavoro fu nel reparto bulloneria.
Dopo un periodo di tempo in quel reparto, per riguardo alla sua serietà di impegno e di lavoro, fu trasferito al reparto di aggiustatore meccanico delle locomotive delle Ferrovie dello Stato.
L’artrite anchilosante si manifestò gradatamente: andare al lavoro in bicicletta gli diventava difficoltoso; si piegava con difficoltà e non resisteva più tanto tempo in piedi; non riusciva nemmeno più ad allacciarsi le scarpe.
Il Capo officina, vedendo la sofferenza del giovane, invece di metterlo in condizioni di aspettativa o di licenziamento, preferisce andargli incontro, cambiandogli reparto.
Giunio passò, allora, ad un deposito di attrezzi che doveva distribuire agli operai; e vi rimase, finché, a circa 23 anni, fu colpito da influenza e dall’influenza passò in pieno al male che per 18 anni lo doveva inchiodare immobile su di un letto.
Per 12 o 13 anni complessivamente Giunio visse la vita di operaio.
Di temperamento gioviale, sereno, ottimista, incontrava simpatie ovunque. Anche ammalato vediamo compagni di lavoro che salgono le scale del suo modesto caseggiato in Via Sant’Angelo in Flumine, ora abbattuto, per dimostrargli solidarietà, amicizia, affetto.
Qui si affermano le doti umane di Giunio: di fronte al comprensibile mutismo degli amici che arrivavano persino a scuoterlo nella impossibilità di credere ad un’assoluta rigidità, egli rispondeva mettendoli a loro agio,
rompendo il ghiaccio ed interessandosi del loro lavoro, delle loro persone, dell’ambiente in cui egli pure aveva vissuto.
Giunio vedeva il mondo del lavoro come un mondo da fermentare e da portare a Cristo. In questo ambiente aveva apertamente portato la propria testimonianza cercando di illuminarlo con la propria condotta.
Nell’ Oratorio ed all’Azione Cattolica Giunio ebbe sempre una presenza militante.
Tutte le domeniche era col gruppo dell’Oratorio alla Messa dei giovani.
Il Rosario « era il suo forte», dice la mamma; era il mezzo d’unione con Dio, di studio per imitare la vita e le virtù di Nostro Signore Gesù Cristo; era lo strumento per attirare le grazie su tutti.
C’è meraviglia se un giovane puro, gioioso, assennato, di bella presenza, sia stato amato e stimato da tutti?
La virtù si impone anche agli avversari ed egli la strumentalizzò per l’instancabile ricerca di Dio, per l’apostolato, illuminando attorno a sé con il buon esempio.
Per lui il lavoro non era soltanto un modo per procurarsi uno stipendio ma un mezzo prezioso di apostolato.
Di fronte alla famiglia
Ma Giunio si era proposto una vocazione?
E’ risaputo che egli si era fidanzato e che la malattia si era affacciata, quando già era stato fatto lo scambio degli anelli. Anzi, « l’aveva fatto lui»: un anello semplice, decoroso, che dice realmente l’amore che si costruisce e si mantiene nel lavoro e nel sacrificio.
Giunio aveva scelto la strada del matrimonio; la malattia, è stata, invece, la segnalazione di una svolta che, senza sentire il suo parere, gli ha fatto cambiare rotta.
Giunio non si lagnò con nessuno; non protestò, nè manifestò rammarico nemmeno quando vennero restituiti gli anelli scambiati.
Il Signore, attraverso le cause seconde, gli aveva manifestato che i disegni suoi erano diversi ed egli immediatamente li accettò.
“ Il Signore mi ha mandato questa malattia per farmi vedere che via devo percorrere”.
Fui a visitare Giunio poco prima della sua morte con Sorella Myriam ed un fratello di Associazione, Don Remigio Fusi.
In quella circostanza mi fece consegnare l’anello di fidanzamento, che aveva conservato per circa 20 anni, dicendomi:
“ Lo prenda, è per la corona della Madonna, per la Cappella di Re”.
Il cuore? Ma fin dalla sua prima giovinezza aveva imparato ad usare delle creature come dei mezzi per andare a Dio. Se il Signore faceva intravedere un’altra strada, a lui non restava che percorrerla, con fedeltà di figlio che si fida del Padre celeste. Del resto, fin dalla fanciullezza, Giunio aveva donato il suo cuore alla Madonna. La Madonna, ora, gli faceva intravedere che lo voleva tutto per sé, e per il suo servizio.
Da questo momento gli orizzonti di Giunio non sono più quelli ristretti della famiglia, ma quelli delle anime, del mondo intero, per cui il Cristo si incarnò, soffrì e morì, chiamando anime di buona volontà perché si associno a Lui per la salvezza di tutti.
Di fronte al dolore
Il male fisico in se stesso, che segnava il distacco dalle realtà in cui aveva fino allora vissuto, era stato, fin dall’inizio, integralmente ed immediatamente accettato, anche se con dolore.
Un’altra sofferenza lo fece terribilmente penare, quella morale. Giunio ha realmente pianto per il disagio morale di dover dipendere dagli altri per le proprie necessità fisiche.
La mamma attesta:
“ Era così riservato! Le cose intime, sia pure con estrema difficoltà, voleva farle da sé”.
“ Il Signore mi ha voluto umiliare anche in questo”.
“ In un primo momento mi è dispiaciuto tanto, tanto! “ Così afferma Giunio con tutta semplicità.
La mamma con estrema delicatezza racconta:
« La malattia l’ha presa proprio come Dio ha voluto.
Non ha protestato.
Giunio era inchiodato a letto con la colonna vertebrale e le anche rigide per l’artrite deformante. Ma quando il male gli prese anche le braccia, pianse e protestò per circa 10 giorni. Si ribellò un po’, oh non dicendo cose fuori posto, ma: “Padre Eterno mio, che ti ho fatto? Almeno lasciami le braccia libere per poter fare le mie cose intime”».
Così la mamma:
“ Vedendo che non si dava pace, andai dal suo Padre spirituale, don Peppino, e gli parlai un po’ e quando ritornai a casa gli riferii tutto; allora Giunio mi disse:
“ Vai a chiamare don Peppino”.
E Don Peppino si recò dal caro infermo:
“Ma Giunio, ma Gesù non fu svestito davanti al popolo?”.
“ Se il Signore ti vuole umiliare così e ti vuole in questa maniera perché prendertela? Non te la prendere, Giunio! Gesù fu spogliato davanti a tutti!”.
Con queste parole il travaglio spirituale fu superato. Rimase la ferita per il disagio, ma l’accettazione fu totale e piena, senza più ritornarci sopra.
Con quest’ultima tappa, la più dolorosa, incomincia il canto della gioia, anche nei dolori più lancinanti.
Alla Sig.ra F., anch’essa ammalata Giunio il 24 gennaio 1948 scrive:
“ Da oltre due mesi ho dei disturbi intestinali ma con l’aiuto del Signore è bella la sofferenza, eppoi il buon Dio mi dà tante gioie che mi fanno dimenticare la tribolazione”.
“ Chi si abbandona completamente al Signore – scrive il 29.1V. 1949 – non conosce più sofferenze, non sente più il grave peso della croce che le è stata assegnata, ma bensì ha la gioia di gustare la sofferenza, è felice di essere crocifisso vicino a Gesù.
Oh! come è bello tutto ciò!
Certo non possiamo pretendere di arrivare a questa perfezione in poco tempo, ma con un po’ di buona volontà e con l’aiuto del Signore nulla è impossibile”.
C’è però qualcosa ancora di più completo che rende più facile portare la croce con Cristo e quotidianamente sostiene nelle difficoltà e lotte di ogni genere, la Santissima Eucarestia.
Giunio fu un grande innamorato dell’Eucarestia e non sarebbe stato possibile diversamente, essendo egli stato un vero devoto di Maria Santissima.
La sua formazione mariana, fin dalla fanciullezza svolta sotto la guida di Don Peppino, lo portava a vivere la vita della grazia, mediante l’intensa vita sacramentaria.
Divenuto ammalato, Gesù Eucarestia divenne il centro e la dimensione della sua vita. La giornata veniva considerata bella o meno solo e in quanto poteva ricevere Gesù.
Il 7.VII.1950 scrive in proposito ad una malata:
« Sono spiacente che la signora Fernanda sia peggiorata e che soffra moltissimo; purtroppo il veleno di vipera me lo iniettarono pure a me per calmare le mie atroci sofferenze, ma tutto fu vano; la sola cura efficace per calmare tanti dolori l’ho trovata e la trovo nel cibarmi col Pane degli Angeli, solo Gesù e la Vergine Santissima mi hanno insegnato l’arte della sofferenza ed oggi posso dire con tutta sincerità che la croce non la porto più io, ma è Gesù che la porta con me; sì, queste cose le posso dire a te perché mi comprendi, altrimenti se lo dicessi ad altri che non sono cristiani praticanti mi tratterebbero da pazzo; purtroppo i veri pazzi sono costoro».
Accanto alla devozione eucaristica, fiorì e propagò la devozione alla Madonna.
Loreto, Lourdes, Oropa, Re sono itinerari e tappe che dicono approfondimenti di conoscenza dell’intervento della Madre della Chiesa nella vita stessa della Chiesa ed impegno di servizio per le anime di buona volontà.
Il Rosario l’aveva sempre in mano e non come strumento decorativo, come arma con cui espugnare il nemico delle anime nostre ed attirare ne sull’umanità.
Nella meditazione dei vari misteri che considerano la vita di Gesù e di Maria aveva compreso fino a che punto e come bisogna amare le anime.
Ed allora la recita del Rosario, le tre corone, era parte della sua attività spirituale, da cui traeva alimento e spinta all’azione.
Dal suo diario, 5 aprile 1948, leggiamo:
“La notte passata l’ho trascorsa in bianco causa i soliti disturbi ed ho approfittato di questa veglia forzata per recitare più volte il Santo Rosario acciocché la Vergine Santa proteggesse il Santo Padre, la Chiesa con tutti i suoi Ministri».
Di fronte agli ammalati
Ma la Madonna è positivamente intervenuta nella vita della Chiesa, a Lourdes ed a Fatima, proprio per richiamare l’umanità a vivere il messaggio evangelico che Gesù ci ha portato.
Parecchie sono le organizzazioni mondiali che portano gli ammalati incontro alla Madonna.
In Italia grandemente opera l’UNITALSI, fiorita in Roma ed estesa quasi in tutto il paese.
Giunio conobbe tale organizzazione e volendo che altri fratelli di dolore andassero incontro alla Madonna diede opera attiva affinché anche in Terni sorgesse la Sottosezione della UNITALSI.
Lo dice lui stesso ad una ammalata con lettera del 30 Luglio 1948:
« Siccome a Terni vi era la sottosezione UNITALSI che si doveva interessare per organizzare treni malati per Loreto, ma purtroppo nessuno se ne interessava, allora ho fatto del tutto acciocché alcuni miei amici prendessero l’iniziativa e formassero un comitato per raccogliere fondi… Da Terni non partivano più di due o tre malati, quest’anno abbiamo preso parte al Pellegrinaggio, oltre 60 persone, e ci ha accompagnato pure il nostro Eccellentissimo Vescovo. Come vede io pure ho avuto la mia parte di lavoro».
Accanto a tale forma di apostolato occorre, poi, sostenere chi porta la croce, ma sostenere con intelligenza, con spina dorsale, con idee chiare sul modo con cui bisogna portare la croce.
E questo si impara non con vane letture, o seguendo criteri personali, più o meno buoni, ma soltanto attentamente considerando come Nostro Signore Gesù Cristo ha voluto portare la Croce.
E’ Lui il modello e quindi la nostra metodologia ed i nostri criteri devono confrontarsi e modificarsi nei Suoi criteri e nella Sua metodologia.
Ecco perché Giunio ha scoperto tanti tesori dalla propria croce e non è stato un sentimentale smidollato che si lascia andare a tenerezze senza nome, come capita talvolta vedere in chi porta la croce e in chi pensa di accostare i sofferenti con criteri umani.
« Certo io con la sofferenza — scrive Giunio — ho imparato tante cose e non cambierei la mia vita con nessuna ricchezza che esiste al mondo, perché nella mia sofferenza il Signore mi ha fatto gustare tante gioie spirituali che non avrei potuto gustare se fossi stato in salute».
Se tanti sofferenti comprendessero il valore sociale e soprannaturale del dolore certamente essi non si sentirebbero più degli esseri isolati ai margini della vita; comprenderebbero che la società ha bisogno di essi, proprio come ha detto Sua Santità Paolo VI, perché la società oggi, ha bisogno più che mai della continuità del sacrificio di Cristo che espia, propizia, redime.
Attraverso una magnifica lettera, scritta il 16.II.1948, Giunio dimostra quanto abbia approfondito queste idee vitali per la vita cristiana:
“ Certo non sarebbe più bello se tutti gli uomini fin dalla nascita avessero questo timore di Dio? Allora non ci sarebbe più cattiveria, non si farebbe più guerra e non si conoscerebbero odi, ma purtroppo siamo fatti di carne e per questo siamo deboli, ma per fortuna il Signore è tanto buono e misericordioso e allora ci dà a tutti la possibilità di salvarci”.
“ Mi parla – scrive nel 1951 – dell’immane sciagura che si è abbattuta sul Polesine; purtroppo gli uomini non vogliono più Dio, e Lui li castiga con guerre, terremoti, alluvioni, ecc. Per risanare l’intera umanità, il Signore ha bisogno di tante vittime, per riscattare tante anime, che sono nelle mani del nemico delle nostre anime”.
Si cerca la felicità, si crede magari di possederla, ma quale è la vera?
I pareri sono così discordi! Certamente è felicità sicura quella che ci porta verso la somma ed eterna felicità, perché tutto ciò che in Dio si pianta, si afferma e vive per l’eternità.
“ Non nascondo, così ad un sofferente da molti anni ammalato, il l4.XII.1951, che trent’anni di sofferenza sia un buon contributo, ma se pensiamo bene, di fronte all’eternità sono un nulla.
Sapesse quante volte ho visto persone, non poche volte nobili, accostarsi al mio letto di dolore, e sussurrarmi negli orecchi tutte le loro pene e pregarmi di ricordarmi di loro nelle mie preghiere. Le assicuro che vicino a tante miserie mi sento molto più felice io che mi trovo in un letto nell’immobilità assoluta. Sì, sono felice, perché malgrado che ancora sono molto lontano da quella perfezione che il Signore desidera, ho avuto la grande grazia di conoscere il valore della sofferenza e cerco di fare del mio meglio per imitare Gesù Crocifisso”.
Apostolo
Il Centro « Volontari della Sofferenza » ed i « Silenziosi Operai della Croce » schiusero a Giunio veri orizzonti di attività apostolica.
L’idea dominante del Centro “ Volontari della Sofferenza” che l’ammalato, anche se oggetto di carità per tanti motivi, è pur sempre soggetto di azione e deve scoprire e vivere la propria vocazione nell’inserimento del Corpo Mistico, fece grande presa nell’animo di Giunio.
Il Centro, prende le mosse per la propria attività programmatica dalle richieste rivolte dalla Vergine Santa a Lourdes ed a Fatima ed il profondo spirito mariano ed evangelico che propone rispondeva perfettamente all’esigenza interiore di Giunio.
Il suo epistolario dal momento della sua adesione ai “ Volontari della Sofferenza “ prima, ed ai “Silenziosi Operai della Croce “ dopo, prende una dinamica del tutto particolare.
Il mondo è diviso, dilaniato ed allora occorre mobilitare tante anime che sappiano volontariamente rispondere al grande invito di Gesù Cristo di seguirlo con la propria croce, dando voce, scopo e frutto alla sofferenza.
Occorre volontariamente porre nelle mani dell’Immacolata, Mediatrice di ogni grazia, tanti tesori spirituali, come Ella ha richiesto alla piccola Bernardetta ed ai tre pastorelli di Aljustrel affinché, a sua volta, li dispensi su tante anime, che non si sarebbero salvate se non ci fossero state anime che avessero pregato e sofferto per loro.
Sono linee tradizionali della Chiesa che, al richiamo di Maria SS.ma, si riprendono e si propongono a chi soffre affinché possa scoprire la propria presenza vocazionale nella Chiesa, vivendola col Cristo, per la salvezza di tutti.
Giunio, dal momento della sua adesione, si è sentito una pedina dello scacchiere dell’Immacolata con responsabilità ben precise.
L’epistolario riflette la sua ansia apostolica. Egli mira a tradurre in opere l’amore che nutre verso la sua augusta Regina e Madre.
«Ed ora non so se anche tu — a M.D. il 21.I.1950 — puoi aiutarmi a propagare il volontariato della sofferenza; siccome l’anno passato a Lourdes ho fatto la conoscenza con un sacerdote che sta nella Città del Vaticano, allora mi ha incaricato di trovare un po’ di anime buone che offrano parte delle loro pene per riparare le tante ingiurie che offendono il Cuore di Gesù ed il Cuore Immacolato di Maria, per impedire che molte anime vanno all’inferno; per il Papa, per tutti i sacerdoti e per il loro sacro ministero. Come vedi questa è una bellissima istituzione e non vi è nessun obbligo particolare. Si possono iscrivere tutti, tanto persone religiose quanto laici. Nella presente unisco un po’ di pagelline così se qualcuno vuole iscriversi compila la pagellina e tu molto gentilmente le rispedisci a me… “.
A Salvatore Daffronto, fratello di ideale:
“Dimmi con tutta libertà in che cosa posso esserti utile; se hai bisogno dei volantini per l’iscrizione ai “Volontari della Sofferenza” ed ai “Fratelli degli ammalati”; fammi sapere se nel tuo apostolato trovi delle difficoltà e quali sono, se ti sei impegnato di formare i gruppi di Avanguardia”.
La radice di questa dinamica al servizio del Signore sta nel fatto che il sofferente, santificato dalla grazia diventa un vero missionario, a cui non c e orizzonte che rimanga precluso.
L’esperienza fatta nella partecipazione al primo corso di Esercizi Spirituali per ammalati tenutosi al Santuario di Oropa per opera dei “ Silenziosi Operai della Croce “, fu per lui una rivelazione.
Era la prima volta che tenevamo un corso di Esercizi Spirituali per ammalati, era dunque, anche per noi, un’esperienza nuova.
Temevo nell’affrontare i temi di massima, proposti da S. Ignazio per gli Esercizi, ma li trattai con delicata chiarezza, impostandoli sulla categoria dei partecipanti.
Il risultato fu meraviglioso. I temi fondamentali del fine dell’uomo, della morte, del giudizio e dell’inferno non soltanto non sconvolsero gli ammalati, ma grandemente li aiutarono a comprendere la posizione di responsabilità vocazionale che essi hanno nella vita della Chiesa.
Al termine del Corso gli ammalati manifestarono a me e a Sorella Myriam di volere una Casa di Esercizi tutta per loro, per ripetere ancora tali incontri e poter dare anche agli altri fratelli di dolore la medesima gioia da loro provata.
Ci guardammo in faccia, non so se meravigliati o sbalorditi per la proposta.
Gli ammalati compresero e ci rassicurarono:
« Incominciate, ci siamo noi; non temete; troveremo i mezzi»; fecero seduta stante una colletta e ci consegnarono 9.200 lire.
Anche Giunio insistette nella proposta, assicurando che sarebbe stata sostenuta da tutti.
Da qui si comprende il motivo per cui tanto stia a cuore ai sofferenti la Casa “ Cuore Immacolato di Maria “ sorta a Re (Novara) a 7 Km dalla Svizzera, vicino al Santuario della Madonna del Sangue.
Migliaia di ammalati hanno pregato, trepidato, sostenuto con indicibili rinunce tale progetto.
933 sofferenti, tra cui lo stesso Giunio, offersero al Signore tutti i dolori della propria esistenza perché l’iniziativa fosse al più presto realizzata.
Giunio si recò a Re due volte per fare gli Esercizi Spirituali.
“ Ho appreso con gioia – mi scriveva Giunio nel 1953 – che la Casa “Cuore Immacolato di Maria” non è più un sogno, ma bensì una realtà. La Madonna che non si fa vincere in generosità ha voluto soddisfare questo nostro santo desiderio – e a Dio piacendo nel 1954 avremo il piacere di poter fare i santi Esercizi Spirituali in quell’angolo di Paradiso che La Madonna sta preparando per noi”.
Giunio si diede subito da fare per cercare i mezzi. Si interessò presso il nostro Centro, smosse gli amici, fece delle raccolte di denaro; si trattava dell’attuazione dell’iniziativa desiderata e voluta dalla sua categoria.
Silenzioso Operaio della Croce
Giunio era lanciato sulla via dell’apostolato più intenso. La sua vocazione era chiara e la seguiva con gioia e senza alcun rimpianto.
Aveva però intravisto che nell’ambito del Centro era sorto qualcosa di più impegnativo versa Maria Santissima, i “ Silenziosi Operai della Croce”.
L’Associazione è sorta infatti il 10 Novembre 1950 con l’intendimento di perpetuare l’apostolato verso gli ammalati, riuniti nei “ Volontari della sofferenza»; verso i sani, riuniti tra i «Fratelli degli Ammalati» col propoLi sostenere i sofferenti nella realizzazione del loro programma; verso i sacerdoti ammalati con la “ Lega Sacerdotale Mariana “.
Il candidato, nell’Associazione “ Silenziosi Operai della Croce “ si consacra totalmente ed in perpetuo a Maria SS.ma mediante una consacrazione riconosciuta dalla Chiesa che costituisce il vincolo tra lui e l’Associazione stessa per i fini statutari che sono l’attuazione di quanto Ella stessa ha indicato a Lourdes ed a Fatima.
Si realizza tale scopo mediante Case di Esercizi Spirituali per sofferenti e sani, scuole di addestramento professionale per ex ammalati, stampa, radio, raduni, ricreatori, convegni e Centro studi.
In tale ambiente l’ammalato si trova accanto al sano ed al sacerdote in piena parità di studio, di votazione in sede di consiglio, per l’attuazione dei comuni propositi.
Aderiscono all’Associazione oltre che i sofferenti, capaci di svolgere vera e responsabile attività di categoria, laureati, diplomati, professionisti di ogni genere, convinti dell’urgenza e della necessità sociale del programma presentato dall’Immacolata.
Giunio avrebbe voluto aderire: era però titubante; sarò capace di svolgere il mio compito?
“ Non ho studiato, era solito ripetere, ho pochi numeri! “
Si rivolse allora, come di consueto, al suo carissimo Don Peppino e così, poi, mi scrisse il 6.IX.1957:
“ Ho chiesto consiglio al mio Padre Spirituale per dare la mia adesione ai “Silenziosi Operai della Croce “. Dopo aver letto lo Statuto mi ha detto di iscrivermi tranquillamente perché questa è la via che sto percorrendo.
Dopo questa affermazione sono a dare il mio nome a questa nuova Associazione con l’augurio che questi “Silenziosi Operai della Croce” non siano mai disoccupati, ma strappino sempre anime al nemico delle nostre anime, fino alla salvezza totale di tutte le anime che popolano il mondo”.
Si preparò a tale giorno con un ritiro spirituale, trascorso sotto la guida del suo carissimo Don Peppino; nel giorno della festa di tutti i Santi, dopo avere fatto la santa Comunione, lesse la formula d’impegno:
“ Io Giunio Tinarelli alla presenza della Santissima Trinità, sotto lo sguardo dell’Immacolata e di San Giuseppe Suo fedele Sposo e dinanzi ai Santi Patroni: Arcangelo S. Michele e Santi Bernardo e Bernardetta emetto per un anno i voti di castità, povertà ed ubbidienza, secondo lo Statuto dei “Silenziosi Operai della Croce” interamente consacrandomi alla Vergine Immacolata col proposito di raggiungere la mia santificazione mediante la valorizzazione della sofferenza.
Prometto inoltre, di adoperarmi con tutte le mie forze, alla diffusione dei messaggi, rivolti all’umanità dalla Vergine Benedetta a Lourdes ed a Fatima. Mi aiuti la Madonna, mediatrice di ogni grazia, a fedelmente attuare il mio programma per la maggior gloria di Dio, per il Suo onore e per la mia santificazione.
Terni, 1° novembre 1951 “.
Da quel momento Giunio non si appartenne più. La sua lettera inviatami l’8 novembre, mi diceva la sua gioia:
“ Prima cosa sono a comunicarLe che ho preso alla lettera le Sue istruzioni per i “Silenziosi Operai della Croce” e dopo aver fatto il triduo di preparazione, il primo novembre, festa di tutti i Santi mentre ascoltavo la S. Messa alla radio è venuto il mio Direttore Spirituale con un gruppo di giovani di Azione Cattolica per portarmi Gesù Ostia e mentre mi cibavo del pane dei forti dalla radio uscivano le soavi note dell’Ave Maria.
Ah! che momento di Paradiso; Gesù era nel mio povero cuore e nella mia cameretta tutta l’atmosfera era presa dalle dolci e soavi note che esaltavano la nostra Mamma Celeste. Proprio in quel momento così mistico mi sono consacrato alla Madonna ed ho emesso il voto di castità e le promesse di ubbidienza e povertà. Sono proprio felice anche per la scelta di questa giornata perché non poteva essere più bella del primo anniversario della definizione dogmatica dell’Assunta “.
Con l’adesione all’Associazione lo Statuto dice che “ le auguste richieste dell’Immacolata, rivolte a Lourdes ed a Fatima, costituiscono la grande carta di lavoro, base di partenza per promuovere tutto ciò che direttamente o indirettamente serve alla santificazione del lavoro e del dolore tra i fedeli”. (Art. 124)
“I membri che vivono in famiglia sono obbligati a dedicarsi all’apostolato dopo avere ottemperato ai propri doveri di stato”. (Art. 126)
Giunio, nelle condizioni di ammalato, si è trovato, così, completamente lanciato con programma preciso e con il merito dell’ubbidienza verso quell’apostolato che fin dall’inizio della sua malattia aveva con gioia svolto.
Tale fu l’entusiasmo fattivo con cui Giunio si gettò nella spiritualità dell’Associazione e nel lavoro che ben presto, sicuro della sua serietà di impegno, gli proposi di essere il Fratello Incaricato per tutti i «Silenziosi Operai della Croce” viventi in famiglia.
La proposta lo sorprese, ma lo Statuto già l’osservava, per cui il docile e filiale abbandono alle direttive dei Superiori lo spinsero a rispondermi in questi termini:
“ Riguardo alla proposta che mi ha fatto di prendere l’incarico di seguire in modo particolare i Silenziosi Operai della Croce, uomini, non so cosa risponderle, io mi rimetto completamente alla sua volontà perché già conosce la mia poca per non dire niente cultura.
Se crede che un pizzico di buona volontà sia sufficiente io sono a sua disposizione fin da questo momento “ (16 marzo 1953).
E così Giunio incominciò a seguire da vicino i fratelli di ideale con vera comprensione cercando di capire l’ambiente in cui vivevano con le conseguenti possibilità apostoliche, sostenendoli ed incoraggiandoli nel lavoro.
A Cristiano Pavan, giovane cieco paralizzato di Vicenza, morto anch’egli in concetto di santità nel 1968, così il 13 dicembre 1953 scriveva:
“Con molto piacere ricevo i tuoi cari scritti, dalle tue relazioni mensili leggo con viva gioia come svolgi bene il tuo apostolato.
Bravo, caro fratello, cerca sempre di illuminare e portare tante anime a Gesù, solo così potremo risanare questa società così corrotta, e fare felici i SS. Cuori di Gesù e di Maria.
Sono veramente lieto che il secondo convegno sia riuscito migliore del primo; come vedi la Mamma celeste ci è sempre vicino ed è proprio Lei che guida il nostro apostolato altrimenti da soli non si riuscirebbe a fare un bel nulla”.
E con tante lettere analoghe si rivolse a innumerevoli altri fratelli di ideale.
Senza soste verso la meta
La vita di Giunio fu una coerente risposta al Signore senza mai voltarsi indietro.
Il suo lavoro si svolgeva tra visite senza fine, nottate insonni, coliche intestinali e crisi di cuore.
Si sapeva che, ogni tanto, egli stava particolarmente male; si trepidava per un momento, ma poi si era soliti vederlo riprendere con alacrità e sorriso il suo apostolato.
Giunio sentiva però che stava distaccandosi da noi e preparava la mamma al grande passo:
“Mamma, sii generosa, non essere egoista, dona come vuole Gesù. E poi… non fare le corse per andare al cimitero; va in una Chiesa qui vicino e prega”.
Se Giunio deve morire, si diceva al Centro, sarà in giorno di sabato o in una festa della Madonna.
E così in realtà avvenne. Il 13 gennaio gli portarono i nastri registrati con alcune prediche di Don Peppino. Fu felicissimo; poté, così, avere il conforto di ascoltare la voce del suo Padre spirituale.
Il sabato 14 gennaio, improvvisamente si aggravò. Aveva i nipotini accanto che gli rendevano un piccolo servizio. Il fratello Orlando si era momentaneamente assentato. La mamma voleva uscire perché gli stava confezionando un piccolo materassino.
“Giunio – racconta la mamma – sentiva dentro di sé che l’ora del distacco stava per scoccare e mi disse:
— “Mamma non uscire, non uscire mamma!” Io allora rimasi lì e non uscii più.
Dopo un po’ dovetti andare un momento in camera mia; la sorella, seduta nella camera accanto, stava lavorando; quando si sentì un forte respiro.
Accorremmo, ma Giunio aveva finito di soffrire; erano le ore 18”.
Diciotto anni di immobilità assoluta erano terminati. Giunio era andato incontro a Dio, alla Vergine che tanto amava ed al cui servizio si era posto.
Il suo esempio resta luce e guida. Le anime che ha salvato costituiscono la sua famiglia spirituale, che non subirà separazioni. Noi lo ricordiamo con tanto amore e lo invochiamo accanto all’Immacolata perché interceda per noi.
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