Edizioni CVS: Salvifici doloris – 1984 – pag. 71-92
MONS. LUIGI NOVARESE
Fondatore della Associazione
dei Silenziosi Operai della Croce
e dei Volontari della Sofferenza
Per rispondere al tema: “Come la Lettera Apostolica Salvifici doloris può illuminare la devozione al Sacro Cuore di Gesù”, mi sembra opportuno rilevare dalla stessa Lettera i punti salienti che non soltanto si inseriscono, ma sono di vero sostegno per la riscoperta e l’attualità della devozione al Cuore di Gesù, sia sul piano dogmatico, sia, quale logica conseguenza, sul piano devozionale, personale e collettivo.
Dovendo necessariamente, attraverso la Lettera Apostolica, fare riferimento al Cuore di Gesù, ovviamente il riferimento deve essere fatto all’apparizione del Cuore di Gesù a Santa Margherita Maria Alacoque ed al Magistero della Chiesa a questo riguardo.
1. La sofferenza dell’uomo
La Lettera Apostolica Salvifici doloris, nella parte introduttiva, presenta la sofferenza nella sua possibilità costruttiva, data da nostro Signore Gesù Cristo attraverso la sua Passione: viene data infatti all’uomo la possibilità di cooperare con l’offerta dei propri patimenti all’opera della redenzione, “completando quello che manca ai patimenti di Cristo, in favore del suo Corpo che è la Chiesa” (Col 1, 24) e così la sofferenza, inserita dall’uomo nella propria storia, viene presentata nel suo superamento, in forza della passione di nostro Signore Gesù Cristo, “illuminata dalla parola di Dio” e nella sua possibilità di offrire all’uomo perfino la gioia di vivere per la “scoperta del senso della sofferenza” (n. 1); vedi ad esempio i Servi di Dio Suor Elisabetta della SS.ma Trinità, Suor Faustina Kowalska, Giunio Tinarelli, ecc. Evidentemente, partendo da tale base, la sofferenza umana, vissuta con Cristo, acquista la stessa potenza riparatrice e redentrice che Gesù Cristo le ha dato, avendo egli vinto con il proprio sacrificio il peccato e la morte.
“La gioia, infatti, proviene dalla scoperta del senso della sofferenza”, una tale scoperta è “al tempo stesso valida per gli altri” (n. 1), ossia valida per la forza dell’esempio che irradia.
Essendo la sofferenza “un tema universale che accompagna l’uomo ad ogni grado della longitudine e della latitudine geografica, essa è uno di quei punti nei quali l’uomo viene in un certo senso “destinato ” a superare se stesso, e viene a ciò chiamato in modo misterioso” (n.2). Ossia, noi — come ha spiegato il Santo Padre ai lebbrosi di Soradko — in forza della sofferenza che ci colpisce, siamo portati a ricercare fuori di noi la possibilità della nostra salvezza “per diventare veramente noi stessi” (Osservatore Romano, 5-5-1984), cioè creature nuove con le dimensioni soprannaturali, da Gesù Cristo restituite alle anime redente. La Lettera Salvifici doloris non a caso è stata scritta nell’anno giubilare della Redenzione. Tale circostanza è un evidente invito a considerare sotto l’aspetto di questo senso salvifico il male — sofferenza fisica o morale — che circola in ogni uomo di questo mondo e a meditare il richiamo alla riparazione, che, partito dal grido di S. Giovanni Battista, si concretizza poi nell’invito universale rivolto da Gesù Cristo: “Chi vuol venire dietro di
me rinneghi se stesso, prenda la propria croce e mi segua”, che significa, accetti la propria croce, qualunque essa sia, le dia scopo di riparazione e di propiziazione (cf nn. 2-5). Se l’uomo è destinato a superare se stesso ed è chiamato in modo misterioso a scoprire le dimensioni salvifiche della Croce, l’invito alla riparazione, ripetuto in un tempo ben preciso dal Cuore di Gesù a Paray le Moniai e dal Cuore Immacolato di Maria a Lourdes ed a Fatima, è un invito al superamento del dolore universale per farne il grande mezzo di riparazione per il ritorno dell’umanità a Dio e per la pacificazione degli uomini: “La Redenzione infatti, si è compiuta mediante la Croce di Cristo, ossia mediante la sua sofferenza” (n. 3).
La completezza del sacrificio di Cristo, quantunque in se stesso perfetto e di valore infinito, chiama però, per precisa volontà del divin Salvatore, la partecipazione di ogni uomo al suo sacrificio (cf. Col 1, 24), avendo ogni uomo in Cristo e con Cristo possibilità sovrumane. Proprio per questo motivo Giovanni Paolo Il afferma:
“L’uomo diventa in modo speciale la via della Chiesa, quando nella sua vita entra la sofferenza” (n. 3).
In quest’affermazione possiamo cogliere due magnifiche applicazioni:
a) la Chiesa, nella continuità d’azione del suo capo che è Cristo, continua a vivere la missione di evangelizzazione e di salvezza del suo divin Fondatore attraverso la cooperazione redentiva dei propri membri: “la Chiesa, che nasce dal mistero della redenzione nella Croce di Cristo, è tenuta a “cercare l’incontro” con l’uomo in modo particolare sulla via della sua sofferenza” (n. 3)
Data poi l’universalità, specialmente odierna, della sofferenza morale e fisica, sperimentata dall’uomo in ogni continente, questa via della sofferenza è “una delle vie più importanti” (n. 3) per realizzare il richiamo del Cuore di Gesù che mira a fare di ogni uomo un riparatore, un equilibratore quindi tra il bene e il male. L’uomo redento unendo il proprio dolore a quello del Cuore di Gesù, diventa insieme con il divin Redentore, ed a lui subordinato, un dispensatore della divina Misericordia. Se la sofferenza è il libro della storia dell’uomo, ed ancor più il libro della storia dell’umanità, questa via della Chiesa diventa il postulato della Croce, il perenne invito cioè del Cuore trafitto di Cristo ad ogni uomo a Mons. GAY dice che il cristiano che soffre è per nostro Signore “una umanità aggiunta” ossia un prolungamento della sua natura umana.
comprendere il suo amore per il genere umano ed a voler unire la propria croce alla sua per liberare e sostenere il mondo mediante la riparazione.
b) Giustamente si può anche osservare che l’uomo diventa in modo speciale la via della Chiesa quando si fa vicino al fratello sofferente, svolgendo un vero e proprio apostolato: apostolato del singolo sofferente ed apostolato associato, secondo il metodo, per esempio, dei Volontari della Sofferenza e l’insegnamento, del resto, del Decreto sull’Apostolato dei Laici. Ogni battezzato, infatti, unito alla Croce di Cristo, in forza della propria sofferenza, diffonde fra i fratelli di dolore l’invito del Cristo a voler portare con lui la Croce, illuminandoli sul grande potenziale di grazia che essi detengono, responsabilizzandoli in un piano d’apostolato, sulla necessità di riparare e intercedere per il genere umano. Questo è un apostolato quanto mai fecondo, su cui si appoggia la vita della Chiesa, perché sprigiona la forza del Calvario totale, composto dalle sofferenze del Cristo storico e da quelle del Cristo mistico, ossia di tutti i fedeli. Allora la parola del sofferente diventa più persuasiva presso l’altro sofferente, perché, secondo la Salvifici doloris, “gli uomini sofferenti si rendono simili tra loro mediante l’analogia della situazione, la prova del destino, oppure mediante il bisogno di comprensione e di premura e forse, soprattutto, mediante il persistente interrogativo circa il senso di essa. Benché dunque il mondo della sofferenza esista nella dispersione, al tempo stesso contiene in sé una singolare sfida “alla comunione ed alla solidarietà” ” (n. 8).
Giovanni Paolo Il, nella sua lettera autografa diretta ai Volontari della Sofferenza il 24-2-1983 in occasione dell’Anno della Redenzione spiega il motivo della forza persuasiva dei sofferenti in un piano d’apostolato e addita la meta per diventare apostoli presso i fratelli di dolore: “Essi che portano nel loro corpo le stigmate di Cristo” (cf. Gal 6,17) e che hanno imparato ad anteporre le ragioni della vita alla stessa vita, sono certamente più consapevoli della grandezza dell’amore misericordioso che Dio ha testimoniato al mondo in Cristo
Gesù, Crocefisso e Risorto. Che la grazia di Dio dilati sempre più tale amore, che purifica e redime, secondo la larghezza, l’altezza e la profondità di quello di Gesù che, morendo per gli altri, è diventato causa di salvezza e fonte di misericordia! Solo se essi porteranno a tale vertice l’amore, faranno trionfare quella giustizia superiore, di cui il Maestro divino è, nel Vangelo, protagonista e banditore. Se i sofferenti sapranno effettivamente saldare il loro cuore col Cuore di Gesù, squarciato per amore degli uomini, allora saranno con lui apostoli e benefattori dell’umanità”. Il Cuore di Gesù “squarciato per amore degli uomini” è il modello per eccellenza di ogni sofferente che, sul suo esempio e nella sua mistica storica continuità, deve amare, invitare e riparare. L’apostolato del sofferente sarà in proporzione della comprensione dell’amore di Gesù e della risposta che egli sa dare a tale amore salvifico.
Il sofferente, in forza della sua vocazione, è un riparatore nato ed essendo un battezzato, per ciò stesso deve essere un apostolo. Lo stato di sofferenza indica il modo ed il campo dell’apostolato che deve svolgere. Egli deve illuminare il fratello di dolore sulle possibilità che il dolore stesso acquista in Cristo e deve additare le mete soprannaturali che, se egli vuole, può conseguire. La riparazione, richiesta dal Cuore di Gesù a Santa Margherita Maria, è perciò il settore privilegiato di cui ogni sofferente dovrebbe essere il più consapevole ed il più responsabile. Così si esprime infatti Santa Margherita Maria: “Il Sacro Cuore cerca delle anime riparatrici che gli rendano amore per amore e che, con profonda umiltà, domandino perdono a Dio per tutte le ingiurie che gli si fanno” (Lettere 44, 30, 126).
Pio XI nella Miserentissimus Redemptor (n. 12) espone i motivi per cui l’uomo, con la propria sofferenza santificata dalla grazia e con i sacrifici positivi, è tenuto ad offrire un contributo di riparazione al Cuore di Gesù per le ingiurie con cui egli viene offeso. La prima ragione è a “motivo di giustizia: per espiare l’offesa recata a Dio con le nostre colpe e ristabilire con la penitenza l’ordine violato; la seconda è a “motivo di amore: per patire insieme con Cristo paziente e saturato d’obbrobrii e recargli, secondo la nostra pochezza, qualche conforto”.
É questo il compito che spetta a ogni uomo: “L’uomo giunge all’amore misericordioso di Dio, alla sua misericordia in quanto egli stesso interiormente si trasforma nello spirito di tale amore verso il prossimo. Questo processo autenticamente evangelico non è soltanto una svolta spirituale realizzata una volta per sempre, ma è tutto uno stile di vita, una caratteristica essenziale e continua della vocazione cristiana” (Dives in misericordia n. 14).
Nella Salvifici doloris si afferma che “nelle sofferenze inflitte da Dio è… racchiuso un invito alla misericordia”; infatti, “la sofferenza — dice il Santo Padre — deve servire “alla conversione”, cioè “alla ricostruzione del bene” nel soggetto, che può riconoscere la misericordia divina in questa chiamata alla penitenza. La penitenza ha come scopo di superare il male, che sotto diverse forme è latente nell’uomo, e di consolidare il bene, sia in lui stesso, sia nei rapporti con gli altri e, soprattutto, con Dio” (n. 12).
In questa visuale e con queste reali possibilità soprannaturali il sofferente diventa, quindi, il primo apostolo della devozione al Cuore di Gesù: egli porta al proprio simile il messaggio costruttivo e sociale dell’amore misericordioso del Cuore di Gesù.
2. La sofferenza vinta dall’Amore
Gesù Cristo con l’amore ha vinto la sofferenza. La Salvifici doloris molto opportunamente pone in evidenza che “l’amore è anche la sorgente più piena della risposta all’interrogativo sul senso della sofferenza” (n.13). “Dio infatti ha tanto amato il mondo che ha dato il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui bon
muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3, 16). Queste parole, pronunciate da Cristo nel colloquio con Nicodemo, ci introducono nel centro stesso dell’azione salvifica di Dio (n. 14). Esse ci pongono di fronte al mistero dell’amore Trinitario per l’uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio.
“Con la sua opera salvifica, [ossia con la sua morte in croce e risurrezione], il Figlio unigenito libera l’uomo dal peccato e dalla morte, … ciò vuoi dire, per i salvati, che nella prospettiva escatologica la sofferenza è totalmente cancellata”. “In conseguenza dell’opera salvifica di Cristo l’uomo esiste sulla terra con la speranza della vita e della santità eterne. E anche se la vittoria sul peccato e sulla morte, riportata da Cristo con la sua croce e risurrezione, non abolisce le sofferenze temporali dalla vita umana, nè libera dalla sofferenza l’intera dimensione storica dell’esistenza umana, tuttavia su tutta questa dimensione e su ogni sofferenza essa getta una luce nuova, che è la luce della salvezza” (n. 15).
“Cristo si è avvicinato soprattutto al mondo dell’umana sofferenza per il fatto di aver assunto egli stesso questa sofferenza su di sé” (n. 16). Gesù Cristo, infatti, sottolinea con fermezza la via che da tutti deve essere percorsa per arrivare alla Redenzione: portare la Croce con lui e porre la Croce di fronte alla fede che ciascuno deve avere in lui, divin Redentore, che ha vinto il peccato e la morte.
È importante notare come Gesù abbia atteso la professione di Pietro, “Tu sei il Cristo, figlio dei Dio vivente” prima di annunciare la sua passione, morte e resurrezione, indicando così che la fede soltanto è l’accesso alla fornace ardente dei suo Cuore divino che si è sacrificato per la nostra salvezza. La incommensurabile carità è il fondamento della redenzione; la fede ci innesta nella divina carità per mezzo di Cristo Signore nostro, e ci fa comprendere il motivo per cui il divin Redentore si è fatto ubbidiente fino alla morte di Croce. La fede, che nutre e matura l’amore, ci fa partecipi dei meriti di Cristo ed, inserendoci in lui per compiere quanto manca alla sua passione, ci trasforma, per quanto di nostra competenza, in piccoli corredentori.
Il Carme del Servo di Jahvé è la presentazione profetica delle reali sofferenze che nostro Signore Gesù Cristo ha subito per noi e ne indica altresì lo scopo. Il Carme dei Servo sofferente, poi, che contiene una precisa descrizione dei dolori del Cuore di Cristo ci pone davanti alla “profondità dei sacrificio di Cristo” (n. 17) e tale presentazione vivamente richiama la descrizione del Cuore di Gesù fatta da Santa Margherita Maria. Il Cuore di Cristo che porta la trafittura della lancia, circondato da spine e sormontato da una croce è un simbolo tutt’altro che sorpassato; è la proclamazione vera del suo sacrificio redentivo, frutto dei suo amore senza limiti.
Le sue parole: “Ecco quel Cuore che ha tanto amato gli uomini” e quel cuore presentato in mezzo a fiamme, più raggianti dei sole, ben ripetono il suo ardente desiderio di immolazione, come riferito da Luca: “C’è un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato finché non sia compiuto!” (12, 50). li verbo in latino crucior dice l’intensità dell’ardore, dei desiderio di immolazione che si paragona al bruciore di un misterioso fuoco che spingeva il Cuore di Gesù incontro alla passione e lo teneva fermo in Croce fino a che tutte le profezie si fossero compiute.
Santa Margherita Maria, nei disegno del Sacro Cuore che ella stessa ha fatto eseguire, accanto alla corona di spine che circonda il Cuore di Gesù e che direttamente ricorda tutti i dolori della sua passione, ha fatto dipingere un’altra corona a raggiera tutta intorno al Cuore, corona che ben può indicare la sofferenza di ogni uomo, il quale nell’amore del Cuore di Gesù prende vita e, sul suo esempio, accanto a lui, e con la sua forza, sale la via del Calvario, arrivando, attraverso l’amore, alla immolazione di se stesso.
Il segno della Croce posto sul Cuore di Gesù è segno del prezzo e del trionfo dell’Amore ed è la via che ogni cristiano deve percorrere nei sostegno dell’amore misericordioso del Cristo. La Croce posta sul Cuore del Cristo risorto è la mistica Croce dei Cristo storico e mistico, è il prezzo di tutta l’umana sofferenza che gli uomini di tutti i tempi, sulla strada segnata dal sangue di Cristo, suggellata dalla sua risurrezione, hanno con lui pagato per la propria e l’altrui salvezza. Matteo afferma che “alla fine dei tempi, comparirà nel cielo il segno del Figlio dell’uomo. Ed allora si batteranno il petto tutte le tribù della terra…” (24, 30). La Croce, circondata dalle fiamme dell’amore, è una chiara indicazione che chiede un’eguaglianza d’offerta con l’offerta del Cuore di Gesù, nella stessa spinta d’amore fino all’immolazione, nella certezza della vittoria della Croce.
Cristo, afferma Giovanni Paolo Il, con la Croce è entrato nella storia dell’uomo: è una Croce che sprigiona luce, che dà salvezza ed indica la via della salute, proprio come il serpente di bronzo elevato su un’asta di ferro nel deserto per la salute del popolo eletto.
Come non sentire nel Segno del Cuore di Gesù il fremito di speranza che provarono Leone XIII, Pio XI e Pio XII, quando vollero espressamente trattare dell’emblema della Croce che sovrastava il Cuore di Gesù nell’apparizione a Santa Margherita Maria? “Quando la Chiesa dei primi tempi gemeva sotto il giogo dei Cesari, al giovane imperatore [Costantino] apparve nell’alto la croce; era il segno premonitore e al tempo stesso la causa della prossima grande vittoria. Ecco dinanzi ai nostri occhi un altro segno divino che ci promette la felicità: il Sacratissimo Cuore di Gesù, sormontato dalla croce, risplendente in mezzo alle fiamme! In lui dobbiamo porre tutte le nostre speranze, da lui dobbiamo impetrare ed attendere la salute dell’umanità” (Leone XIII Annum Sacrum). É il trionfo del Redentore e dei redenti. L’umanità intera si volgerà una seconda volta verso colui che fu trafitto e tutti crederanno al suo amore.
Nella Salvifici doloris il Papa richiama inoltre la testimonianza delle piaghe gloriose di nostro Signore Gesù Cristo, tra cui quella del Cuore, simbolo dell’amore che lo ha spinto all’obbedienza fino alla morte di Croce, chiamando così l’umanità a risvegliarsi alla luce dell’Amore ed accedere al suo Cuore attraverso la piaga del suo costato rimasta sempre aperta (cf. S. Pietro Crisologo, Discorso n. 108; PL 52, 499-500), attraverso il medesimo sentiero dell’ubbidienza totale, che ripete la parabola del chicco di grano gettato sotto terra.
Inutile parlare dei numerosi temi che potrebbero sorgere a questo punto riguardo all’attualità del culto al Cuore di Gesù che, nella Salvifici doloris, acquista nuovo impulso, in quanto tutti gli uomini sono invitati ad inserirsi nel piano della riparazione quale soprannaturale attività dell’uomo per la salvezza di tutti gli uomini.
Parlando della sofferenza volontaria ed innocente del Cristo, il Santo Padre afferma che “l’ultima sintetica parola di questo insegnamento è la parola della Croce” (n. 18). E la Croce che sormonta il Cuore di Gesù nell’apparizione di Paray-le-Monial, presenta proprio al mondo la sua ultima parola che è quella del supremo amore che culmina nella sua Passione e morte (cf. n. 18). Anche la Madonna, del resto, a Lourdes si presenta tracciando su se stessa un ampio segno di croce, con il crocifisso della corona che aveva tra le mani.
Il Cuore di Gesù prova “la verità dell’amore mediante la verità della sofferenza” (n. 18): il cuore, raggiante d’amore, sormontato dalla Croce e circondato da spine, dice la “profondità del sacrificio” (n. 17), descritto dal profeta Isaia e indica la profonda amarezza per i peccati di tutti i tempi che il Cuore di Gesù, nel suo infinito amore, ha preso su di sé, personalmente riparandoli di fronte al Padre. Il Cuore di Gesù, nella sua apparizione a Santa Margherita Maria Alacoque, dice perciò quanto il Papa afferma nella Salvifici doloris, ossia che l’umana sofferenza “è entrata in una dimensione completamente nuova ed in un nuovo ordine: è stata legata all’amore, a quell’amore del quale Cristo parlava a Nicodemo, a quell’amore che crea il bene ricavandolo anche dal male, ricavandolo per mezzo della sofferenza, così come il bene supremo della redenzione del mondo è stato tratto dalla croce di Cristo, e costantemente prende da essa il suo avvio. La croce di Cristo è diventata una sorgente, dalla quale sgorgano fiumi d’acqua viva (cf. Gv 7, 37-38). In essa dobbiamo anche riproporre l’interrogativo sul senso della sofferenza, e leggervi sino alla fine la risposta a questo interrogativo” (n. 18).
La devozione, quindi, al Cuore di Gesù, giustamente, sarà sempre di grande attualità, in proporzione alla comprensione dell’invito rivolto da nostro Signore Gesù Cristo a Santa Margherita Maria: “Ecco quel Cuore che tanto ha amato gli uomini”, che tanto richiama l’Ecce Homo di Pilato. Ed è proprio nell’esercizio di tale devozione che l’uomo impara a vivere il proprio regale sacerdozio e fare di se stesso un sacrificio. Così dice 5. Pietro Crisologo: “O immensa dignità del sacerdozio cristiano! L’uomo è divenuto vittima e sacerdote per se stesso. L’uomo non cerca fuori di sé ciò che deve immolare a Dio, ma porta con sé ciò che sacrifica a Dio per sé. La vittima permane, senza mutarsi, e rimane uguale a se stesso il sacerdote, poiché la vittima viene immolata ma vive, e il sacerdote non può dare la morte a chi compie il sacrificio” (Discorso 108).
La devozione al Cuore di Gesù vuole essere la proclamazione del suo sacrificio redentivo, frutto del suo amore, che vuole ricambio d’amore.
3. Apostoli del Cuore di Gesù
La carità, considerata in se stessa, è attività costantemente creativa, che in tutte le situazioni ha una potenza inventiva per potere andare incontro alle necessità di ogni uomo. Partecipi, quindi, delle sofferenze di Cristo (Salvifici doloris, c. V), partecipi perciò della fecondità ed operosità della carità di Cristo. Così nella Lettera che stiamo meditando, citando Isaia 53, 10-12, si legge:
“Quando offrirà se stesso in espiazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore” (n. 19).
Il Cuore di Gesù, con la richiesta di riparazione insistentemente fatta a Santa Margherita Maria Alacoque, sembra volerci ricordare che, con la passione di Nostro Signore Gesù Cristo, ogni sofferenza umana si è trovata e continua a trovarsi in una nuova situazione, quella, cioè, di essere associata alla sofferenza di Cristo per il completamento della sua, a beneficio totale della Chiesa.
“La Chiesa.., si edifica spiritualmente come corpo di Cristo. In questo corpo Cristo vuole essere unito con tutti gli uomini, ed in modo particolare egli è unito con coloro che soffrono… In questo quadro evangelico è messa in risalto, in modo particolare, la verità sul carattere creativo della sofferenza… Cristo in un certo senso ha aperto la propria sofferenza redentiva ad ogni sofferenza dell’uomo… la redenzione già compiuta fino in fondo, si compie, in un certo senso, costantemente… [Così che] la sofferenza di Cristo, E ossia la sua opera di riparazione e di riconciliazione come richiesto dal Cuore di Gesù a Santa Margherita] vive e si sviluppa a suo modo nella storia dell’uomo” (n. 24).
La desacralizzazione denunciata dal Vaticano Il, il materialismo teorico e pratico, la lotta contro Dio, ci dicono che il messaggio di Santa Margherita Maria sulla devozione al Cuore di Gesù è oggi più urgente che mai e tale devozione, proprio come fu rivelata, approvata e raccomandata dai Pontefici, trova nella Salvifici doloris la sua piena applicazione, nella continuità dell’Enciclica Miserentissimus Redemptor (1928).
“Il Sacro Cuore — dice Santa Margherita Maria — cerca delle anime riparatrici che gli rendano amore e che, con profonda umiltà, domandino perdono a Dio per tutte le ingiurie che gli si recano”. “É un fatto, mia diletta figlia, che il mio cuore mi ha spinto a sacrificare tutto me stesso per gli uomini, senza che ne avessi da parte loro corrispondenza alcuna. É questa una pena che mi addolora più di ogni altra da me sofferta nella mia Passione” (Lettera 44, 30, 126).
“Se un uomo diventa partecipe delle sofferenze di Cristo, ciò avviene perché Cristo ha aperto la sua sofferenza all’uomo, perché egli stesso nella sua sofferenza redentiva è divenuto, in un certo senso, partecipe di tutte le sofferenze umane. L’uomo, scoprendo mediante la fede la sofferenza redentrice di Cristo, insieme scopre in essa le proprie sofferenze, le ritrova, mediante la fede, arricchite di un nuovo contenuto e di un nuovo significato” (n. 20), che è quello dato da Nostro Signore Gesù Cristo.
Il piano della Croce non è quindi annientamento della persona umana, ma, nella dinamica della carità redentiva, come richiama del resto Santa Margherita Maria Alacoque, è completamento di tutta la dignità dell’uomo, anche nei momenti più difficili, perché l’uomo viene reso, proprio in forza di quella sua precisa debolezza, maggiormente partecipe al piano della gloria finale:
“quando sono debole, è allora che io sono forte…” (2 Cor 12, 10).
La Salvifici doloris, inoltre, sottolinea due aspetti molto importanti della fecondità operosa realizzata dal Cuore di Gesù nel mondo del dolore che, in se stessi, richiamano il fondamento del lamento del Cuore di Gesù a Santa Margherita Maria:
a) la stessa sofferenza umana è stata redenta.
Gesù, presentandosi a Santa Margherita Maria con la ferita del Cuore, la corona di spine che lo circonda e la croce che lo sormonta, dice il prezzo del riscatto. Gesù Cristo, infatti, “proprio per mezzo della sua Croce deve toccare le radici del male, piantate nella storia dell’uomo e nelle anime umane. Proprio per mezzo della sua Croce deve compiere l’opera della salvezza” (n. 16).
Per questa ragione Giovanni Paolo Il riporta le parole dell’Apostolo Pietro: “Voi sapete che non a prezzo di cose corruttibili, come l’argento e l’oro, foste stati liberati dalla vostra vuota condotta ereditata dai vostri padri, ma col sangue prezioso di Cristo, come di Agnello senza difetti e senza macchia (1 Pt 18, 19). Il Redentore ha sofferto al posto dell’uomo e per l’uomo. Ogni uomo ha una sua partecipazione alla redenzione. Ognuno è anche chiamato a partecipare a quella sofferenza mediante la quale si è compiuta la redenzione” (n. 19).
L’uomo, invece, secondo il lamento del Cuore di Gesù si è talmente materializzato e radicato nel proprio io, che arriva anche a negare la storia della salvezza, andando incontro alla propria eterna rovina, come se Gesù Cristo non fosse entrato nella storia dell’umanità per redimerla. Da qui il lamento del Cuore di Gesù sull’in. gratitudine degli uomini verso la manifestazione del suo amore: essi non accettano il Redentore e non capiscono il prezzo della redenzione, cioè il valore della sua sofferenza, sopportata per noi.
b) Operando la redenzione mediante la sofferenza, Cristo ha elevato insieme la sofferenza umana a livello di redenzione.
Ogni uomo, quindi, nella sua sofferenza, può diventare partecipe della sofferenza redentiva di Cristo (cf. n. 19), per cui l’uomo, a livello di redenzione, è soggetto d’azione, perché completa nella propria carne ciò che manca alla passione di Cristo, rispondendo con amore all’amore. “E se [Gesù Cristo] amò così, soffrendo e morendo, allora con questa sua sofferenza e morte egli vive in colui che amò così, egli vive nell’uomo: in Paolo” (n. 20); egli vive dunque in ogni uomo che unisce la propria sofferenza alla sua. E questa è una vera ricchezza elargita dal Redentore all’umanità: gli uomini, se vogliono, possono, secondo l’invito del Cuore di Gesù, riparare la sovrabbondanza dei peccati del nostro tempo.
Il sofferente è nella posizione più nobile, più costruttiva e più necessaria, è il completamento della Croce che appoggia — come luogo preferenziale — sul Cuore di Gesu. Il sofferente è soggetto d’azione, artefice di quell’azione più necessaria: completare la passione di Cristo, dalla cui completezza dipende la forza della Chiesa e la salvezza di tante anime. Per questa ragione Pio XII diceva ai Volontari della Sofferenza l’8 settembre 1957:
“Voi non siete soli, voi non siete inutili” e Paolo VI nella sua lettera ai Silenziosi Operai della Croce, in occasione dell’avvio delle missioni nei lebbrosari e luoghi di lunga degenza in Italia, diceva agli “hanseniani”: “la società ha bisogno di voi”. L’apostolato della riparazione è l’attività che migliaia e migliaia di sofferenti compiono nella consapevolezza della necessità di un amore che sappia sostituirsi a chi non ama, non comprende, o combatte Dio. Tale possibilità costruttiva attraverso la riparazione, è così beatificante e fonte di interna gioia che molti sofferenti trovano nella loro esistenza d’immolazione scopo di vita, attività da svolgere, gioia per guardare il mondo con fiducia, convinti del valore della Croce.
Pio XII, nell’Enciclica Mystici Corporis commenta tale meravigliosa chiamata dell’uomo a cooperare al piano della salvezza, affermando: “Ciò veramente non accade per sua indigenza e debolezza, ma piuttosto perché egli stesso così dispose per maggiore onore dell’interne-rata sua Sposa [la Chiesa]. Mentre infatti moriva sulla Croce, donò alla sua Chiesa, senza nessuna cooperazione di essa, l’immenso tesoro della redenzione; quando, invece, si tratta di distribuire tale tesoro, egli non solo comunica con la sua Sposa incontaminata l’opera dell’altrui santificazione, ma vuole che tale santificazione scaturisca in qualche modo anche dall’azione di lei. Mistero certamente tremendo, né mai sufficientemente meditato:
che cioè la salvezza di molti dipenda dalle preghiere e dalle volontarie mortificazioni, a questo scopo intraprese dalle membra del mistico Corpo di Gesù Cristo” (n. 42).
4. Cooperare all’attività della Redenzione
Cooperare al piano della Redenzione è un dovere per ogni uomo ed è segno della sua maturità totale. Nella Salvifici Doloris la partecipazione alle sofferenze di Cristo trova una duplice dimensione:
a) quella dell’apostolato dell’esempio. Acquista dimensione apostolica qualsiasi attività che si svolga per annunciare e testimoniare Cristo, ma non c’è dubbio che tra gli apostolati il più fecondo sia quello della testimonianza. L’esempio del Cristo crocifisso è, infatti, la perenne forza del richiamo non soltanto della Croce ma anche del modo con cui ci si inserisce in tale piano di amore crocifiggente, mentre la predicazione del divin Redentore, tutta ordinata alla prova della Croce e della Resurrezione, ha acquistato da essa convalida e forza che sfida i secoli. “Se un uomo diventa partecipe delle sofferenze di Cristo, ciò avviene perché Cristo ha aperto la sua sofferenza all’uomo, perché egli stesso nella sua sofferenza redentiva è divenuto, in un certo senso, partecipe di tutte le sofferenze umane” (n. 20).
b) quella dell’apostolato dell’azione. L’inserimento in Cristo impegna a vivere il momento del dolore nella stessa maniera con cui egli l’ha volontariamente annunciato, precisato, affrontato, invitando tutti a seguirlo nel piano della Croce (cf. n. 18). L’apparizione del Cuore di Gesù a Santa Margherita Maria Alacoque è l’apparizione del Cristo risorto che, presentando le sue cinque piaghe, indica all’uomo, a tutti gli uomini, il cuore quale fonte inesauribile di amore che sa sostituirsi ai pesi di colui che ama, sa prenderli su di sé e pagarli, lasciando il cuore aperto quale asilo sicuro per quanti, in qualunque momento della propria esistenza e da qualunque strada essi provengano, si volgono verso di lui.
L’apostolato attivo dei sofferenti impegna ad avere in sé gli stessi sentimenti di Cristo e quindi a sentire nel proprio cuore “l’angoscia”, come dice Luca (12, 50), fino a quando non soltanto il proprio sacrificio sia compiuto, ma fino a quando anche il sacrificio di tutti gli uomini di buona volontà sia offerto a beneficio della Chiesa che è il Corpo di Cristo.
Nell’autobiografia di Santa Margherita Maria si legge: “Se voi sapeste quanto il mio Sovrano mi spinge perché lo ami di un amore di conformità alla sua vita dolorosa! Io non vedo che cosa possa addolcire la lunghezza della vita fuorché il soffrire per amore”. Non sembri inimitabile l’esempio di Santa Margherita: durante il primo Corso di Esercizi Spirituali per ammalati, tenuto nella Casa Cuore Immacolato di Maria a Re di Novara dal 25 aprile al i maggio 1984, una ragazza di circa 26 anni, molto bloccata, al termine degli Esercizi, così si è espressa: “Sono dieci anni che vengo a Re e quest’anno, per la prima volta, nelle parole del Predicatore, ho finalmente scoperto la mia vocazione alla sofferenza. Se noi siamo un dono di amore del Signore così come siamo, tutto si risolve nell’amore di Dio. E dobbiamo fare della nostra vita un dono d’amore a Dio e ai fratelli”.
Dio chiama l’uomo a cooperare all’avvento del suo Regno, a cui egli per sempre prenderà parte. Il prezzo del Regno di Dio restituito all’uomo è la Croce di suo Figlio, unita alla croce di tutte le anime di buona volontà. “Alla prospettiva del Regno di Dio è unita la speranza di quella gloria, il cui inizio si trova nella Croce di Cristo. La risurrezione ha rivelato questa gloria — la gloria escatologica [ossia finale I — che nella Croce di Cristo era completamente offuscata dall’immensità della sofferenza. Coloro che sono partecipi delle sofferenze di Cristo sono anche chiamati, mediante le proprie sofferenze, a prendere parte alla gloria” (n. 22).
Ma la via della Croce è ascesi continua che eleva e porta al totale dominio di se stessi ed alla santità. Per questo Giovanni Paolo Il scrive: “La sofferenza è anche una chiamata a manifestare la grandezza morale dell’uomo, la sua maturità spirituale”. La ragione sta nel fatto che “L’amore è anche la sorgente più piena della risposta all’interrogativo sul senso della sofferenza” (n. 13).
L’attività del sofferente comporta una duplice direttiva:
a) vivere il mistero della redenzione di Cristo, diventando consolatore del Cuore di Gesù;
b) portare il fratello sofferente a scoprire, a sua volta, il mistero della Croce, sostenendo l’estensione ditale programma d’amore in tutte le proprie possibilità.
Nella Dives in misericordia il Santo Padre afferma:
“Cristo, appunto come Crocifisso, è il Verbo che non passa, è colui che sta alla porta e bussa al cuore di ogni uomo, senza coartarne la libertà, ma cercando di trarre da questa stessa libertà l’amore, che è non soltanto atto di solidarietà con il sofferente Figlio dell’uomo, ma anche, in certo modo, “misericordia” manifestata da ognuno di noi al Figlio dell’eterno Padre. In tutto questo programma messianico di Cristo, in tutta la rivelazione della misericordia mediante la croce, potrebbe forse essere maggiormente rispettata ed elevata la dignità dell’uomo, dato che egli, trovando misericordia, è anche, in un certo senso, colui che contemporaneamente “manifesta la misericordia”?” (n. 8).
In questa maniera “mediante la loro sofferenza, essi [i sofferenti], in un certo senso, restituiscono l’infinito prezzo della passione e della morte di Cristo, che divenne il prezzo della nostra redenzione” (n. 21). I sofferenti possono quindi essere consolatori del Cuore di Gesù e luce per i fratelli: “In questa concezione soffrire significa diventare particolarmente suscettibili, particolarmente aperti all’opera delle forze salvifiche di Dio, offerte all’umanità in Cristo” (n. 23).
Nei sofferenti “quindi si compie il vangelo della sofferenza e, al tempo stesso, ognuno di essi continua in un certo modo a scriverlo: lo scrive e lo proclama al mondo, lo annuncia al proprio ambiente ed agli uomini contemporanei…”. Questa è, infatti, soprattutto una chiamata. É una vocazione” (n. 26). É una scoperta che porta alla gioia, nel poter seguire Cristo proprio nel fine sublime della sua incarnazione e nel comprendere che, quantunque isolati e magari dimenticati, non si è ai margini della vita, ma si è, invece, strumenti di bene fecondo, fino agli estremi confini del mondo in virtù della dinamica del Corpo Mistico. “Davanti al fratello o alla sorella sofferenti Cristo, infatti, dischiude e dispiega gradualmente gli orizzonti del Regno di Dio” (n. 26).
“La fede nella partecipazione alle sofferenze di Cristo [rafforzata nella considerazione del Cuore trafitto di Cristo risorto] porta in sé la certezza interiore che l’uomo sofferente completa quello che manca ai patimenti di Cristo, che nella dimensione spirituale dell’opera della redenzione serve, come Cristo, alla salvezza dei suoi fratelli e sorelle. Non solo quindi è utile agli altri, ma per di più adempie un servizio insostituibile” (n. 27). Tale servizio insostituibile è stato sottolineato dall’Immacolata a Fatima, quando ha domandato preghiere e penitenza per riparare i peccati che offendono il Cuore di Gesù ed il suo Cuore Immacolato. E noi sappiamo che la prima penitenza imposta da Dio all’umanità è la santificazione del lavoro e del dolore. Per ciò tutta l’umanità deve inchinarsi dinanzi al Cuore di Cristo, perché tutto il creato e prima di ogni cosa l’uomo, sia ricapitolato in Cristo, attraverso la Croce.
Particolare importanza ha il richiamo all’esempio del Buon Samaritano, che nella Salvifici doloris viene presentato a un mondo distratto, materializzato, attirato soltanto dagli interessi e dai miraggi di supremazia, dimentico delle necessità dell’uomo. Grande sviluppo dovrebbe avere questo richiamo che ci porta sulle orme del Buon Pastore! Ci sia sufficiente notare i punti salienti che il Santo Padre stesso ha indicato e che sono frutto dell’amore vivido e fecondo del Cuore di Gesù che, non soltanto si ferma al pozzo di Sicar, ma va anche in cerca della pecorella smarrita e continuamente bussa al Cuore del peccatore perché ritorni alla Casa del Padre, attendendo il suo ritorno. “La Parabola del Buon Samaritano, che… appartiene al vangelo della sofferenza, cammina insieme con esso lungo la storia della Chiesa e del cristianesimo, lungo la storia dell’uomo e dell’umanità. Essa testimonia che la rivelazione, da parte di Cri sto del senso salvifico della sofferenza non si identifica in alcun modo con un atteggiamento di passività. E’ tutto il contrario. Il Vangelo è la negazione della passività di fronte alla sofferenza. Cristo stesso in questo campo è soprattutto attivo. In questo modo egli realizza il programma messianico” (n. 30).
Ma, chi sono i veri sofferenti? Non può forse proprio il sofferente, che dispone di più tempo ed ha facoltà approfondite di osservazione, essere proprio lui il buon samaritano del fratello sano? E’ dalla croce che fiorisce la speranza, spunta la vita, rinasce l’amore: “I malati quando pregano fanno quasi violenza sul Cuore di Cristo” (Pio XII ai Volontari della Sofferenza, 1957).
Si realizza così quanto indica il Santo Padre: “lo svelare l’uomo all’uomo e fargli nota la sua altissima vocazione è particolarmente indispensabile” (n. 31).
Il Santo Padre, con molta intuizione delle esigenze del cuore umano, indica il comportamento che ciascuno deve avere di fronte al fratello bisognoso quale segnaletica della inventiva della carità ed ammonisce: “La prima e la seconda parte della dichiarazione di Cristo sul giudizio finale indicano senza ambiguità come siano essenziali, nella prospettiva della vita eterna di ogni uomo, il “fermarsi”, come fece il Samaritano, accanto alla sofferenza del suo prossimo, l’aver “compassione” di essa ed infine il dare aiuto” (n. 30).
Conclusione
“Occorre, pertanto, che sotto la Croce del Calvario idealmente convengano tutti i sofferenti che credono in Cristo e, particolarmente, coloro che soffrono a causa della loro fede in lui crocifisso e risorto, affinché l’offerta delle loro sofferenze affretti il compimento della preghiera dello stesso Salvatore per l’unità di tutti” (n. 31).
Accanto alla Croce di Cristo l’umanità incontrerà Colei che, con il suo sì, ha aperto la via al piano della redenzione e con la sua condivisione al piano della Croce non soltanto ha pagato il prezzo della propria santificazione, ma, insegnando ad ogni uomo il comportamento che deve tenere al seguito di Cristo, lo sostiene, con suo amore come ha sostenuto il suo divin Figlio nell’ora della prova (cf. n. 25). “Insieme con Maria, Madre d Cristo, che stava sotto la Croce, ci fermiamo accanto a tutte le croci dell’uomo” (n. 31), perché ogni croce di venti faro di luce che illumina e assicura l’uomo che in cerca della verità.
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