L’Ancora: n. 5 – aprile/maggio 1963 – pag. n. 1/7
Il Santo Padre, Giovanni XXIII, dopo averci dato un meraviglioso esempio sul modo di sopportare il dolore, il 3 giugno, alle ore 19,49 al termine della Santa Messa, che veniva per lui celebrata in Piazza S. Pietro, ci ha lasciati per il Cielo.
Da tempo egli era a conoscenza del male che lentamente minava il suo organismo. Non volle mai rattristare il cuore dei figli, serbando per sé e per alcuni suoi intimi tale dolore.
A Mons. Loris Capovilla, suo fedelissimo Segretario particolare così il 26 maggio diceva:
“So benissimo che cosa ho e so anche che non mi restano che tre o quattro settimane di vita”.
Dal 22 maggio il nostro cuore incominciò a fortemente trepidare sulla sorte del Padre comune: si sapeva ormai con chiarezza la gravità inesorabile del Suo male.
Da tale giorno ci siamo sentiti più vicini che mai al cuore del Papa e tante Sue espressioni di pressante richiamo alla vita eterna ed al Cielo prendevano nuova luce e particolare forza.
Siamo rimasti accanto a lui in preghiera per ore ed ore senza stancarci, assieme alla folla orante in Piazza S. Pietro, desiderosi di ottenerGli dal Signore forza e sollievo in mezzo a tante sofferenze.
Riandando col pensiero al Discorso che il Papa ci ha rivolto il 19 marzo 1959 nella Basilica Vaticana, vediamo come Egli abbia applicato in sé, nell’ora della prova e del dolore, gli stessi sentimenti a noi detti in quel giorno memorabile di S. Giuseppe.
L’offerta delle proprie sofferenze e l’uniformità alla volontà di Dio, ecco i due grandi insegnamenti che dobbiamo trarre dalla sofferenza del Pontefice.
Il 30 maggio all’Eminentissimo Cardinale Segretario di Stato, alle ore 21, il Papa confidava:
«Oh quanto sono grato! Il fatto di essere oggetto di delicate attenzioni mi commuove e mi lascia perfettamente tranquillo nella mia semplicità abituale, mentre mi sento più che mai unito ai tanti che soffrono negli Ospedali e nelle case e che sono angustiati in varie forme.
« Questo interessamento per il Papa che umilmente rappresenta il Signore, vuole segnare il nuovo fervore di preghiere, pensieri e propositi di pace, convinzione netta e chiara che nella vita ciò che vale è sempre il senso del Vangelo e cioè mitezza, bontà e carità.
« Desidero che tutti ricevano il segno della mia commossa gratitudine, di modo che come vogliono restare uniti a me, così traggano motivo di fraterno, vicendevole amore ».
Dal suo letto di dolore, diventato per Lui cattedra ed altare abbiamo ancora ascoltato:
« Per il fatto che tutto il mondo prega per il Papa malato, è ben naturale che a questa supplicazione si dia un ‘intenzione. Se Iddio vuole il sacrificio della vita del Papa, che esso valga a impetrare copiosi favori sul Concilio Ecumenico, sulla Chiesa Santa, sull’umanità che aspira alla pace ».
Lo sguardo del Papa era continuamente rivolto al Cielo, « là dove non ci sono più né lacrime, né dolori, né separazione, né possibilità di offendere Dio » (discorso ai V.d.S. 19 marzo 1959):
E’ bella la terra ma è assai più bello il Paradiso! Oh il Paradiso quanto è bello!
Nella notte del 3 giugno, ultima sua notte su questa terra, l’espressione che sale dal suo cuore è quella di Gesù prima della Sua Passione:
« Padre custodisci nel tuo nome questi che mi hai dato, affinché sia una cosa sola, ut unum sint… » dice ancora con voce debolissima: «unum,… unum… unum… ». Il 24 novembre 1958 il Papa ci aveva voluto ricevere.
In tale occasione parlò sul precetto di Gesù, «chi vuol venire dietro di me prenda la propria croce e mi segua ». La croce però doveva avere nella persona dello stesso Vicario di Gesù Cristo la sua più ampia interpretazione:
« Completare le sofferenze di Cristo., per il suo corpo che è la Chiesa. (Col. 1. 24). Ecco il grande compito dei sofferenti che anime generose attuano fino all’eroismo dell’accettazione e dell’offerta. In questo apostolato non vi è settore che rimanga precluso alle loro possibilità; a tutti possono far giungere i benefici della Redenzione, molti dei quali non si sarebbero salvati se non avessero pregato e sofferto.
E non è questo che la Vergine Immacolata ha specialmente con tanta insistenza richiesto quando a Santa Bernardetta domandava preghiere e penitenza? Il lavoro e il dolore sono la prima penitenza imposta da Dio all’umanità caduta nel peccato, orbene, come il peccato attira l’ira di Dio, cosi la santificazione del lavoro e del dolore attira la misericordia sul gener umano ». (Discorso C.V.d.S. 19 marzo 1959).
Il 28 maggio u. s. quando tutti eravamo in viva angoscia per la salute del Padre Gli ho fatto pervenire una lettera, e un grande fascio di rose rosse, manifestandoGli i sentimenti di partecipazione ai suoi dolori da parte di tutti gli iscritti al Centro Volontari della Sofferenza.
Nello stesso giorno, 28 maggio, nonostante le Sue gravissime condizioni Egli ha fatto giungere una parola di compiacimento tramite il Suo Segretario privato: « grazie del dono della consolazione! ».
Il 1° giugno u. s. giunse ancora una lettera da parte della Segreteria di Stato di Sua Santità, in cui non solo si ringraziava a nome del Papa, ma si comunicava altresì la Sua benedizione Apostolica, l’ultima Benedizione, su questa terra, di Papa Giovanni XXIII per ciascuno di noi:
«Compia il venerato incarico di significarle che sono tornati ben graditi al Sommo Pontefice i fervidi voti che Ella gli ha recentemente formulato.
Le preghiere, che hanno avvalorato ed avvalorano il desiderio di tanti cuori devoti, come hanno impreziosito i voti filiali, così sono stati per il Vicario di Cristo motivo della compiacenza più viva. A testimonianza della Sua gratitudine ed a pegno della sua paterna benevolenza, l’Augusto Pontefice imparte di cuore a Lei e a quanti nella comune trepidazione, hanno manifestato l’animo nobile e cortese, la confortatrice benedizione apostolica».
Sorelle e fratelli carissimi, il Cuore del Papa non è morto, non può morire.
Giovanni XXIII ci ha espressamente parlato della vita futura, del Paradiso dove tutti ci incontreremo, della necessità di essere buoni, di essere attaccati alla Chiesa, Maestra infallibile per il Cielo.
Raccogliamoci quindi assieme e ringraziamo il Signore di averci donato un così grande Pontefice e promettiamo di voler seguire il Suo esempio e mettere in pratica i Suoi insegnamenti.
Soltanto così seguiremo il Pastore e saremo sicuri di arrivare alla meta.
Soltanto così la pace più grande subentrerà nel nostro cuore e sperimenteremo sempre di più che anche per noi il letto della sofferenza può diventare «cattedra ed altare ». In Paradiso rivedremo tutte le persone care, Pio XII che ci ha sostenuti nell’inizio dell’Apostolato, Giovanni XXIII che ci ha approvati e vedremo anche Gesù, Redentore delle anime nostre, La Madonna, nostra Madre, al Cui servizio ci siamo posti.
Saremo allora finalmente felici e contenti perché i dolori saranno passati e avremo il premio per quanto abbiamo sofferto.
Luigi Novarese
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