L’Ancora: n. 5 – maggio 1964 – pag. n. 4-6
Sovente a noi ammalati è venuta la parola dei Pontefici, specialmente da Pio XII in poi. Ci sia sufficiente ricordare il primo Messaggio fatto da Pio XII su richiesta dei «Volontari della Sofferenza» all’inizio dell’Anno Santo: “Come il Suo Padre celeste ha inviato Lui, cori Egli invia voi; e la missione che Egli vi affida. Noi, Suo Vicario, quaggiù, la confermiamo e la benediciamo”
Giovanni XXIII, ricevendoci in S. Pietro il 19 marzo 1959 disse: «In questo apostolato non vi è settore che rimanga precluso alla loro possibilità; a tutti possono far giungere i benefici della Redenzione, molti dei quali non si sarebbero salvati se essi non avessero pregato e sofferto ».
Paolo VI fin dall’inizio del Suo Pontificato Si è rivolto ai sofferenti con chiarezza di programma e di parola. Non si è limitato a parole di conforto ma con fermezza di idee, in un crescendo continuo, ha tracciato il programma degli ammalati, esplicitamente parlando di vocazione della sofferenza, di insegnamento, di Cristo da imitare, di necessità sociale di sfruttare il tesoro del dolore a beneficio di tutti. Di rado in così breve periodo di pontificato si ha la fortuna di avere una direttiva completa in un dato settore dell’apostolato. Le parole poi pronunciate da Paolo VI il Venerdì Santo u.s. al termine della Via Crucis al Colosseo hanno qualcosa di ispirato sia per il richiamo che veniva a concludere pressanti appelli fatti da Lui e dai Suoi successori, sia per il luogo in cui venivano proferite, il Colosseo, e sia, infine, per Il giorno in cui venivano dette: venerdì santo, giorno dell’insegnamento della Croce.
Credo che raramente si siano sentite le parole di un Papa penetrare con tanta profondità nel cuore dei fedeli: «Gesù chiama il dolore a uscire dalla sua disperata inutilità e a diventare fonte positiva di bene, fonte non solo delle più sublimi virtù che vanno dalla pazienza all’eroismo e alla sapienza, ma altresì alla capacità espiatrice, redentrice, beatificante ».
Se vogliamo trovare un confronto dobbiamo aprire il Santo Vangelo al prologo di S. Giovanni: «In principio c’era il Verbo ed il Verbo era presso Dio e Dio era il Verbo ».
E’ la rivelazione che si squarcia dinanzi al nostro sguardo, la rivelazione dell’intimità di Dio, dell’amore di Dio che si incarna, del mezzo che Dio ha scelto per riconciliare con se stesso l’umanità.
Non comprendono i sapienti del mondo il linguaggio semplice di Dio scritto nella natura con chiarezza cristallina, ed i mezzi da lui scelti per rovesciare i piani degli astuti.
Gli uomini hanno bisogno di calcoli e piani attentamente ponderati; a Gesù sono bastati due pali di legno, cresciuti nell’immensità della creazione per abbandonare su di essi il proprio corpo ed offrirlo, come su di un altare, al Padre di tutto il Creato. Ma Cristo non è morto per sempre. Egli è risorto. Dall’alto della sua croce ha reso vive le programmatiche parole, «chi vuol venire dietro di me prenda la sua croce e mi segua ». E’ un invito, è una condizione, è una sigla di predestinazione. E’ una chiamata universale, essendo egli venuto a chiamare tutti gli uomini di buona volontà, ma, in modo particolare, è un vivo appello a comprendere il valore della trasformazione radicale prodotta dalla croce.
Il dolore ed il lavoro hanno ora un significato ben diverso da quello di sola condanna. Non sono elementi muti, pesanti, che si sopportano perché non si possono evitare. Alla luce del Cristo e nell’esempio del Suo sacrificio hanno una voce forte, possente, determinante delle svolte storiche. Questo richiamo venne dopo che il Papa ha peregrinato in Terra Santa sulle orme di Gesù; lì il Capo visibile della Chiesa militante ha mescolato le sue lacrime di commozione con le lacrime del Divin Fondatore della Chiesa.
Gesù è la grande realtà di tutti i secoli; la realtà di ieri e di domani; la realtà che non cessa di essere attuale; la realtà che ha sempre una parola da dire, parola che noi per bocca di Paolo VI abbiamo inteso: « Gesù chiama il dolore ad uscire dalla sua disperata inutilità ». Parole gravi e dense di responsabilità per chi le ascolta perché denunciano un dato di fatto ed additano nuovi orizzonti. Parole impegnative perché pronunciate dal Papa, da Colui che guarda le cose del mondo nella grande visuale di Dio. E’ Paolo VI che facendo sua la dottrina del Dottore delle genti, perentoriamente ci richiama il luminoso lavorio della grazia che trasforma, divinizza e rende capaci di meriti eterni. Un dato di fatto viene denunciato con le parole del Papa, ed è la mentalità edonistica attuale che non considera il male nella luce positiva cristiana; è il modo di soffrire in tanti ambienti ospedalieri, ove tutto si pratica meno la vita cristiana; è la cattiveria umana che, per fini interessati, specula anche sui sofferenti, senza badare che togliendo Dio dal cuore di un infermo gli spezza il motivo della propria esistenza. insonni, l’uggia delle giornate monotone, le cure non apprestate con la dovuta prontezza, la mancanza degli aiuti dovuti, la trascuratezza da parte di persone care.
Questo è quanto Gesù ha trasformato dall’orto degli Ulivi alla morte in Croce. Questo è quanto costituisce tutto l’insegnamento del grande cuore del regnante Pontefice.
L.N.
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