L’Ancora: n. 8/9 – agosto/settembre 1976 – pag. n. 3-57
I PARTE
« Il Centro Volontari della Sofferenza è tenuto a dare la propria testimonianza. E’ per il Centro un dovere ed una responsabilità di fronte a Dio ed alla Chiesa vivere secondo il proprio essere che ha ricevuto dalla Chiesa stessa».
II PARTE
«L’apostolato, in concreto, alla luce di questi principi».
I PARTE
IL MOMENTO STORICO CHE STIAMO VIVENDO, IN CUI RISCONTRIAMO NATURALISMO, DISSACRAZIONE, EDONISMO, MATERIALISMO PRATICO E TEORICO, ESIGE, QUALE CONTRAPPESO, UN’AZIONE PRECISA, DIRETTA NON SOLTANTO A PORRE IN EVIDENZA LE LORO LACUNE, MA A COMBATTERE ED EDIFICARE ECCLESIALMENTE E SOCIALMENTE IN PIANO OPPOSTO.
Il Centro Volontari della sofferenza oggi deve dare il proprio contributo, i propri frutti.
ESIGONO QUESTI FRUTTI:
1) I VESCOVI, che ci hanno approvato e che ci hanno accolto nelle proprie Diocesi. Essi hanno bisogno di questo apporto perché il piano apostolico appoggia sulla completezza dell’offerta del Calvario: offerta del Cristo storico e del Cristo mistico.
Ne hanno bisogno per la loro Chiesa locale intera: conversione di anime ed iniziative apostoliche.
La completezza del Calvario che salva l’umanità non può essere divisa: SENZA LA NOSTRA ADESIONE E SENZA LA NOSTRA PARTECIPAZIONE, INUTILE SAREBBE LA REDENZIONE STESSA.
I Vescovi, quindi, veri successori degli Apostoli, animati e sostenuti dallo Spirito Santo, attendono che il Centro dia i suoi frutti.
In tantissime occasioni i nostri Vescovi, che con vero amore di pastori e di padri seguono il nostro apostolato ed il Santo Padre stesso nei Suoi Documenti ufficiali, ci hanno fatto sentire le loro attese.
2) LA CHIESA che ha accettato il programma; l’ha consacrato con la propria approvazione ed è così diventato un programma di azione precisa che corrisponde alle esigenze dei tempi.
Mediante l’approvazione definitiva, data da Papa Giovanni XXIII, con Breve Apostolico «Valde Probandae» del 24 novembre 1960, il Centro deve camminare secondo le, proprie finalità con i mezzi approvati; finalità e mezzi sono così diventati intoccabili al di fuori del Santo Padre!
I FRUTTI CHE LE CHIESE LOCALI ATTENDONO E, PER RIFLESSO, CHE LA CHIESA UNIVERSALE ESIGE, SONO:
A) apporto di preghiera
Apporto di preghiera significa e richiede un vero e sentito ritorno alla preghiera vocale e mentale, personale e comunitaria. Ritorno alla preghiera:
a) come tempo dovuto alla preghiera,
b) come modo di pregare, in un’epoca di esaltazione del dinamismo e della fiducia nei propri piani di attività, fino al parossismo.
La Madonna nostra vera Madre e Maestra nei Suoi precisi interventi a Lourdes ed a Fatima, sottolinea il modo ed il tempo della preghiera.
Basti considerare la durata delle Sue apparizioni a Lourdes ed a Fatima e le ore date alla preghiera tanto con la piccola Bernardetta, quanto con i Pastorelli di Fatima.
B) apporto di penitenza
L’apporto della penitenza va dalla metànoia (cambiamento o conversione personale che è la prima penitenza che va realizzata in se stessi) alla penitenza che è accettazione, delle conseguenze del peccato, lavoro e sofferenza, santificandoli in unione a Cristo e facendo li diventare mezzi di conquista.
Dalla metànoia alla penitenza di accettazione c’è ancora spazio per la penitenza volontaria, che tocca mente e corpo, come dice Paolo VI nella Sua Esortazione Apostolica «Poenitemini», e che, dalla finalità di riparazione si estende anche alla finalità parallela della Impetrazione.
L’idea, della necessità della preghiera e della penitenza si era così impressa nella mente dei tre bambini scelti dalla Vergine Santa, che essi diventarono assidui e costanti nella recita del Santo Rosario ed, eroici nelle penitenze corporee. Il richiamo alla moderazione dato dall’Immacolata ai bambini di Fatima per l’uso della corda stretta alla, vita anche durante la notte e la penitenza positivamente fatta compiere a Santa Bernardetta, in pubblico, alla Grotta e continuata poi per tutta la propria esistenza, sono indice di quanto i veggenti di Lourdes e di Fatima siano rimasti impressionati dal richiamo della Madre della Chiesa.
C) Sottomissione vera, sentita, filiale alla Gerarchia. BASTA CON LE CONTESTAZIONI AI VESCOVI!
Le pecore non si mettono contro il pastore ed i figli non si pongono contro i responsabili delle loro anime. In base a questo vitale principio il Centro, nella sua strutturazione interna e nel suo dinamismo esterno deve realmente svolgere, non dico un’azione di parole, ma un’azione che testimoni una vera e cordiale sottomissione di figli, che collaborano al bene della Chiesa.
La Madonna a Lourdes ha subordinato il desiderio di avere una Cappella al consenso della Gerarchia. «Va a dire ai preti che desidero che si costruisca qui una Cappella».
A Fatima invita a pregare per il Papa, quindi per i Vescovi, i Sacerdoti ed il loro sacro ministero.
Del resto l’Immacolata non poteva fare diversamente, Salito al Cielo il Suo divin Figlio, l’Immacolata ha unito i Suoi passi ai passi dei Vescovi. E’ rimasta con Giovanni e l’ha seguito. .
E’ stata sottomessa anche Lei alla Gerarchia;
DAGLI APOSTOLI HA RICEVUTO L’EUCARESTIA; E’ RIMASTA NEL CENACOLO PERNO DI UNITA’ NELLA GERARCHIA E RICHIAMA OGGI ANCHE NOI ALLA STESSA SOTTOMISSIONE.
IL TITOLO, OSSIA IL MOTIVO PER CUI NOI DOBBIAMO DARE TALE PRECISO APPORTO E’ TRIPLICE: QUELLO DI GIUSTIZIA, DI CARITA’ E DI ADESIONE DEGLI ISCRITTI:
a) DI GIUSTIZIA. Il Centro ha la sua vita, il suo essere ecclesiale (ricevuto proprio dalla Chiesa) per un preciso scopo: realizzare in sé ed attorno a sé le linee presentate dall’Immacolata.
Noi siamo nel Centro Volontari della Sofferenza non soltanto per un piano formativo di ascetica personale, ma anche per un piano di dinamica apostolica, di testimonianza, vale a dire di intervento ecclesiale.
La Santa Sede ha accettato che noi siamo lievito nella Chiesa, perché le Richieste dell’Immacolata (come ci ha detto Paolo VI) siano portate in tutto il mondo: «Un pensiero speciale vada a quanti promuovono ed assistono a codesta provvida iniziativa, intesa a mettere in valore cristiano la sofferenza ed a tessere vincoli di unione organizzativa e spirituale ai Nostri malati…» (26 maggio 1968).
NON VIVERE IL PROPRIO FINE, PER IL CENTRO SIGNIFICA TOGLIERSI LO SCOPO DI ESISTENZA, SVUOTARSI, SNATURARSI.
L’insegnamento dei Papi, proprio a noi dato, è una vera esortazione a dare questo apporto quale caratteristica organica e canonica rispondente alle, esigenze dei tempi.
Basta ricordare il discorso di Paolo VI rivolto proprio ai «Volontari della Sofferenza» il 26 maggio 1968, nel quale espressamente afferma: «Noi allarghiamo gli orizzonti della vostra visuale di generosità» e cioè intendo presentare obiettivi precisi per i quali voi sappiate che dovete lavorare, sostenere con la vostra preghiera e con il vostro sacrificio.
Vi porto a conoscenza di una decisione della Sacra Congregazione per il Clero, del 26 ottobre 1960, che mira a salvaguardare il diritto ed il dovere del Centro di svolgere le proprie finalità.
Alla Congregazione per il Clero era stato da noi proposto il seguente quesito:
«La vita in comune che gli associati hanno e la stessa Regola e facoltà di cui godono sono da ritenersi soltanto per lo sviluppo interno dell’ Associazione “Silenziosi Operai della Croce”, senza alcun riferimento all’apostolato esterno verso i “Volontari della Sofferenza” anche se da essi dipendono in piano nazionale ed internazionale?».
“La Sacra Congregazione cosi ha risposto:
« La vita comunitaria dei “Silenziosi Operai della Croce” è evidentemente, in ordine allo Statuto che li regola, in rapporto al lavoro apostolico che devono svolgere, sia in piano nazionale che internazionale, secondo il beneplacito che i Vescovi danno, nell’intento di istruire, formare e sostenere gli associati che aderiscono tanto ai “Volontari della Sofferenza” quanto ai “Fratelli degli Ammalati” od alla “Lega Sacerdotale Mariana”.
Tenete presente che la mia richiesta si era fermata soltanto ai “Volontari della Sofferenza”, e invece la Sacra Congregazione ha preso, tutto l’ambito dell’apostolato.
« Avendo – continua la medesima risposta – i “Silenziosi Operai della Croce” uno statuto approvato dalla Santa Sede, con specifiche finalità e mezzi di apostolato verso le categorie a cui si dirigono, ne consegue che se il Vescovo accetta nella propria diocesi una comunità di “Silenziosi Operai della Croce”, autorizzando l’apertura di una Casa per lo svolgimento dell’apostolato secondo le finalità della Regola precedentemente già vista ed accettata, deriva ai membri dell’Associazione il relativo diritto e dovere di svolgere, anche direttamente, evidentemente, sempre sotto il controllo dell’Ordinario, l’apostolato verso la categoria dei fedeli per cui essi sono stati accettati a lavorare in Diocesi».
Firma: Cardinale Pietro Ciriaci, Prefetto della Sacra Congregazione.
E’ quindi preoccupazione viva della Chiesa, dare la testimonianza per cui ci ha creati.
Ne abbiamo il dovere, ne abbiamo il diritto e dove il Vescovo ci accoglie dobbiamo sentire la responsabilità della formazione degli iscritti nelle linee statutarie e nella direttiva pratica dei Vescovi e delle varie Chiese locali.
In secondo luogo tale apporto del Centro va dato per titolo
b) DI CARITA’. Il principio di carità va visto in rapporto al bisogno che la società, la Chiesa e le anime hanno.
Il principio fondamentale non può essere diverso da quello posto da Nostro Signore Gesù Cristo: «Amerai il Signore Dio tuo ed il prossimo come te stesso» ed il «come» è termine di paragone che impegna in proporzione alle esigenze dei fratelli, rapportate al desiderio che noi avremmo di essere aiutati se fossimo in quelle precise circostanze.
Come allora non sentire ti bisogno di dare un aiuto concreto, in piano spirituale, forse determinante, che potrebbe anche modificare le situazioni, quando ci si trova di fronte ad una famiglia dissacrata, come vediamo in Italia, di fronte ad una imminente legalizzazione dell’aborto, di fronte ad uno svuotamento della vita e degli impegni cristiani fino a perdere il senso del vincolo della consacrazione a Dio con il Battesimo, e con la stessa Consacrazione fatta di se stessi a Dio per il servizio alla Chiesa ed alle anime?
QUANDO SENTIAMO IMPOSTAZIONI CHE NON SONO PIU’ ISPIRATE ALL’INSEGNAMENTO DEL VANGELO, MA SEMPLICEMENTE AI VALORI UMANI E NATURALI E’EVIDENTE CHE LA FEDE SI E’ ILLANGUIDITA E CHE IL CRISTO NON E’ PIU’ VIA, VERITA’ E VITA. IL BISOGNO IMMEDIATO HA PRESO IL POSTO DEL PRINCIPIO ISPIRATORE DELL’ESISTENZA: LA PAROLA DI DIO. OGGI L’UMANITA’ HA PERSO IL SENSO DEL PECCATO. QUESTO E’ IL MALE PIU’ GRAVE. DI FRONTE AL DILAGARE DEL MALE C’E’ UNA SOLA E PRECISA ESIGENZA, QUELLA DELLA RIPARAZIONE.
E siccome i peccati sovrabbondano, l’impegno della riparazione’ riveste un carattere di. estrema e gravissima necessità.
Oggi con la riparazione vera, sentita, vissuta, possiamo, forse, ancora, allontanare dalla Chiesa e dalla società situazioni dolorosissime; domani, forse sarà la sofferenza generale e la difficoltà di vivere la propria fede, che diventeranno penitenze che laveranno e ricostruiranno, attraverso magari la prova del sangue, la fedeltà a Cristo ed alla Chiesa.
OGGI NON SI PUO’ TERGIVERSARE; OCCORRE VIVERE DI FEDE E, IN CONSEGUENZA, OPERARE IN SPIRITO DI SINCERITA’ CONFORMEMENTE AI PRINCIPI STIMOLANTI E NELLO STESSO TEMPO LIBERANTI DEL BATTESIMO.
Rileggiamo dalla Sacra Scrittura i vari e ripetuti inviti fatti da Dio al popolo eletto affinché si ravveda e con la penitenza possa evitare le conseguenze delle infedeltà.
Sia questo un preciso lavoro dei Centri diocesani e dei Gruppi di avanguardia.
Questa impellente esigenza di carità ha per riflesso e specchio il «misereor super turbam», «ho compassione di questa gente»; una compassione però che non è sentimento esterno, sterile (vedi la Lettera di S. Giacomo), ma una compassione che è «patire con», ossia un bisogno di inserirsi come il Verbo Eterno nella umanità per redimerla; un bisogno di essere con i fratelli, sentirsi con essi corresponsabili per salvarli. .
Occorre, come il Buon Pastore, scendere fino in fondo dove c’è la pecora smarrita per riportarla all’Ovile; occorre, quindi, carità viva, attiva, sofferta come e con Cristo perché le anime si salvino.
Il nostro Centro che ha una precisa missione di riparazione, una sua specifica qualifica, un suo essere, se non compie il proprio dovere, non soltanto è nella Chiesa un vuoto terribile, ma una privazione di apporto, di quell’apporto che dovrebbe dare per forza statutaria e per virtù del proprio essere ecclesiale.
Ecco di questa necessità estrema sono le parole della Vergine Santa: «Molte, molte sono le anime che vanno all’inferno, perché non c’è chi preghi e chi si sacrifichi per loro».
Denuncia precisa; denuncia che tocca tutti i cristiani, ma in modo particolare coloro che hanno dato la propria adesione ad un piano di rinnovamento spirituale presentato dalla Vergine Santa, attraverso la preghiera e la riparazione.
Accanto alla responsabilità generale di riparazione in vista di una vera risurrezione di anime che tocca tutti i battezzati, c’è pure una responsabilità vocazionale.
La responsabilità è in proporzione all’importanza ed alla necessità della vocazione stessa.
Non entro nella questione della vocazione del sofferente; se ne è parlato tante volte.
Sia qui sufficiente richiamare il rendiconto che inesorabilmente si farà al termine dell’esistenza terrena, quando ci domanderà conto come abbiamo trafficato i nostri talenti.
Questo è un principio essenzialmente teologico aderente «ad litteram» al Santo Vangelo ed all’insegnamento paolino del Corpo Mistico.
Ogni vocazione nella Chiesa è a sostegno l’una dell’altra e chi ha avuto di più, chi ha avuto una vocazione specifica deve adeguatamente corrispondere.
Il principio vocazionale è fuori discussione: lo Spirito chiama come vuole, con sovrana libertà.
La creatura è tenuta ad esaminare la voce dello Spirito ed a convenientemente corrispondere.
L’imperativo della carità esige che la vocazione sia vissuta in tutte le sue dimensioni per non sentirsi dire: «ti sarà tolto anche quanto ti è stato dato».
Nella preghiera insegnataci da Gesù Cristo, quotidianamente imploriamo, «la tua volontà sia fatta…» ossia, sia da me attuata, senza alcuna mia preferenza, secondo le esigenze dei fratelli, che con me costituiscono una sola realtà soprannaturale nel «Corpo Mistico».
Chi oserebbe dubitare della responsabilità del Sacerdote o pastore che non svolge la sua vita di buon pastore, che non denuncia, che non grida, che non interviene con la propria testimonianza personale e con l’azione propria vocazionale?
Nel piano di Dio la responsabilità del giudizio pone in evidenza che chi ha più responsabilità, di più dovrà rispondere.
Un’anima consacrata, che ha una precisa vocazione da testimoniare e che, invece di essere strumento di vita, sia – Dio non voglia – strumento di morte, oltre al peso della scelta divina ha il peso della grazia ricevuta e disprezzata, il peso dell’apostolato che avrebbe dovuto svolgere e che non ha svolto, il peso delle anime che si sono perse per colpa sua.
Qual è, allora, la responsabilità di chi è stato chiamato dalle cause seconde a vivere la continuità della Passione del Cristo per riparare, propiziare, adorare e ringraziare quando non svolge la propria missione? Qual è l’entità della sua responsabilità? Cessa la vita ma non cessano i. tormenti.
DIO ESISTE ANCHE SE NON LO CREDIAMO ED AL GIUDIZIO CI ANDIAMO INCONTRO INESORABILMENTE, MINUTO PER MINUTO, ANCHE SE CI RIDIAMO SOPRA, CON IL PESO TOTALE DELLA NOSTRA VOCAZIONE.
Sono parole dure ai sofferenti che hanno una precisa vocazione, ma sono parole salutari, fraterne, che partono da un cuore sacerdotale perché di fronte ad un dolore contingente il primo imperativo di carità è di dire a tutti: «basta con il soffrire inutilmente su questa terra; valorizza la tua posizione vocazionale», « Non ti prometto di farti felice in questo mondo, ma nell’altro», così l’Immacolata a Lourdes.
Svolgere questo argomento ad ammalati non è mancanza di carità, non è durezza di linguaggio, ma precisione teologica, pura evangelizzazione e vera promozione umana, è profondo desiderio che chi già soffre non abbia a soffrire più del necessario.
Fino a che punto il sofferente, che ha una precisa missione nella società cristiana, può ritenersi moralmente sollevato da responsabilità di carità verso i fratelli se non compie il proprio dovere di solidarietà cristiana, «portare i pesi gli uni degli altri», sacrificarsi per i fratelli con la stessa metodologia e con la stessa carità del Cuore di Cristo?
Di proposito ugualmente non entro in questo argomento. E’ un capitolo che va studiato a parte; è un capitolo che ha dei paralleli: la vocazione sacerdotale, la vocazione alla famiglia e, quindi, la vocazione alla sofferenza.
Il Centro, quindi, è tenuto, per obbligatorietà di statuto, in forza del bisogno veramente grave delle anime, a dare la propria testimonianza di riparazione ,e propiziazione attraverso i propri iscritti.
C) DI ADESIONE DEGLI ISCRITTI.
«La Società – così Paolo VI – va salvata da qualcuno che soffre»: ieri dal Cristo che liberamente e volontariamente si è offerto per pacificare Dio con l’umanità, oggi da tutti i sofferenti che nella loro unione con Cristo continuano la stessa opera di Redenzione.
Il terzo motivo del nostro apporto è l’impegno dell’ammalato donato all’Associazione di valorizzare il proprio essere in Cristo nella finalità presentata dall’Immacolata per obiettivi ben precisi, attraverso una metodologia ben indicata.
DA CIO’ NE CONSEGUE CHE CHI DA’ L’ADESIONE E’ TENUTO PER LA LEALTA’ A RISPETTARLA.
IL SOFFERENTE INFATTI DONANDO LA PROPRIA ADESIONE AL PROGRAMMA DI RINNOVAMENTO SPIRITUALE, PRESENTATO DALLA VERGINE SANTA A LOURDES ED
A FATIMA,
1) fa della propria vita un’offerta precisa per le finalità espresse dall’Immacolata, ed è questo uno degli aspetti della «volontarietà»,
2) realizza un mezzo di apostolato fra i fratelli di dolore perché tutti gli ammalati scoprano le proprie possibilità positive per un preciso inse6mento nella famiglia, nella Chiesa e nella società.
L’ammalato dunque è soggetto di azione:
a) con l’offerta dèlla propria sofferenza;
b) con la dinamica del proprio apostolato, nell’ambito della propria categoria.
Da ciò consegue che il sofferente, che dona la propria adesione al Centro, non soltanto ha diritto al sostegno da parte della Chiesa con una evangelizzazione generica, ma soprattutto ha diritto di essere sostenuto da parte dell’Associazione stessa e da coloro che danno la medesima adesione; ha diritto alla formazione e al sostegno nelle esigenze di un preciso piano di apostolato di categoria che ha le sue radici nel Vaticano II (Cfr. Decreto Apostolato dei Laici),
I PUNTI, QUINDI, CHE DEVONO ESSERE TENUTI PRESENTI PER POTER ATTUARE IL PIANO DI RINNOVAMENTO VERO DELLA VITA DEL NOSTRO CENTRO SONO:
1) Essere estremamente convinti della necessità insostituibile dell’offerta spirituale dell’ammalato.
E’ una realtà dogmatica, scritturistica che va sempre più approfondita. Questo è un punto fermo di evangelizzazione, che trova applicazione pratica nei punti stabiliti da Paolo VI nella Sua Esortazione Apostolica sull’Evangelizzazione, n. 20, 21, 22 e 23.
I punti infatti indicati dal Santo Padre nella Esortazione Apostolica «Evangelii nuntiandi»:
– evangelizzazione delle culture (n. 20);
– importanza primordiale della testimonianza di vita (n. 21);
– necessità di un annuncio esplicito (n. 22);
– far sorgere attorno a sé l’apostolato (n. 23).
se bene osservati e vissuti. per noi. sulle matrici presentate dall’Immacolata a Lourdes ed a Fatima, segnano regole di vita pastorale e di ascesa vera a beneficio di tutta la Chiesa.
2) Avendo i sofferenti fatto della propria vita una risposta precisa al piano presentato dall’Immacolata, non possiamo, nella vita del nostro Centro, accontentarci di una vaga conoscenza della posizione della Madonna nella storia della salvezza, ma si esige che:
a) si conosca innanzitutto
– in profondità
– e nelle sfumature
la portata e la vastità delle richieste dell’Immacolata, proprio per un’esatta articolazione dell’intero apostolato che trae le sue origini dai Suoi precisi interventi.
Mi limito a .ripetere quanto diceva Sua Eccellenza Monsignor Pietro Theas, già Vescovo di Lourdes: «Per conoscere il Messaggio dell’Immacolata non basta conoscere soltanto le Sue parole, bensì occorre osservare tutto l’atteggiamento della Vergine Santa e della Bernardetta».
NELL’INTENTO DI CONOSCERE BENE LE RICHIESTE DELL’IMMACOLATA IL NOSTRO CENTRO, QUEST’ANNO, SI ADOPERERA’ CON TUTTE LE FORZE A METTERE IN LUCE TUTTE LE PARTI E GLI ASPETTI DELLE RICHIESTE DELLA VERGINE SANTA, RICHIESTE CHE SONO:
– DI UNA VASTITA’ VERAMENTE ECCLESIALE,
– CHE TOCCANO TANTI ASPETTI DELLA NOSTRA VITA POST-CONCIL.lARE E SOCIALE DI OGGI;
b) si confrontino inoltre le richieste dell’Immacolata
– con il Santo Vangelo,
– con il Vaticano II,
affinché si constati la loro reale validità e dell’apostolato che ne deriva.
3) Gli ammalati iscritti devono essere da tutti sostenuti « affinché mettendo ciascuno di essi al servizio degli altri il proprio dono per cui l’ha ricevuto, contribuisca così anch’egli, come buon dispensatore delle diverse grazie ricevute da Dio, alla edificazione di tutto il corpo nella carità» (Decr. Apostolato Laici. n. 3).
Qual è per il sofferente il proprio dono ricevuto dallo Spirito?
E’ la configurazione a Cristo Crocifisso; con le sue stesse ed identiche finalità redentrici.
Come contribuiscono all’edificazione di tutto il corpo nella carità?
Completando con le proprie sofferenze ciò che manca alla passione di Cristo a beneficio di tutta la Chiesa (Cfr. Col. 1, 24).
Di conseguenza gli ammalati:
a) Hanno una posizione ben precisa nella vita e nella storia della Chiesa, che è vera e propria missione; posizione spiritualmente insostituibile, necessaria proprio per l’espansione e la vitalità stessa della Chiesa.
b) In vista di tale missione, ricevuta non per scelta propria, sorge per essi il diritto ed il dovere di esercitarla nella forma più dinamica per il bene degli uomini, per l’edificazione della Chiesa, con la libertà dello Spirito e nel tempo stesso nella comunione con i fratelli in Cristo, soprattutto con i propri pastori (Cfr. Apostolato Laici, n. 4).
Gli ammalati. quindi, sono inseriti nella Chiesa per una missione di sostegno e di espansione; sono membra portanti della Chiesa, come portante e insostituibile è il Calvario di Nostro Signore Gesù Cristo. Non si dica che questa è un’esaltazione degli ammalati, fuori posto. E’ soltanto una sensibilizzazione sulla propria vocazione e sulla propria responsabilità.
Del resto considerando, ad esempio, la vita di Maria del Pace, obbligata a vivere ripiegata su se stessa come un libro, con la faccia appoggiata sui piedi per 19 anni, bisognosa di aiuto per tutte le sue necessità, non si comprende come potesse esaltarsi di una sofferenza così umiliante; essa trovava conforto e sostegno, solo nel meditare sul piccolo Crocifisso che continuamente aveva tra le mani, sforzandosi di pazientemente continuare la Passione del Divin Maestro senza venire meno nello spirito di sopportazione e di offerta.
La sofferenza, del resto, quando è vera sofferenza e non isterismo, ridimensiona qualsiasi creatura, di qualsiasi ceto e la forma alla vera santità.
c) Dallo stato di sofferenza e dalla missione di salvezza che ne consegue, sorge ancora il diritto dei sofferenti di essere aiutati da parte di quanti si interessano all’apostolato: Sacerdoti, Fratelli degli Ammalati, ecc., non soltanto in piano generico ma specializzato, secondo gli Statuti del Centro stesso, a vivere ed espandere le finalità associative che essi hanno abbracciato con precisa scelta.
Aderire all’apostolato ed inserirsi in esso e non sostenere poi l’apostolato associativo
– è deludere le attese degli iscritti;
– è deludere le attese dei Vescovi che hanno istituito nelle proprie Diocesi il nostro apostolato, privando la Chiesa locale di un preciso apporto di preghiera e di penitenza;
– è, in ultima analisi, intralciare il piano di rinnovamento spirituale presentato dalla Vergine Santa, Madre della Chiesa, nell’interesse vitale della Chiesa stessa.
4) Per quanto riguarda l’attuazione delle linee statutarie del Centro, che non possono essere mutate perché dalla Chiesa approvate sia per tutti noi monito quanto il Vaticano II dice ai Sacerdoti, quale regola del loro pastorale Ministero, per la sicurezza delle anime che a loro ricorrono:
«I presbiteri nel trattare gli uomini non devono regolarsi in base ai loro gusti, bensì in base alle esigenze della dottrina e della vita cristiana, istruendoli ed anche ammonendoli come figli carissimi. Perciò spetta ai Sacerdoti nella loro qualità di educa tori nella fede di curare che ciascuno dei fedeli sia condotto dallo Spirito Santo a sviluppare la propria vocazione specifica secondo il Vangelo, a praticare una carità sincera ed operativa, ad esercitare quella libertà con cui Cristo ci ha liberati».
La direttiva indicata, che richiamiamo anche a quanti possono usufruire nella vita del Centro, ci pone dinanzi alcuni punti ben chiari:
a) Il Sacerdote non può e non deve dirigere le anime secondo i propri gusti personali, gusti che possano riscontrarsi o meno nell’anima che avvicina, ma deve scoprire e sostenere, dopo aver provato, lo Spirito che guida ed ispira ogni anima.
Così dicasi pure per quanto riguarda le opere che gli possono venire affidate dal proprio Ordinario, e, «a fortiori» delle opere che già hanno avuto una approvazione apostolica.
Ciò significa che chi dà un’adesione all’apostolato ed esercita una qualunque missione in esso, non può e non deve regolarsi secondo criteri, o convenienze personali, ma si assume l’impegno di fronte a Dio, alla Chiesa ed agli iscritti, di porre mente e cuore, per quanto gli è possibile, al servizio, all’estensione e al sostegno del programma dell’Immacolata, che nel caso nostro, è l’intero programma del Centro.
b) E’ precisa direttiva della Chiesa, che combacia con la precedente, che « quei laici, che seguendo la propria particolare vocazione, sono iscritti a qualche associazione o istituto approvato dalla Chiesa, si devono sforzare di assimilare fedelmente la particolare impronta di spiritualità che è propria dei medesimi» (Apostolato Laici, n. 4).
c) Se poi si considera la posizione tante volte paternalistica che i sofferenti devono subire, o lo stato di dipendenza cui devono soggiacere, il non seguire le scelte che essi hanno fatto e il non dare loro i mezzi necessari per realizzarle con un’azione condotta in linea avversa, qualunque ne sia la ragione, è un’azione contro la giustizia e la lealtà;
– è deludere le attese di chi ha dato una precisa adesione al Centro;
– è uno svuotare un determinato programma;
– è, in una parola, un’azione disgregatrice ai danni della Chiesa e della Società.
II PARTE
L’APOSTOLATO IN CONCRETO
Visti i motivi per cui il Centro debba raggiungere le proprie finalità, seguendo linee ben precise, affrontando l’apostolato in concreto, facciamo ancora una puntualizzazione: l’Apostolato nelle sue finalità, è dell’Immacolata e deve quindi continuare secondo i Suoi disegni, manifestati a Lourdes ed a Fatima.
PRIMO PUNTO
Le Associazioni «Volontari della Sofferenza» e «Fratelli degli Ammalati» SONO ASSOCIAZIONI DI FEDELI, che, quale impegno di apostolato SI PREFIGGONO UNA PRECISA FINALITA’ SPECIFICA, DALLA CHIESA APPROVATA, per il bene della Chiesa stessa. TALI ASSOCIAZIONI RIUNISCONO SACERDOTI, FEDELI MILITANTI, ANIME QUINDI GIA’ DECISE ALL’APOSTOLATO ED ALLA VITA DI GRAZIA.
Il Centro (Volontari della Sofferenza e Fratelli degli Ammalati) è un apostolato specializzato, per cui si presuppone che chi entra, ABBIA GIA’ RISOLTO TUTTI I SUOI PROBLEMI DI FEDE E SIA UN CRISTIANO CONVINTO DELLA TESTIMONIANZA CHE DEVE DARE, DESIDEROSO DI IMPOSTARE, IN FORMA UNIVOCA, LA PROPRIA DOVEROSA TESTIMONIANZA secondo lo spirito di cui è animato e secondo le proprie tendenze, che trovano riscontro nello stesso spirito che anima e spinge all’azione apostolica il Centro.
L’ASSOCIAZIONE QUINDI NON ACCOGLIE PERSONE DESIDEROSE DI FARE DELLA FILANTROPIA, NON DECISE A MILITARE NELLE FILE CATTOLICHE PER UNA DOVEROSA PERSONALE TESTIMONIANZA IN COMUNIONE CON I FRATELLI DI IDEALE, SOTTO LA GUIDA DELLA GERARCHIA.
Nelle varie forme di apostolato che esistono nella Chiesa si differenziano poi le anime che intendono dare alla propria perfezione una sia pure soda ma generica impostazione mariana, da quelle che intendono fare di se stesse strumenti vivi di azione per realizzare in sé e ripetere attorno a sé il Messaggio della Vergine Santa nell’intento di attrarre altre anime alla medesima conquista.
Nel Centro, infatti, la devozione alla Madonna deve essere viva, operante nelle linee della «Signum Magnum» per realizzare ciascuno in se stesso i frutti spirituali auspicati dal Santo Padre (n. 25)»:
– «perfetto amore verso Dio e verso il prossimo»;
– «frequenza ai Santi Sacramenti»;
– spirito di «riparazione delle innumerevoli offese fatte alla Divina Maestà »;
– unità in Maria SS.ma per allargare e « perfezionare i vincoli di fratellanza fra tutti i cristiani».
Questa devozione alla Madonna ripresentata da Paolo VI alla comunità dei fedeli per una ripresa di vita cristiana, ha però una mèta ancora più alta: «rinnovare personalmente la propria consacrazione al Cuore Immacolato della Madre della Chiesa».
Tale consacrazione, a sua volta, deve dare precisi frutti, anche questi indicati da Paolo VI:
– «una vita sempre più conforme alla divina volontà»;
– «uno spirito di filiale servizio»;
– «e di devota imitazione della loro celeste Regina» (Signum Magnum n. 26).
E’ proprio in questa «Esortazione» finale del Papa che il Centro trova il suo normale posto: non si ferma ad una filiale devozione alla Madonna, ma si impegna in una «consacrazione» totale all’Immacolata per attuare le Sue richieste di preghiera e di penitenza, e rendere così il più grande e più urgente servizio ai fratelli. Tanto più urgente appare questo servizio se – come accennato – si tengono presenti:
– gli ambienti nazionali;
– quelli internazionali;
– e gli squilibri tra i popoli.
La preghiera e la riparazione sono gli elementi equi1ibratori di questo momento di vita ecclesiale, tanto turbata ed in alcuni luoghi troppo affievolita, proprio per questa carenza.
L’Associazione che accoglie soltanto cattolici militanti, quindi persone convinte, con fede viva e carità ardente deve ripetere nell’ambito degli iscritti ed attorno a sé attraverso l’apostolato, le verità indicate, animando quanti hanno dato la propria adesione a vivere il programma abbracciato:
– senza rispetto umano;
– disposti ad andare contro corrente;
– sorretti:
– dalle basi evangeliche,
– dallo stesso Concilio,
– dall’insegnamento dei Papi e dei Vescovi.
Nell’animare ed osservare il programma, occorre dire pure con vera chiarezza:
1) che chi non vuole osservare tale programma di preghiera e di penitenza può benissimo andarsene. Il Centro non è affatto preoccupato del numero, esso vuole anime impegnate in piano di grazia, sia pure con i loro problemi che però affrontano e risolvono pure in piano di grazia; anime che intendono dare una specifica testimonianza cristiana.
Chi non vuole la specifica testimonianza del Centro, viva in piena libertà la vita cristiana secondo lo spirito che lo guida. La Chiesa ha in questi ultimi tempi tante belle istituzioni per cui non manca possibilità di scelta.
2) che è tempo ormai di ridimensionare e controllare con vera attenzione gli apostolati allargati.
L’Apostolato allargato è necessario, ma non è affatto tutta la vita del Centro. Esso è un momento di lavoro per l’espansione, per la conquista, per la testimonianza, ma non si può assorbire la vita del Centro in un apostolato allargato, perché il danno è evidente per gli iscritti: la loro formazione spirituale, di cui hanno diritto e bisogno, e le iniziative che pure devono svolgere subiscono un arresto o, al minimo, un dannoso ritardo.
Questa attività in piano allargato può benissimo avere una o al massimo due iniziative all’anno, ben studiate e controllate dal Consiglio Diocesano che imposti con finalità chiara, il suo lavoro. Dopo di che tutta l’attenzione deve andare al Centro, ai suoi iscritti ed alle varie iniziative di categoria.
Il Centro deve percorrere la sua strada. E’ un’esigenza di giustizia e di carità. Non si può ritardare il passo ad anime che hanno fatto una loro scelta, per seguire il gusto di persone che vogliono fare nel Centro le proprie esperienze, a cui non hanno dato alcuna adesione e che spesso non sono neppure convinte della necessità della vita di grazia.
Il piano allargato va dunque controllato con attenzione e, ripeto, può svolgere da una o due iniziative all’anno e non di più.
Il resto del tempo deve essere dato:
– alla formazione;
– ed alla animazione degli iscritti,
altrimenti questi non danno il loro frutto atteso dalla Chiesa, impoveriscono l’Associazione e la Chiesa stessa senza essere realmente animati all’azione apostolica.
Causa dell’illanguidimento del Centro
Se spassionatamente ne analizziamo i motivi, la causa che emerge è una sola: si dà troppa attenzione all’attività allargata a scapito della formazione e dell’azione degli iscritti.
COSI’ AFFERMANDO NON E’ CHE SI VOGLIA RIDURRE LA DOVEROSA ATTIVITA’ DI EVANGELIZZAZIONE CHE VA ESTESA AL MASSIMO MA SI MIRA AD IMPEGNARE DI PIU’ GLI ISCRITTI AL PROBLEMA URGENTE E PER TUTTI PREOCCUPANTE DELL’EVANGELIZZAZIONE.
Con l’attività allargata, eccessivamente spinta, gli iscritti non sono più seguiti come devono essere seguiti in vista di una loro piena formazione per essere lievito di trasformazione del proprio ambiente.
Se il Centro prende di mira e si lascia trasportare dall’attività allargata, non soltanto viene danneggiato l’apostolato per il mancato apporto qualificato degli iscritti, che devono essere i primi impegnati all’azione apostolica, ma si danneggia la stessa azione allargata, perché i confronti che avvengono tra il Centro e i simpatizzanti non evidenziano scelte precise, sentite e testimoniate.
Occorre evidentemente ridimensionare tale attività, ma con oculatezza e con spirito largo.
Prima di mettere termine all’attività allargata e di ridurla, ritenendola poi nei limiti stabiliti, si rivolga un cordiale invito ai partecipanti, proponendo l’adesione al Centro e facendo precedere magari una giornata di ritiro in cui si spiega la necessità di una scelta e di una testimonianza alle luce degli errori e delle esigenze dei nostri tempi.
Chi aderisce sia benvenuto; a chi non aderisce deve essere preclusa ogni attività nella vita del Centro, che riunisce, per debito di:
– giustizia
– e di serietà, soltanto coloro che si sono prefissi le finalità dell’Immacolata «formando di essi degli apostoli – come diceva Pio XII – in un cantiere specializzato».
QUESTE DIRETTIVE VENGONO, CON QUESTA CIRCOLARE, INVIATE A TUTTI GLI ISCRITTI DEL CENTRO ED A TUTTI I DIRIGENTI, IN MODO CHE SENTANO REALMENTE IL PESO DELLA RESPONSABILITA’ DELLA FORMAZIONE DEGLI ISCRITTI E DEI FRUTTI CHE ESSI DEVONO DARE.
SECONDO PUNTO
Il secondo punto che va richiamato e che a Re, nella riunione degli Assistenti e degli Incaricati diocesani. è stato studiato, è il seguente: quali sono i compiti di coloro che hanno una responsabilità nella vita del Centro.
Incaricati Diocesani:
– ammalati;
– fratelli degli ammalati;
– assistenti;
– capi settori;
– animatori di gruppo.
Compito dell’ Assistente
Poiché già più volte è stato richiesto di precisare il compito degli Assistenti, proprio per la loro libertà di azione e perché sappiano con chiarezza quanto gli iscritti ed il Centro Nazionale da loro attendono, diciamo:
E’ COMPITO DELL’ASSISTENTE ESSERE LA GUIDA SPIRITUALE DI MILITANTI CATTOLICI CHE HANNO SCELTO DI MANIFESTARE LA PROPRIA TESTIMONIANZA ATTRAVERSO IL PROGRAMMA DEL CENTRO VOLONTARI DELLA SOFFERENZA, PROGRAMMA VAGLIATO ED ACCETTATO.
Questo è il primo compito che incombe ad un sacerdote designato dal Vescovo, d’intesa con il Centro Nazionale, per seguire i Volontari della Sofferenza. Ciò che si è detto nella prima parte circa l’impegno di seguire gli ammalati secondo le loro scelte di apostolato, ha qui l’immediato riflesso dovendo il sacerdote designato dare una preziosa assistenza spirituale non in base ai propri gusti, né in base ad altri principi, ma secondo lo spirito del Centro ed il bene della Chiesa.
Gli Assistenti sono, nel Centro, la presenza del Vescovo affinché il Centro Volontari della Sofferenza:
a) viva le proprie finalità per cui il Centro stesso è stato accolto in Diocesi. E’ questo il primo punto che un Assistente deve tenere ben fisso dinanzi a sé.
Le finalità associative, che nella Chiesa locale sono state accettate, come sono osservate, come sono vissute, come sono approfondite, come sono allargate. E’ suo lavoro;
b) dia i frutti attesi di preghiera e di penitenza attraverso i mezzi stabiliti ed approvati dalla Chiesa.
Quindi il Breve Apostolico «Valde Probandae» di Papa Giovanni che è così programmatico e che costituisce un bel foglio di presentazione del Centro, deve essere costantemente sotto l’occhio dell’Assistente.
A Voi, cari assistenti, tocca indicare e ripetere agli iscritti:
– la linea del cammino,
– e i mezzi che devono seguire.
Non stancatevi di ricordare agli iscritti il motivo per cui i Vescovi hanno accolto l’apostolato in diocesi ed i frutti che essi devono dare.
L’Assistente deve vigilare perché gli iscritti (e qui il compito è più delicato) vivano le proprie finalità associative:
1) impedendo che abbiano a deviare.
Se, per esempio, l’Assistente dovesse vedere che il Consiglio tende ancora ad un lavoro in piano allargato senza limite, e ad immettere nella vita del Centro aderenti e non aderenti – non dico persone che nemmeno hanno risolto il problema di impegno di grazia, ma che, pur vivendo bene, vogliano dare una testimonianza chimerica, senza accettare le finalità e la metodologia del centro – egli deve impedire simili deviazioni, perché il Centro perderebbe la sua qualifica;
2) richiamando gli iscritti quando non vivono i mezzi promozionali. spirituali e sociali, che il Centro si è prefisso e che, per quanto possibile, vanno attuati.
3) informando lo stesso Centro Nazionale quando vede che l’avviso non serve e, se questo non giova, il Vescovo del luogo.
La chiarezza e la sincerità ci devono ispirare a conservare i giusti rapporti ad ogni livello.
IL CENTRO VOLONTARI DELLA SOFFERENZA, MENTRE RINGRAZIA I VESCOVI CHE APRONO LE PORTE DELLA DIOCESI ALLA SUA SPECIFICA AZIONE, VUOLE PER DEBITO D’IMPEGNO APOSTOLICO ESSERE SINCERO CON LORO E PERCIO’ VUOLE CHE L’ASSISTENTE:
– sia veramente il suo rappresentante;
– vigili sull’apostolato;
– sia realmente il sacerdote responsabile della vita spirituale e della esatta osservanza statutaria della vita dell’Associazione.
L’assistente, quindi, è tenuto ad essere, per debito di scelta fatta dal Vescovo e da lui accettata, il capo spirituale di questa testimonianza, per cui in base a tale designazione egli si impegna di guidare gli iscritti nelle forme statutarie scelte e riconosciute dal Centro Nazionale, proposte e viste poi nell’ambito delle Chiese locali.
L’Assistente non può ritardare nel Centro l’organizzazione di qualche attività formativa o di iniziativa particolare senza motivo preciso; tale eventuale motivo deve essere chiaramente esposto al Vescovo, che stimerà il momento più opportuno.
Agire, Dio non voglia, diversamente, sarebbe abuso di potere e deludere le aspettative del Vescovo, del Centro e le necessità della Chiesa locale, che dal completamento della Passione del Cristo attende un efficace contributo.
Si comprende qui quanto sia delicata la direttiva data dal Vaticano II ai Sacerdoti nella direzione spirituale, citata nella prima parte.
Se l’Assistente vede che c’è qualcosa che non è ancora accettato nella Pastorale Diocesana, ha il dovere di riferire al Vescovo, presentando le esperienze ed i risultati spirituali ottenuti e di riferire poi al Consiglio la mente del Vescovo, affinché il Centro cammini nelle linee diocesane e, a sua volta, il Centro aiuti la «pastorale del dolore» della Chiesa locale con le sue tematiche di evangelizzazione e promozione umana, tratte dal diretto insegnamento pontificio.
E’ indubbio che tale cammino svolto in così perfetta comunione scaturirà dalla reciproca maturazione e andrà a totale vantaggio della Chiesa locale.
E’ bene confrontare pure a questo proposito quanto consiglia il Decreto dell’Apostolato dai Laici al n. 25.
Compito dell’Incaricato Diocesano degli Ammalati
Il nostro è un apostolato di categoria, cioè di malati i quali, se pure per tanti motivi sono bisognosi di aiuto e di «compassione» (patire con), tuttavia sono in grado di comprendere il proprio essere ecclesiale e di vivere, in conseguenza, la propria testimonianza specifica.
Quindi è compito dell’Incaricato degli Ammalati promuovere l’attività del, Consiglio per studiare le iniziative sempre più atte (QUINDI NON IMMOBILISMO) a risvegliare la maggiore comprensione delle finalità del Centro e la più efficiente loro realizzazione, cercando di rimuovere le difficoltà gli inspiegabili ritardi nell’attuazione del programma.
L’Incaricato diocesano deve tenere presente che, per una efficiente evangelizzazione, ogni iscritto deve costantemente evangelizzarsi per evangelizzare e questo sempre in forma più profonda e personalmente urgente, attraverso lo studio della Sacra Scrittura, Vecchio e Nuovo Testamento (parola di Dio) e la partecipazione viva alla sacra liturgia, Messa, sacramenti, ecc.
Questa duplice fonte di crescita spirituale, non soltanto porta il singolo ad una statura interiore perfetta, liberandolo dagli interiori legami con il proprio «io», ma lo spinge nello stesso tempo a confrontare la situazione della società in cui vive con il messaggio del Divin Redentore, realizzato attraverso la Croce e reso credibile con la Sua risurrezione dai morti: «Se Cristo non fosse risorto vana sarebbe la nostra fede».
Ecco allora che la sua crescita nella carità lo spinge a «predicare Cristo e Cristo Crocifisso», Sommo Sacerdote, Vero Pontefice (Pontem facere) tra noi e Dio, liberatore di necessità assoluta perché tutti gli uomini acquisiscano la prima e suprema promozione a cui nessuno può e deve rinunciare, quella di ridiventare figli di Dio.
L’Incaricato degli Ammalati, studiando nel Consiglio l’esigenza della evangelizzazione, deve, quale immediata ed intrinseca conseguenza, esaminare le necessità anche umane della categoria e darsi da fare per una totale promozione sociale e legislativa, a tutela dei diritti fondamentali dell’uomo, che nel caso, essendo ammalato e bisognoso di tutti, finisce con l’essere il meno ascoltato.
Quale schiaffo per la società vedere lungo la strada file silenziose di handicappati che vogliono attirare l’attenzione sulle proprie necessità!
Non basta l’imperativo della carità per andare incontro ai bisogni dei fratelli?
Se non comprendiamo l’identificazione del Cristo con il bisognoso fino al punto di farne oggetto di rendiconto finale, su quali punti potremo fare leva per andare incontro ai reali bisogni dei fratelli?
LA SOCIOLOGIA INDICA DEI PROBLEMI, ADDITA DELLE SOLUZIONI FACENDO LEVA SULLA SENSIBILITA’ MORALE DEL SINGOLO E DELLA SOCIETA’, LA FEDE SOLTANTO PERO’ OBBLIGA AL SENSO DELLA CARITA’ VERA E DELLA SOLIDARIETA’ PERCHE’ DIO VUOLE ESSERE AMATO NEL NOSTRO PROSSIMO SUL PARALLELO DELL’AMORE CHE ABBIAMO VERSO NOI STESSI.
Importante meditare in Consiglio la direttiva data proprio a noi, Volontari della Sofferenza, da Paolo VI, il 23-5-1973, a conclusione del Congresso di Mariazell:
«Promuovere, però, lo sviluppo della persona dell’ammalato non significa soltanto mettere al servizio della Chiesa e le sue soprannaturali risorse e la specifica sua capacità di santificare, nello scambio misterioso che permea le membra vive del corpo di Cristo, i fratelli di fede: vuol dire anche reagire ad un processo di emarginazione che può pericolosamente verificarsi nella società moderna, pur così esperta ed ardita nelle tecniche diagnostiche e terapeutiche che ha saputo approntare a beneficio dei malati.
E’ questo un rischio paradossalmente connesso e coesistente con l’attuale progresso scientifico: laddove un soggetto per l’età, per la malattia, per la sopravvenuta incapacità di lavoro appare meno efficiente, egli può rimaner fuori dalla vita sociale e viene pian piano ignorato e messo da parte. Allora il suo dolore si accresce ed alle pene fisiche si aggiunge, non minore, l’angoscia dell’incomprensione e dell’indifferenza» .
Impostato il lavoro di Consiglio sulle basi di evangelizzazione e promozione umana, il lavoro si svolge e si estende nella duplice direzione verso Dio e verso il prossimo.
In questo ambito di evangelizzazione e promozione deve muoversi l’Incaricato Diocesano degli ammalati non soltanto per promuovere iniziative di carattere generale ma, soprattutto, per impegnare ogni Capogruppo a svolgere nell’interno del proprio gruppo il medesimo carattere promozionale di maturazione: di catechesi e di testimonianza affinché ogni iscritto, nella continuità del Calvario del Cristo, dal letto della sua sofferenza annunci come il divin Crocifisso il nome del Padre ai propri fratelli e lo lodi in mezzo all’assemblea (Cfr. Salmo 21, 22).
Tale continuità di redenzione, mentre libera e promuove chi la vive, tende a liberare e promuovere l’intera umanità come la passione del Signore Nostro Gesù Cristo.
E’ una continuità di redenzione che fa del Cristo Crocifisso – Cristo storico e Mistico – il perno dell’autentica evangelizzazione liberante dal vincolo del peccato e coagente all’azione di guardare come Gesù le necessità dei fratelli.
PAROLA EVANGELIZZATRICE, TESTIMONIANZA, AZIONE PROMOVENTE SONO TRE MOMENTI DISTINTI, MA UNITI ED INSEPARABILI, SE SI VUOl ESSERE CREDIBILI.
ED OGGI Il CRISTIANESIMO DEVE ESSERE RESO CREDIBILE DALLO SPIRITO DI CUI E’ ANIMATO E DAL VINCOLO DELLA COMUNIONE NELLA CARITA’.
L’azione di tutto il Consiglio deve avere dinanzi a sé queste panoramiche, affinché il Centro avanzi nella Storia della Chiesa con la sua specifica fisionomia a beneficio dei popoli.
Da qui una programmazione di studio catechistico imperniato sulle necessità di inserirsi nella Passione del Cristo
– per partecipare, in virtù delle proprie sofferenze, alla costruzione di un mondo più umano e più cristiano;
– per essere sostegno, nei deboli, di coloro che sono ancora più deboli di noi.
Da qui il confronto con le strutture sociali, con le esigenze profonde della propria categoria e la conseguente azione animata non da spirito di competizione, ma da profonda esigenza di carità, che ci fa sentire tutti membri dello stesso «Corpo», di cui Cristo è il capo.
Un’impostazione univoca, ossia soltanto verticale, o soltanto orizzontale, non potrebbe essere credibile. La fede esige le opere e le opere senza fede sarebbero senza spirito.
Il conseguente programma scaturito da attenta maturazione interiore, con specifico riguardo alle esigenze dei fratelli va poi sostenuto e controllato da tutto il Consiglio, sottoponendolo ad esame critico costruttivo, partendo dalla sua motivazione e arrivando all’esame dell’attuazione e dei conseguenti frutti spirituali e sociali.
L’Incaricato diocesano degli ammalati deve, quindi, in base al programma fissato e svolto, inviare ogni anno – ed il punto è nuovo – la propria relazione al Vescovo. Relazione che dice:
– quanto è stato fatto;
– quanto si sarebbe dovuto fare, specificando i motivi per cui determinati punti non sono stati realizzati.
La relazione, quale segno di autenticità, deve essere firmata poi anche dall’Assistente e dall’Incaricato dei fratelli perché è nell’unione dei responsabili che si è programmato ed è ancora nella medesima unione che si invia il resoconto.
Se vogliamo realmente contribuire allo sviluppo ed alla maturazione dell’idea fondamentale che l’ammalato è soggetto vivo di promozione pastorale e sociale, è di estrema necessità che il Vescovo si renda conto che è l’ammalato che opera, che fa la relazione, che dice i punti di conquista, che mostra le difficoltà incontrate.
La presenza diocesana non è una presenza anagrafica, ma presenza viva ed operativa. Il Vescovo deve «sentire» che ci sono anime che si muovono attorno a lui e che vogliono camminare con lui e stare alle sue direttive per il bene della Chiesa locale.
Se insisto affermando che spetta all’ammalato fare la relazione all’Ordinario del luogo, implicitamente è per ribadire l’azione promozionale e di evangelizzazione che egli deve programmare ed animare nell’ambito della propria categoria.
COMPITO DELL’INCARICATO DEI SANI
E’ il fratello designato, per la sua formazione spirituale e per il suo attaccamento al Centro, a seguire, in comunione di ideale e di metodo, i fratelli sani che si impegnano accanto agli ammalati per attuare il programma di rinnovamento spirituale additato dalla Madre della Chiesa a Lourdes ed a Fatima, richiamato e puntualizzato nei Documenti Pontifici da Pio XII fino ai nostri giorni.
Anche per i Fratelli degli Ammalati vale quanto affermato per l’attività dell’Incaricato dei fratelli sofferenti.
In essi, però, più marcato deve essere l’impegno di adoperarsi perché l’uomo sia restituito alla sua primigenia finalità.
Ciò significa adoperarsi perché, attraverso la completezza del Calvario di Cristo che si ha con la partecipazione di ogni fedele a portare la Croce con Lui, la Chiesa locale ed universale abbia a disposizione, per quanto possibile, l’intero patrimonio di riparazione, propiziazione, lode e ringraziamento.
Ciò comporta un’azione diretta in tre settori convergenti.
1) comprendere che tutti dobbiamo con Cristo portare la nostra croce per la salvezza del genere umano. Sono croci laceranti e mortificanti: i disagi morali, il lavoro, le tensioni familiari, il combattimento contro se stessi, la fedeltà al proprio stato, al proprio lavoro, ecc.;
2) affiancare i sofferenti, come le piè donne ed il Cireneo che sollevarono il Cristo mentre con l’offerta di se stesso stava riconciliando l’umanità con Dio, nella convinzione del posto «privilegiato quantunque spesso lacerante» che gli ammalati hanno nella vita della Chiesa: sono, infatti, vere trasparenze del Cristo crocifisso, sono la mistica reale presenza del Cristo nel tempo storico che viviamo;
3) sostenerli nell’opera di evangelizzazione e promozione umana e sociale nella consapevolezza che quanto per essi si fa è doveroso contributo, pagando essi per l’intera società con l’offerta di se stessi.
Per il raggiungimento di questo obiettivo occorrerà tenere presenti le risposte conflittuali di cui spesso gli ammalati o sono circondati o fatti oggetto.
Basti considerare la contraddittorietà di una Società che si dice aperta ad accogliere i sofferenti, mentre vara in alcuni paesi. e sta per varare nel nostro, la legge a favore dell’aborto allorché si può individuare che il nascituro sarà tarato o handicappato.
Il sofferente allora sopravvive solo perché in età adulta non può essere soppresso; ma che differenza passa fra i due casi? Altrettanto vale per la politicizzazione degli ambienti di cura e di salute nei vari comprensori regionali e provinciali.
Promuovere incontri di studio per esaminare queste impostazioni conflittuali, maturarle assieme ai sofferenti, vederle alla luce dell’insegnamento del Cristo, del richiamo dell’Immacolata e del Magistero, ecco il compito dell’Incaricato dei Fratelli degli Ammalati.
MA NON BASTA, OCCORRE REALIZZARE UN APOSTOLATO DI EVANGELIZZAZIONE E DI PROMOZIONE UMANA CON I SOFFERENTI, PER I SOFFERENTI.
Ed allora occorre, con occhio fisso sulla metodologia del Cristo di fronte al problema del dolore, promuovere incontri di studio per scoprire i metodi pedagogici e psicologici più adatti per collaborare con i fratelli ammalati e restare degnamente accanto alla loro croce con la delicatezza e dignità con cui erano accanto alla Croce Maria Santissima, l’Apostolo Giovanni e le pie donne.
Due punti opposti vanno accuratamente evitati:
– il paternalismo che pensa a tutto ed il pietismo: non si compassiona chi svolge una specifica missione nella cristiana società!
– il disinteresse, che fa ricadere sugli ammalati tutta la responsabilità dell’apostolato.
Il Calvario storico del Cristo era composto dalle sofferenze di Cristo stesso, dal martirio della Sua Mamma, dalla presenza dell’apostolo Giovanni, dalla partecipazione delle pie donne e del Cireneo; il Calvario del Cristo mistico è composto dalle sofferenze dell’ammalato, della sua famiglia e di quanti sono accanto a lui.
Occorre realizzare questa comunione di partecipazione affinché, svolgendo ognuno la propria missione, il mistico calvario del Cristo sia completo in tutte le Sue componenti.
L’Incaricato diocesano dei Fratelli deve inoltre attuare iniziative proprie, adatte a vivere l’apostolato e ad approfondire il senso della Croce.
Ciò comporta un’osservazione attenta sull’apostolato svolto per l’evangelizzazione e promozione umana in comunione con gli ammalati sia per coglierne i frutti, le tensioni, le divergenze con la mentalità corrente e le difficoltà incontrate che possono anche avere creato arresto nel tracciato del programma per crescere nella fede, sia anche per decidere iniziative atte a far crescere la propria evangelizzazione per essere strumenti più atti ad affrontare l’apostolato con rinnovato vigore.
In tale piano di studio della propria categoria occorre approfondire il senso della Croce, che è, in un certo senso, immolante, ma per amore, in vista di una liberazione escatologica che riguarda tutti ed i cui effetti risurrezionali non vanno ricercati soltanto nella risurrezione dai morti alla fine del mondo, ma nella vita nuova, vissuta con Cristo, in quotidiana morte al nostro «io» ed ai nostri sensi, vita nuova che già è testimonianza del Cristo morto e risorto che partecipa ai Suoi seguaci i frutti della propria passione e risurrezione.
In tale sede occorre vedere la stima concreta che la Società ha della Croce, come essa viene accolta in precisi momenti della storia di ogni famiglia e di ogni creatura e come viene offerta a beneficio di tutti.
La croce non va vista soltanto nelle dimensioni di sofferenza fisica, ma di tutte quelle verità positive che mirano a farci morire a noi stessi per essere sempre di più di Cristo.
Le iniziative, che i Fratelli sani devono svolgere tra di loro, devono portarli a vivere sempre più di fede, affinché la loro pienezza di grazia non solo sia conforto ai sofferenti, ma sollievo dall’impegno di riparazione: essi non devono gravare sui sofferenti con il peso delle proprie manchevolezze. Avvicinare i sofferenti in stato di attaccamento al peccato non è soltanto finzione, ma crudeltà; mentre da una parte si compatisce e si mostrano sentimenti di cristiana solidarietà, dall’altra si tengono celate situazioni che obbligano la solidarietà cristiana a maggior impegno di riparazione.
La crescita nella fede personale deve poter essere liberante in vista di una vera loro promozione antropologica prima e poi sociale. L’esempio di coloro che calano dal tetto, dinanzi a Gesù il paralitico, è significativo e monito per quanti vogliono dedicarsi ad un programma di promozione.
Il Cristo, in vista della fede di coloro che portavano il paralitico, disse prima di tutto all’infermo: «TI SONO RIMESSI I TUOI PECCATI»; prima liberazione e promozione operate dal divin Salvatore, dopo di questa ebbe poi anche la promozione fisica: «PRENDI IL TUO LETTO E VATTENE A CASA!».
In sede propria i Fratelli devono prima di tutto osservare, in piano di esame critico costruttivo, le strutture sociali, mutevoli, che devono andare incontro ai bisogni dei singoli e poi devono, in confronto con i principi immutabili della fede e della carità, svolgere particolari iniziative, promosse anche in piano nazionale con la partecipazione di tutto il Centro, affinché i sofferenti non abbiano mai a sentirsi degli emarginati dalla Società.
PRESENZA DEI SACERDOTI ISCRITTI AL NOSTRO CENTRO
La presenza dei Sacerdoti iscritti tra i «Volontari della Sofferenza», tra i «Fratelli degli Ammalati» e nella «Lega Sacerdotale Mariana» è veramente numerosa.
La loro presenza è a noi motivo di sicurezza e garanzia di sostegno per vivere il nostro impegno ecc lesta le in tutte le sue dimensioni.
LA LORO PRESENZA, PERO’, NELLA VITA DEL CENTRO DEVE ESSERE ATTIVA, SENTITA, CONVERGENTE CON TUTTI GLI ISCRITTI AL FINE COMUNE.
Se gli impegni glielo consentono, il Sacerdote iscritto può affiancare i Capi gruppo, perché inserito attivamente nel gruppo di avanguardia, può: lievitarlo ad una consapevolezza sempre più profonda e convinta e sostenerlo nell’azione. Egli può essere inserito anche nei vari Settori, può affiancare l’Assistente, operando in piano di fraterna collaborazione nelle varie iniziative che si devono svolgere: ritiri mensili dei vari settori, ore di adorazione, ore penitenziali, giornate di studio, ecc.
Particolare attenzione bisogna porre per i Sacerdoti anziani o infermi, Sacerdoti che non essendo più in cura d’anime, vivono in Istituti o in famiglia. Sono questi i casi più delicati: si tratta di andare incontro ai «Ministri di Dio», che dopo aver dato tutto a tutti, vivono nell’isolamento e si sentono lontani da quel ministero, di cui furono un tempo l’anima.
Individuare tali Sacerdoti, andarli a visitare, sostenerli in TUTTE le loro necessità sia il primo dovere di un Centro Diocesano. Se la persona del sofferente è resa sacra dal suo dolore, che dire di un Sacerdote ammalato che, in forza della Sacra Ordinazione, è Sacerdote e vittima?
Se la presenza attiva di un Sacerdote è per se stessa aumento di grazia, la partecipazione all’apostolato dei Sacerdoti sofferenti non soltanto è arricchimento per tutto il Centro ma, soprattutto, vivo insegnamento di fede e segno di credibilità della forza costruttrice della Croce.
Portare i Sacerdoti ammalati ai raduni, ai ritiri, non è soltanto atto di carità, ma atto di positivo reinserimento nell’apostolato, potendo essi confessare, guidare preghiere, celebrare, ecc…
Quale meravigliosa testimonianza di continuo inserimento nella vitalità della Chiesa ne verrebbe!
Teniamo inoltre presente che la partecipazione viva ed operante di tutti i Sacerdoti iscritti al nostro Centro è essenzialmente qualificante.
E’ proprio in virtù della loro presenza e della precisa loro attività che il nostro Centro dipende della Sacra Congregazione per il Clero.
I Sacerdoti ammalati vanno quindi seguiti personalmente ad uno ad uno, affinché il loro isolamento sia veramente vinto.
Sia compito del Consiglio scegliere un iscritto al Centro che dia affidamento, cui affidare questo incarico così bello e così delicato.
L’incaricato di questo settore, oltre che avvicinare i Sacerdoti già iscritti e quelli che già hanno partecipato al Pellegrinaggio dei Sacerdoti ammalati a Lourdes, si preoccupi di individuare tutti i Sacerdoti ammalati, mobilitando le migliori forze del Centro per andare incontro alle loro necessità.
Egli, oltre a riferire al Consiglio Diocesano, riferisca anche al Centro Nazionale per poter potenziare sempre di più questo servizio così necessario, non mancando nello stesso tempo di tenere informate le rispettive Curie vescovili.
I Sacerdoti ammalati sono la pupilla dell’Immacolata, Madre dell’Eterno e Sommo Sacerdote, Madre di tutti i Sacerdoti, particolarmente vicina al loro calvario come a quello del Suo Gesù.
CAPI SETTORI
E’ compito loro:
– ascoltare i componenti del proprio settore;
– sentirne le esigenze;
– studiarne i problemi;
– proporli
a) al Consiglio Diocesano;
b) al Capo Settore Nazionale.
Il Capo settore deve sentire le esigenze di fondo del proprio settore, i punti che non possono e non devono essere persi di vista, tenendo presenti gli aspetti interni della vita della Chiesa e gli aspetti esterni, che devono concretizzarsi:
– in crescita interiore, che libera, promuove e si espande in forza di sostegno del Corpo Mistico, proprio in virtù dei problemi nuovi avvertiti;
– in promozione esterna facendo un esame critico tra l’esigenza avvertita e quanto in atto esista o meno a sostegno ed inserimento pieno dell’appartenente al singolo settore nella famiglia, nella Chiesa e nella Società.
E’ compito del Capo Settore diocesano e, a fortiori di quello nazionale, essere elemento di stimolo, convinto che la promozione umana non può attuarsi senza la partecipazione di tutti e il conseguente arricchimento spirituale e – il ritorno in virtù proprio di tale arricchimento – in una nuova estrinsecazione attiva senza inaridirsi, o cadere «nell’eresia dell’azione».
L’azione di evangelizzarsi per evangelizzare non può essere dissociata dall’attività spirituale senza pericolo certo di cadere nell’inaridimento del singolo e della stessa Associazione: il tralcio fiorisce, fruttifica e quindi dona soltanto se rimane unito alla vite. «Senza di me non potete fare nulla», ossia, né crescere, né testimoniare, né evangelizzare, né promuovere.
Di queste idee-forza il Capo settore deve essere convinto. La promozione umana eleva e nello stesso tempo promuove attraverso la meditazione, la preghiera e l’esperienza competentemente controllata e vagliata.
Se non si procede in questa forma, si cade nell’empirismo, nell’immaturità con i relativi rischi traumatizzanti ed avvilenti, tanto più pericolosi quanto più la classe a cui ci si dedica è bisognosa di sostegno.
Occorre quindi scegliere Incaricati spiritualmente ben formati, evitando di scegliere soggetti soltanto, esperti ed aperti ai problemi.
Se nell’approfondimento dei problemi occorrono esperti, non manca la possibilità di scelta.
Il Capo Settore deve essere:
– un militante fedele della Chiesa;
– un convinto e provato aderente al Centro;
– un fermo sostenitore delle iniziative che si vogliono attuare, che tenga ben presente, nello studio e nella globalità del problema – per quanto riguarda il piano esterno -, l’azione decisa e contraria dei laicisti e comunisti che mira a combattere e neutralizzare l’azione sociale della Chiesa.
Un’azione direttiva non può prescindere dall’esame del mondo esterno, svolto in piano critico alla luce dei principi cristiani, senza pericolo di perdere i punti ancoranti della fede e della sottomissione alla Chiesa.
Tutti i problemi dei vari Settori vanno risolti alla luce delle Richieste dell’Immacolata, ossia:
– meditati nella preghiera;
– maturati nel sacrificio offerto per trovare adeguata soluzione;
– impostati nella guida e nell’insegnamento della Gerarchia.
Le esperienza fatte è necessario che vengano poi comunicate al Centro Nazionale per trarne linee:
– apostoliche;
– pedagogiche;
– psicologiche
in continuità ed unità di cammino e di aggiornamento del programma.
CAPI GRUPPO
I Capi gruppo sono il fulcro dell’apostolato, ad essi va rivolta dalla Direzione Nazionale del Centro tutta l’attenzione possibile, perché siano
– vivi
– operanti.
E’ nell’ambito del Gruppo che si svolge tutta l’attività formativa e promozionale, attraverso la quale l’opera di evangelizzazione raggiunge i singoli componenti della medesima categoria per riunirli, a loro volta, in gruppi operativi e così continuare l’attività promozionale in piano totale che è inserimento attivo nella Chiesa, nella famiglia e nella Società.
SE SI E’ INTESO LIMITARE E CONTROLLARE L’ATTIVITA’ DEL PIANO ALLARGATO E’ ESSENZIALMENTE IN VISTA DEL POTENZIAMENTO DELL’APOSTOLATO DEL SINGOLO, «L’AMMALATO PER MEZZO DELL’AMMALATO», CHE VA SVOLTO ATTRAVERSO UNA ATTIVITA’ ASSOCIATA, OSSIA DI GRUPPO, IN CUI TUTTI I MEMBRI DEL GRUPPO:
– si sostengono in piano formativo, ossia continuano l’opera della propria evangelizzazione che non avrà mai termine, perché ha per termine la perfezione del Padre celeste;
– maturano, proprio in base alla conoscenza e alla percezione della propria vocazione, il senso di responsabilità ecclesiale nella vitalità del Corpo Mistico ed il senso di responsabilità di fronte ai fratelli di sofferenza, per cui passano ad un esame concreto della situazione di fede, di evangelizzazione e promozione in cui essi si trovano.
A questo punto occorre concretamente esaminare la situazione in cui si trovano i fratelli di dolore. Tale esame verte:
– sul loro stato personale
– sullo stato ambientale in cui vivono
– sul modo con cui sono recepiti
nella famiglia
nella parrocchia
nella Società.
Occorre vedere le loro reali esigenze di spirito e di corpo e come sono concretamente aiutati ed accettati.
La prima promozione umana e soprannaturale a cui far giungere chi soffre è la scoperta della vocazione preziosa ed insostituibile che egli ha nella cristiana Società.
Da tale scoperta si dischiudono orizzonti nuovi e cessa il sofferente di sentirsi inutile e solo.
Ma da tale piattaforma, che è già essenziale per il sofferente, perché è scoperta della propria vocazione, occorre prendere le mosse per una promozione totale dell’individuo, anche come uomo. Egli, infatti: deve vivere con dignità, secondo i progressi della società, partecipando a tutta la costruzione sociale civile, di cui è parte e da cui non può in alcun modo essere escluso.
Dalla scoperta di queste situazioni, così varie, diverse, magari divergenti, il Gruppo orienta la propria attività di avvicinamento e di conquista spirituale e di sostegno sociale del fratello che soffre.
A chi compete tale lavoro? Al componente del gruppo che nel caso specifico risulta il più adatto ed accetto per tale compito.
Gli altri componenti il gruppo sostengono con la preghiera e l’attività l’azione del fratello.
Il Gruppo è la famiglia del Centro: composta da malati, sani, giovani, anziani, bambini. famiglia spirituale che si muove, si forma, esamina e sostiene secondo le capacità dei singoli componenti.
Da qui si comprende l’estrema importanza che i Gruppi di Avanguardia siano formati ed operino nella Chiesa e nella Società in modo convergente.
Quali sono le doti del Capo Gruppo
Sono doti caratteristiche ben precise, che possono avere confronto sicuro nelle scelte fatte dall’Immacolata per presentare alla cristianità il Suo programma di rinnovamento della vita cristiana.
Le doti dei Capi Gruppi devono avere riscontro con le doti personali della Bernardetta e dei tre pastorelli di Alyustrell, i quattro prescelti dall’Immacolata.
Cercare doti personali diverse da quelle volute dall’Immacolata vuol dire positivamente sviare l’impostazione con l’introduzione di criteri propri in un argomento di scelta di persone che ha per protagonista la Vergine Santa.
Un voler, ad esempio, basarsi su doti eccezionali di ascendente di persona, di cultura, di posizione sociale è un criterio umanistico, basato sulla superbia, ossia sulla naturale efficienza degli strumenti; mentre per un piano che ha finalità soprannaturali occorrono scelte e mezzi che riflettono il programma che devono presentare.
«Non nella sapienza che gonfia» vanno ricercate le doti del Capo gruppo, ma:
1) nella semplicità. Dicendo semplicità si intende quella umiltà evangelica che rifugge da qualsiasi intromissione personale che alteri il programma, adeguandolo, attraverso un dialogo condotto su basi di verità, pazienza, dolcezza ed intransigenza sui punti finalistici, ai gusti delle persone che in piano di apostolato vanno avvicinate.
Se non possiamo dilungarci nel dimostrare la semplicità di Bernardetta e dei tre pastorelli di Fatima di fronte agli oppositori, sappiamo però tutti che soltanto la presentazione semplice e scarsa della verità senza artifici riuscì a vincere tutti gli ostacoli e convincere le stesse Autorità civili ed ecclesiastiche che, ad arte, spesso, cercavano di insinuare e sostenere apparenti contraddizioni.
Non è la verità che va adattata alla mentalità. ma la mentalità che va pazientemente guidata a comprendere e vivere la verità nella sua completezza. Fare diversamente significherebbe erigersi a giudici del contenuto di quanto si vuoi presentare e cadere nel rischio di arbitrariamente alterarla.
Primo requisito del Capo Gruppo è conoscere il programma dell’Immacolata e volerlo ripetere tale e quale, convinto che le richieste dell’Immacolata non acquistano una particolare forza convincente per il modo con cui noi le presentiamo, bensì per la presentazione autentica che noi ne facciamo quale rimedio sicuro dei mali del nostro tempo.
2) Nell’attaccamento al proprio programma. Il programma del Centro non è frutto di un nostro pensamento, ma una presentazione precisa di mezzi che intrinsecamente si oppongono alla radice dei mali che ci circondano.
La Madre della Chiesa ha fornito indicazioni ben precise in un quadro storico determinato, per cui se vogliamo determinati frutti dobbiamo con fedeltà applicarle.
I mali del nostro tempo li conosciamo tutti ed in altre sedi li abbiamo pure presi di mira, indicandoli con precisione estrema (vedi l’inchieste fatte a proposito del tema Evangelizzazione e Promozione umana), ma la Madonna nei suoi interventi ha voluto indicare le radici ultime dell’illanguidimento della fede e degli errori che vediamo circolare nella vita della Chiesa; che sono:
a) la perdita del senso della Croce che risolve gli angosciosi perché della vita dell’uomo e lo spinge alla fraterna solidarietà attraverso la riparazione. Occorre però fare la riscoperta della croce che .dall’accettazione del dolore in piano redentivo va al Sacrificio Eucaristico con cui si realizza una sola offerta ed un solo sacrificio per la salvezza del genere umano.
b) la mancanza della catechesi, riproposta attraverso:
– la presentazione dei novissimi, che sono sempre una forza determinante nella vita di ogni uomo;
– la recita quotidiana del Rosario, in cui accanto a Maria SS.ma si pone un personale confronto tra la vita e l’insegnamento del Cristo e la propria vita pratica di ogni giorno nelle varie vicende gioiose o meno che la toccano.
Non riflettono forse i nostri tempi la lacuna di questa catechesi semplice, ma aderente alle aspirazioni profonde di ogni uomo che cerca oggi invano, attraverso faticosi confronti di civiltà e di sociologia, la proposta di principi i apportatori di vera libertà, di uguaglianza e di sicurezza?
c) la insubordinazione alla Gerarchia. Tutto il Suo intervento nella vita della Chiesa la Vergine Santa l’ha positivamente ed espressamente legato all’approvazione della Gerarchia, invitandoci a sostenerla.
E che significa questo se non un richiamare espressamente che anche i desideri più santi vanno attuati in comunione con i responsabili della vita della Chiesa? e che il primo sostegno va dato al Papa, ai Vescovi ed ai Sacerdoti per il loro sacro ministero così conculcato e in tanti luoghi già reso difficile? .
Essere attaccati a questo programma di fede del Centro è frutto di fede e non di studio, per cui il Capogruppo convinto di questa sacrosanta verità, necessaria per la vita della Chiesa, rimane attaccato alla propria linea d’azione, sicuro che vero rinnovamento ecclesiale non ci può essere al di fuori della Croce, del Catechismo e della sottomissione ai Vescovi.
Siano a conforto di tanti Capi Gruppi le parole di Gesù: «Ti ringrazio, o Padre, che non hai manifestato queste cose ai Sapienti, ma ai piccoli».
3) Nell’intransigenza sulle linee dell’apostolato.
Questo significa che la Chiesa, bisognosa sempre di purificazione su questa terra e desiderosa di espandere il Messaggio di salvezza di cui è vessillifera, deve però continuamente confrontare e riproporsi mezzi sempre più aggiornati per meglio attuare, secondo le esigenze dei tempi, la propria missione.
Ciò significa confrontare i progetti mutevoli con l’immutabile progetto di Dio, progetto eterno, sempre quindi di presente, immutabile e necessaria attuazione.
I mezzi e la storia devono costantemente concordarsi con i principi della fede.
La Chiesa militante in perenne attività di purificazione per conformarsi sempre di più al Suo Divin Fondatore – deve testimoniare la sua fedeltà allo Spirito nella continua tensione a Dio ed al prossimo.
Il Capo Gruppo procedendo quindi con semplicità (nella presentazione della verità), con attaccamento (sicuro della necessità del suo programma per la vitalità della Chiesa), deve nel contatto immediato con le anime essere intransigente sulle linee di apostolato.
Sovente la medicina può sembrare ripugnante e cattiva, ma si prende ugualmente, così i rimedi apportati dalla preghiera, dalla penitenza e dall’attaccamento filiale ai Vescovi vanno praticati e predicati per la ripresa di tante anime.
Perché il dialogo poi sia costruttivo deve essere condotto:
– con franchezza;
– con apertura;
– con disponibilità, riconoscendo quanto di positivo e di nobile si può riscontrare nell’interlocutore;
– con spirito critico e liberante dalle idee incarnate che non affermano valori veri;
– con carità, che non viene meno;
– con fermezza di fronte ai compromessi. Dio non vuole i compromessi: Egli fa la storia.
Se i Capigruppo si comportano in questa maniera non c’è dubbio che essi nella Chiesa saranno, sia pure con la toro apparente debolezza, veri costruttori del Regno. Tali doti, cari ammalati e fratelli degli ammalati, ben comprendete che si imparano non sui libri, ma alla scuola , della Vergine umile e fedele nell’ascolto meditativo della Spirito.
I Capi Gruppi devono essere uniti tra loro per comunicarsi:
– le esperienze,
– le difficoltà,
– le conquiste che emergono dalla considerazione di problemi sempre nuovi, affrontati in spirito di confronta con le esigenze sempre più vaste della categoria, ricercando in ogni settore e circostanza una vera autenticità di fede, testimoniata dal loro senso ecclesiale in vista di un bene comune.
Gli incontri del Capi Gruppi, se si vuole che l’operato sia vivo e sempre aderente alla mutevolezza, quasi vertiginosa, delle situazioni, devono essere frequenti; comunque mai oltre i due mesi.
Le situazioni e le necessità vanno seguite da tutti e maturate in comunione di esperienza.
I risultati dei loro incontri, devono essere portati poi all’Incaricato diocesano degli ammalati, oppure, ove già esista la carica, al «Coordinatore» dell’attività dei Gruppi di Avanguardia, il quale tutto passerà al Consiglio Diocesano e questo – se già esiste – al Consiglio Regionale per lo
studio dei risultati, proposte e metodi sempre più rispondenti alle esigenze del tempo.
Se, i Capigruppo operano:
– con fede
– con zelo, preoccupati di dare un apparta viva e necessari alla Chiesa ed alla Società, non vi è dubbio che il Centro rifiorirà.
L’apostolato è posto nelle loro mani. Non esiste ammalato, che sia veramente solo: per lo meno, avrà sempre uno che, sia pure mal volentieri, gli dia un aiuto peri più umili, servizi; a quell’unico allora egli dirigerà tutta la sua testimonianza.
I Capigruppo che in spirito di fede e con zelo operano senza stancarsi mai, disposti a ricominciare sempre da capo, protesi ad estendere e moltiplicare altri Gruppi di Avanguardia saranno:
– elementi di controllo che captano le vere esigenze della categoria e cercano di risolverle alla luce dei principi indicati;
– elementi di freno contro qualsiasi eccesso; l’equilibrio mantenuto attraverso la preghiera e lo scambio delle esperienze, è il primo coefficiente per un apostolato serio, fruttuoso e duraturo.
COORDINATORE DEI CAPI GRUPPI
Il Coordinatore del Capi Gruppi, indifferentemente se sano o ammalato, intuendo e vivendo la necessità dei problemi della, categoria, animato dal proposito di quotidianamente migliorarsi per migliorare (evangelizzarsi per evangelizzare) e di realizzare iniziative di promozione dei sofferenti nei settori famiglia – Chiesa – Società, deve essere:
– di fede sincera: deve credere nel valore costruttivo della Croce e nella necessità di una vera promozione cristiana e sociale del sofferente;
– di azione vivace: ,non basta che sia buono per sé, deve saper animare, intuire, sostenere, trascinare;
– di attaccamento provato alle spiritualità, finalità e metodologia del Centro.
La sua nomina deve avvenire in accordo con il Centro Nazionale, con il quale deve avere pure diretti rapporti.
PROGRAMMA PER CAPIGRUPPO
Abbiamo messo in cantiere per VOI due incontri per approfondire le richieste dell’Immacolata alla luce:
– del Vangelo
– del Vaticano II
– delle necessità odierne.
Si raccomanda di esaminare bene il programma e di dividere i partecipanti secondo la rispettiva preparazione.
I INCONTRO: 26-29 marzo 1977 in cui si tratterà:
– le richieste della Madonna nei Suoi particolari (tratterà l’argomento Mons. Novarese);
– le necessità dell’Apostolato e le sue caratteristiche;
– l’attività del Capogruppo deve essere:
– di sostegno agli iscritti
– di allargamento dell’apostolato.
II INCONTRO: 2-5 aprile 1977 in cui, saranno approfondite:
– le richieste dell’Immacolata alla luce del Vangelo e del Vaticano II (anche questo tema sarà trattato, da Monsignor Novarese); ,
– gli errori del nostro tempo alla luce del volume «Temi roventi alla luce del Cuore di Cristo»; (il volume sarà donato ai partecipanti come testo);
– come va svolto l’apostolato alla luce degli errori, come rimedio ai mali del nostro tempo.
A tali Corsi sono invitati a partecipare anche gli Assistenti e gli Incaricati Diocesani.
Ecco per ora le grandi linee che con fede ed amore grande verso l’Immacolata bisogna attuare affinché il Centro risponda alle attese della Chiesa.
Pongo nelle mani Vostre queste direttive e, in nome dell’Immacolata, assieme a Sorella Myriam, Vi prego di diffonderle, sostenerle ed attuarle.
Di cuore Vi benedico.
Nel Signore
Sac. Luigi Novarese
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