L’Ancora: n. 4 – aprile 1953 – pag. n. 1-3

«Il dolore sopportato ed abbracciato cristianamente è una forma consumata di preghiera», ci ha detto l’Eminentissimo Cardinale Agagianian.
Dopo aver considerato la forza di questa preghiera, che strappa le anime al nemico delle anime nostre, esaminiamo ora l’obbligatorietà per i sofferenti di vivere in grazia di Dio allo scopo di essere spiritualmente produttivi.

Il concetto di obbligatorietà ha due fonti:
obbligatorietà per giustizia e per carità.
Si è tenuti per debito di giustizia a fare o dare qualcosa se vi sono obblighi contrattuali, norme positive, legami naturali come tra padre e figlio ecc. ecc.
Si è invece tenuti per debito di carità se ciò che si fa è una pura liberalità. Però la carità può anche impegnare sotto colpa grave, tenute conto le necessità di chi richiede, la possibilità della persona richiesta, l’obbligo derivante dell’ufficio, es. un sacerdote è tenuto a portare gli ultimi sacramenti anche con rischio della propria vita.
Non si può restringere l’obbligo di soffrire in grazia di Dio, ad una data categoria di persone, perché tutte le persone hanno qualcosa da soffrire, il lavoro stesso è una sofferenza, e a tutti incombe l’obbligo della penitenza.
Il problema ha un carattere generale, che riguarda tutti gli uomini ed ha pure un carattere più ristretto di più forza, ossia, di maggior ragione che riguarda chi soffre.

Carattere generale per i sani e per gli ammalati: 
l’uomo è tenuto per giustizia a vivere in grazia di Dio e questo perché:
1) dalla venuta di Nostro Signore Gesiù Cristo, che ci ha insegnato in quale maniera Dio intende essere adorato, l’uomo non può rifiutare il messaggio d’amore di Gesù; egli deve andare a Dio e prestargli il culto nel modo da Lui voluto e non arbitrariamente;
2) Dio, mediante Nostro Signore Gesù Cristo, fa partecipe l’umanità della sua stessa vita divina, « consortes divinae naturae ». Siano, come dice San Paolo « deificati ». L’uomo non può rifiutare questo dono immenso che lo pone in un piano al disopra della sua natura umana, egli è tenuto ad accettarlo per debito di giustizia non appena lo abbia conosciuto, sotto pena di eternamente dannarsi se al termine della sua vita non sarà trovato rivestito della grazia, liberalmente offertagli da Dio, tramite nostro Signore Gesù Cristo, mediante lo Spirito Santo.
3) L’uomo con il peccato ha rotto le relazioni che aveva con Dio. Per giustizia è tenuto a riparare. Essendo egli impossibilitato di farlo, Gesù si è preso tutte le colpe sulle sue spalle e si è fatto nostro mallevadore di fronte a Dio. L’uomo deve, per debito di giustizia essere solidale col Cristo, perché come S. Paolo afferma, tutti con Cristo siamo stati crocifissi, tutti con Cristo siamo morti, tutti con Cristo siamo risorti nella nuova vita. Non accettare questa solidarietà col Cuore riparatore di Gesù vuol dire porsi in stato di debitori insolventi di fronte a Dio.

L’uomo quindi è tenuto a riparare mediante la sua adesione al Cristo che lo porta a vivere secondo Dio e non secondo la carne. Questo piano è comune a tutti i fedeli. Nessuno è escluso perché in un piano soprannaturale tutti peccatori, tutti con debiti da saldare, tutti uniti in Cristo nostro capo.
Gli effetti di questa nostra unione a Cristo sono superiori a tutte le nostre umane possibili prospettive. Dio in noi, noi in Lui, formanti una cosa sola come Cristo col Padre. Come è bella allora la forza della nostra preghiera, come è produttiva, soprannaturalmente parlando la nostra vita, anche nelle sue manifestazioni più umili.
In questa maniera, tutti fanno penitenza con il lavoro, con le proprie incombenze, con i doveri del proprio stato, che così spesso urtano contro i desideri della natura umana, corrotta dal peccato ma rielevata e sostenuta dalla Grazia.
Tutte le creature unite al Cristo in questa maniera pagano i propri debiti, contratti col Padre celeste. Tutte le creature, sia che esse lo vogliano o no, sono soggette a questa legge generale di penitenza mediante il lavoro, la sofferenza e la morte.
Queste tre forme di penitenza, lavoro, sofferenza e morte, sono comuni a tutti gli uomini, tutti sono tenuti per giustizia a riparare l’ordine armonico di amicizia con Dio, infranto col peccato.

E la creatura è tanto tenuta a saldare questo debito di giustizia che se al termine della propria vita è ancora ritrovata, anche in parte, insolvente, deve scontare in purgatorio fino a che il suo debito sia completamente saldato.
In questo piano generale di comune ed universale dipendenza da Dio non solo in quanto creature sue ma in quanto suoi debitori, esiste una classe di persone che ha da Dio l’incarico di esercitare la funzione dei ricchi della cristiana società. Queste persone hanno più tesori degli altri, hanno più monete con cui pagare non solo i debiti propri ma anche quelli altrui, hanno più risorse.

E’ questa la categoria dei sofferenti. Essi infatti hanno l’incarico di perpetuare il Sacrificio di Cristo. Essi vivono quali ostie a Dio offerte con le stesse finalità, con cui si è offerto Gesù Cristo stesso sulla Croce. Essi hanno, in virtù del proprio stato di sofferenti, più possibilità di riparare che altri non hanno.

(continua)

L. N.