L’Ancora: n. 1 – gennaio 1964 – pag. n. 20-21
Il 6 dicembre u. s., dopo molte sofferenze, il veneratissimo Monsignor Carinci, grande amico e sostenitore del nostro apostolato, ha cessato la sua lunga giornata terrena.
Il Santo Padre volendo esprimere le Sue condoglianze al clero di Roma inviò un telegramma all’Em.mo Cardinal Vicario:
“Con dolore apprendiamo il mesto annunzio pia morte venerabile fratello Alfonso Carinci, Arcivescovo Titolare di Seleucia d’Isauria Segretario Emerito Sacra Congregazione Riti, per il quale nostri venerati predecessori e noi stessi nutrivamo così viva affezione e stima. Nel ricordo sua nobile longeva vita spesa con assoluta dedizione servizio S. Chiesa, amiamo additare degnissimo presule, sempre animato da vero spirito sacerdotale zelo pietà disinteresse umiltà come luminoso esempio clero romano, che edificato ne ammirò virtù, commosso ne piange scomparsa, e raccolto in preghiera ne suffraga eletta anima. Mentre invochiamo dal Signore premio eterno al servo buono e fedele impartiamo dì cuore confortatrice nel lutto e propiziatrice di grazie celesti nostra benedizione apostolica. Paolo VI”.
Eravamo abituati a vedere Mons. Carinci vicino a noi, e ricorrere a lui, anche nelle più piccole difficoltà.
Mons. Carinci è stato un «luminoso esempio» a Re, “luminoso esempio” negli incontri personali, “luminoso esempio” tra sofferenze le più atroci, che hanno chiuso la sua lunga giornata terrena.
“Andiamo, andiamo” — ripeteva nel suo penultimo giorno di peregrinazione lontano dalla patria celeste. Con sorriso più di cielo che di terra, poche ore prima di morire pensò ancora a Re, ai tanti ammalati là convenuti, alle comunità dei “Silenziosi Operai della Croce” e mandò una larga benedizione. Ci promise protezione anche dal Cielo, accettò volentieri di dire alla Vergine Santa le preoccupazioni del Centro “tante vocazioni per estendere maggiormente l’apostolato, e i mezzi necessari per terminare al più presto di pagare la Casa di Re».
Aveva amato il nostro apostolato, l’aveva seguito fin dal suo nascere; a noi restano le Sue parole, dette nella scorsa estate alcuni giorni prima di partire da Re, come un caro incitamento: “non c’è dubbio che questo apostolato è voluto dalla Madonna, quindi avanti con tranquillità e fiducia”.
Aveva chiesto al Signore di fare il Purgatorio su questa terra, attraverso la sofferenza, pur di andare subito in Paradiso, al momento della morte. Domandandogli sulle condizioni della salute, rispondeva:
“bene e male: bene perché ho molti dolori e quindi meno Purgatorio da fare, male perché ho tanto da soffrire”.
Recitava continuamente giaculatorie quelle da lui preferite, “Gesù, Maria, Giuseppe” applicando con l’insegnamento, costantemente dato, durante la sua lunga esistenza, recitare tante giaculatorie per rendere viva la nostra unione con Dio. Con i Santi nomi di “Gesù, Maria, Giuseppe” andò incontro alla Madonna il 6 dicembre alle ore 17, mentre le campane della vicina Chiesa di S. Bartolomeo incominciavano a suonare l’Angelus, annunciando l’inizio della grande vigilia della festa dell’Immacolata.
La sua venerata salma riposa ora nella Chiesa di S. Maria del Suffragio, la Chiesa affidata dal Vicariato di Roma alla nostra Associazione.
Ci pare cosi di averlo ancora vicino e di non soffrire tanto per la Sua mancanza. Durante la sua esistenza aveva dato il suo valido contributo quale Segretario della Sacra Congregazione dei Riti, per la canonizzazione di ben 64 Santi e la beatificazione di circa 500 Beati.
Lavorando per i Santi era entrato nell’intimo della virtù dei soggetti che trattava e da essi aveva imparato l’arte delle arti, quella della santità.
LUIGI NOVARESE
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