L’Ancora: n. 11 – novembre 1977 – pag. 3-7

Il tema, di cui vogliamo tracciare qualche linea – le speranze dell’ammalato – è tema portante del Congresso Eucaristico che stiamo celebrando, perché soltanto in Cristo Eucarestia esso trova impostazione e scopre mete che toccano non soltanto il sofferente, ma l’intera società.
L’ammalato, infatti, non è estraneo alle sorti dell’umanità, e questo non soltanto perché come uomo è chiamato a darvi il proprio contributo quale cittadino avente diritti inalienabili, ma perché, proprio in quanto malato, ha una speciale parola profetica da pronunciare e testimoniare. A tale stato di sofferenza da parte di Dio segue un dono particolare di grazia, proporzionata allo stato in cui si trova, che, mentre lo porta alla santità, che è il fine di ogni creatura, gli dona possibilità nuove che scaturiscono dalla sua sofferenza, possibilità di poter risollevare se vuole le sorti dell’umanità: così il Magistero di Paolo VI in numerosi Suoi Discorsi ai sofferenti.
Per parlare delle speranze dell’ammalato, che sono altresì le speranze del mondo, e per meglio comprendere tale affermazione, ripensiamo alla distinzione fatta da Pio XII ai Volontari della Sofferenza nel 1957, tra l’apparenza negativa che avvolge l’ammalato e invece, la sua reale benefica presenza.
“ Voi apparite come soli”, ha detto Pio XII.
“ Sulla vostra apparenza si indugia il mondo, col suo sguardo miope, e quindi superficiale e necessariamente incompleto.

a) Agli occhi del mondo voi apparite come estranei alla festa della natura; voi apparite come lontani dal complesso e stupendo mondo dell’arte; sembrate spettatori passivi al continuo progresso del dominio degli uomini sulla terra.
Non è raro il caso di chi si vede affidato a mani estranee, specialmente se la malattia è troppo lunga e se i sussidi della scienza medica appaiono incapaci a mutare il corso del male. Allora sovente le visite si diradano o si riducono a semplici atti di pietà “.
Il Papa, considerando ancora l’aspetto negativo che circonda l’ammalato, continua:

b) “ Voi sembrate inutili” e questa è la parte più penosa che tocca ai sofferenti; il disagio morale, quell’intima sofferenza che sfugge all’occhio clinico di chi cura ed assiste e che, in realtà, è più forte dello stesso male fisico.
Eppure non su questi aspetti negativi deve arrestarsi il nostro sguardo; perché ”la vostra realtà – afferma ancora Pio XII – veramente è ben altra, e sudi essa si posa lo sguardo penetrante di Gesù”(Pio XII, ai V.D.S. -1957).
Paolo VI, in una lettera diretta ai “Silenziosi Operai della Croce” che si accingevano a predicare le Missioni agli Hanseniani d’Italia, non ha dubitato di affermare con chiara speranza che la società ha bisogno di essi.
Approfondendo Paolo VI lo stato del sofferente, il 27 marzo 1964 nel venerdì Santo, durante la “Via Crucis” fatta al Colosseo, ha detto:
“ Chi ha dato al dolore dell’uomo il suo carattere sovrumano, oggetto di rispetto, di cura, e di culto, è Cristo paziente, il grande fratello di ogni povero, di ogni sofferente. V’è di più: Cristo non mostra soltanto la dignità del dolore; Cristo lancia una vocazione al dolore. Questa voce, figli e fratelli, è fra le più misteriose e le più bene fiche che abbiano attraversato il quadro della vita umana. Gesù chiama il dolore ad uscire dalla sua disperata inutilità e a diventare, se unito al suo, fonte positiva di bene, fonte non solo delle più sublimi virtù – che vanno dalla pazienza all’eroismo e alla sapienza -, ma altresì alla capacità espiatrice, redentrice, beatificante propria della Croce di Cristo”.
Il segreto di questa trasformazione di valori, che da una negatività assoluta acquista valori insondabili, come insondabile nella Sua carità infinita è il Cuore di Gesù Cristo, sta nell’unire la propria sofferenza a quella di Gesù, vivendo con Lui in grazia, ossia senza peccati mortali sull’anima, il proprio dolore. Vivendo con Lui si diventa tralci uniti alla vite; tralci che, necessariamente producono i frutti della pianta, a cui sono intimamente uniti (cfr. Gv. XV,5).
Paolo VI ancora il 27 marzo 1964 insiste su questo punto così importante per la valorizzazione del dolore:
“ Il potere salvifico della Passione del Signore può diventare universale, e immanente – ossia sempre presente e sempre operante – in ogni nostra sofferenza, se – ecco la condizione – se accettata e sopportata in comunione con la sua sofferenza. La “compassione” – ossia “patire con” – da passiva si fà attiva; idealizza e santifica il dolore umano, lo rende complementare a quello del Redentore (cfr. Col. 1,24).
“ Ricordi ognuno di noi questa ineffabile possibilità. Le nostre sofferenze (sempre degne di cure e rimedi) diventano buone, diventano preziose. Nel cristiano si inizia un’arte strana e stupenda: quella di “ saper soffrire “, quella di far servire il proprio dolore alla propria ed alla altrui redenzione”.

Da tali parole dell’insegnamento del Papa possiamo trarre UNA PRIMA CONCLUSIONE: l’ammalato, unito ai Cuore di Cristo, può diventare strumento di salvezza per il mondo intero. La sofferenza in Cristo diventa elemento costruttivo e necessario per la completezza della salvezza del numero degli eletti.
I sofferenti sono, nell’espressione dal Messaggio del Concilio a coloro che soffrono,”i preferiti del regno di Dio, il regno della speranza, della felicità e della vita; voi siete i fratelli del Cristo sofferente, e con Lui, se volete, voi salvate il mondo “.
“ Voi siete la vivente e trasparente immagine del Cristo”.
Immagine del divin Crocifisso non soltanto per il dolore fisico che lo stimmatizza, ma per sentire con Cristo, acquistando quell’interiore trasformazione che gli fa con diritto dire come S. Paolo “non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me”. Se, infatti, chi soffre vive in unione al Cristo e resta unito a Lui come il tralcio alla vite, necessariamente la sua vita crocifissa acquista la capacità redentiva e liberatrice del Cristo.
Dall’alto della sua croce personale non soltanto avverte e sente ripercuotersi in sé le necessità di tutta l’umanità, ma nel desiderio di contribuire a risollevarla, lui, proprio lui, che sembra estraneo ed inutile alla storia del mondo, si offre con Cristo, sicuro di formare, con il suo dolore, un solo sacrificio con quello del Cristo che dà, in ogni epoca e su qualsiasi situazione, sorgenti di ripresa, di vera fraternità, di speranza sicura.
Per questo Pio XII afferma:
“ Quando i sofferenti pregano, fanno quasi violenza al cielo, costringono, per così dire, il Cuore di Gesù ad esaudire le loro richieste. E scendono le grazie sul mondo; torna la luce, torna l’amore, rinasce la vita”.

SECONDA CONCLUSIONE, che fa vivere ed apprezzare la presenza del malato nella società: noi sofferenti abbiamo una missione da compiere, missione necessaria alla Storia della salvezza, missione insostituibile, vera missione sociale che tocca tutti i componenti della società civile ed ecclesiale.
Come nessuno si può sottrarre, o farne a meno, della salvezza che scaturisce dalla Croce del Cristo, così nessuno può fare a meno dell’offerta di passione che scaturisce dal Calvario anche dell’ultimo sofferente che vive la propria croce, potendo egli con S. Paolo affermare:
“ compio nel mio corpo ciò che manca alla passione di Cristo a beneficio del Suo Corpo Mistico, che è la Chiesa”.
E’ quindi una vera missione che il sofferente svolge nella propria vita.
Paolo Vi ai “Volontari della Sofferenza” il 12 aprile 1972 afferma a questo proposito:
“ Voi nella Chiesa avete la vostra missione, come un prete ha la missione di confessare, di predicare, di dire la Messa “.
“ Chi soffre ha la missione di dare la Sua sofferenza per il bene degli altri. E’ un servizio morale, spirituale che voi fate di inestimabile valore”.
Tanto è la speranza che la Chiesa ripone nella sofferenza degli ammalati che il Vaticano Il fa un esplicito comando ai Vescovi di curare in modo particolare la formazione spirituale di chi soffre per l’evangelizzazione del mondo (ad Gentes, 8).
“Ma anche quelli che non hanno fede, intendono, intravedono – così Paolo VI (12 aprile 1972) – che questo è uno dei segreti più fecondi, più belli, più luminosi della nostra vita terrena, e proprio alla sofferenza è legata la speranza che non fallisce: “ Chi soffre con Gesù, con Gesù trionferà “.
Chi è che ha dato queste speranze, che possono per ogni sofferente essere consolanti realtà?
E’ il Cristo, il divin Redentore che ha proclamato di voler liberare dall’angoscia della morte l’umanità, avvicinandola e unendola nuovamente a Dio Padre per mezzo del Suo divin sacrificio.

L.N. (continua)