L’Ancora nell’unità di salute: n. 4 – 1979 – pag. n. 281-
Mons. Luigi NOVARESE
Collaborare con la Chiesa al risveglia delle coscienze, in unione a tutte le forze cattoliche, è l’attività più urgente e più necessaria in questi tempi.
Il Santo Padre ripetutamente ci ha sottolineato questa necessità, invitandoci a vedere, come in uno schermo, i mali morali e sociali che gli errori del naturalismo e del materialismo provocano nelle singole anime e nella Società.
Tali deviazioni ideologiche affrontano, infatti, i problemi che toccano l’uomo e li risolvono al di fuori e contro le verità escatologiche che, accettate o negate, investono ogni persona al termine della propria esistenza.
Cooperare con la Chiesa nell’opera di evangelizzazione significa comprendere la missione apostolica insita in ogni battezzato e viverla, testimoniandola nella propria esistenza in tutte le manifestazioni della vita e dell’attività, senza fare alcuna scissione tra fede e professione e tra scienza e fede; la scienza, del resto, non è contro Dio creatore e la fede deve animare la società, affinché ogni uomo, attraverso la testimonianza dei credenti, sia condotto, dalle cose create, a riscoprire Dio creatore e, dall’esercizio della carità, sia portato a vedere il Cristo vivente nei fratelli.
Per questo occorre darsi da fare con la Chiesa al risveglio delle coscienze affinché gli errori, che come zizzania circolano attorno a noi, non abbiano ad intralciare le grandi e soprannaturali verità da Gesù annunziate, confermate dai miracoli da Lui operati e dalla Sua risurrezione sigillate. Bisogna far comprendere all’uomo la sua “regalità”, “cioè la sua chiamata a partecipare all’ufficio regale – il munus regale – di Cristo stesso “ (Redemptor hominis, 16).
Papa Wojtyla nell’Enciclica citata, al medesimo numero, spiega con molta chiarezza in che cosa consista questa chiamata rivolta agli uomini di buona volontà: “Il senso essenziale di questa “regalità” e di questo “dominio “dell’uomo sul mondo visibile, a lui assegnato come compito dallo stesso Creatore, consiste nella priorità dell’etica sulla tecnica, nel primato della persona sulle cose, nella superiorità dello spirito sulla materia “ (idem).
Occorre però stabilire una segnaletica, un diagramma che indichi se l’uomo nel suo cammino e nel suo operare si avvicini di più o meno a Dio.
“È per questo – afferma ancora il Santo Padre – che bisogna seguire attentamente tutte le fasi del progresso odierno: bisogna, per così dire, fare la radiografia delle sue singole tappe proprio da questo punto di vista. Si tratta dello sviluppo delle persone e non soltanto delle moltiplicazioni delle cose, delle quali le persone possono servirsi. Si tratta non tanto di “avere di più “, quanto di “essere di più” “ (idem).
Il primo punto che va annunciato all’umanità con tutti i contatti possibili, facendosi realmente “tutto a tutti” è la nostra liberazione dalle conseguenze del peccato e la vittoria sulla morte, che “per Cristo e in Cristo riceve luce e che al di fuori del Vangelo ci opprime” (Gaudium et Spes, 22).
E’ vero che i convinti seguaci del naturalismo e del materialismo si sforzano di cancellare l’impronta di Dio dal creato e il piano della redenzione dell’uomo, ma tali sforzi, dopo decenni di inutile lavorio di indottrinamento, dimostrano la verità evangelica che “ Chi non semina con Me disperde”.
“Di fronte all’attuale evoluzione del mondo, diventano sempre più numerosi quelli che si pongono o sentono con nuova acutezza gli interrogativi capitali; Cos’è l’uomo? Qual’è il significato del dolore, del male, della morte, che malgrado ogni progresso continua a sussistere? Cosa valgono queste conquiste a così caro prezzo raggiunte? Che reca l’uomo alla società, e cosa può attendersi da essa? Che cosa ci sarà dopo questa vita?” (Gaudium et Spes, 10).
La risposta data dai giovani in chiave di fede a Papa Wojtyla tanto il Polonia quanto a Roma durante le numerose udienze pontificie o nei suoi viaggi apostolici, ben dice che “il germe dell’eternità che l’uomo porta in sé, irriducibile come è alla sola materia, insorge contro la morte” (idem, 18).
Del resto, verità che pretendano di trasformare l’umanità e di inserirsi perennemente nei destini dell’uomo che siano ancorate a sepolcri pieni, come quello di Lenin, Stalin, Voltaire e così per i vari superbi della storia, sono tutte destinate a perire. Soltanto il Cristo, vincitore della morte, dà garanzia alla nostra fede, lasciandoci con la Sua risurrezione la storica testimonianza di un sepolcro vuoto. La storia lo afferma e trasmette la notizia di secolo in secolo, dimostrando la veridicità trasformante e vincente della verità annunciata e sostenuta a prezzo della propria vita, nella certezza della propria finale resurrezione, “il terzo giorno risorgerò “.
La mentalità odierna, giovanile o meno, si trova gioiosamente in cammino verso una nuova pentecoste, anche se questo risveglio costa sacrificio e calvario.
Questa mentalità che si afferma come una primavera di fede che si accosta a quella dei primi secoli della Chiesa prova che “ non si può escludere Cristo dalla storia dell’uomo in qualsiasi parte del globo, e su qualsiasi longitudine e latitudine geografica” (Giovanni Paolo II, 2.6.1979).
I sofferenti che di tali errori sono le prime vittime, rimangono pensosi e muti di fronte alla sicurezza, per quanto li riguarda, del mondo assistenziale, che in moltissimi casi cammina con l’illogico sdoppiamento della scienza dall’etica come se si dovesse curare corpi senz’anima, senza tener presente fini eterni che naturalmente investono ogni uomo, indifferentemente se egli appartiene al mondo degli assistiti o a quello dei curanti.
E’ un lavorio di osservazione e un lamento che lentamente si evolve nel mondo dei sofferenti di fronte alla laicizzazione sempre più marcata degli ambienti sanitari, in cui si cerca di ridurre al massimo l’assistenza religiosa nonostante l’esplicita disposizione dell’attuale legge sanitaria.
E affiorano allora dei perché che trovano soltanto risposta nei piani orizzontalisti e materialisti che positivamente escludono Dio. Giustamente Papa Wojtyla afferma che “l’esclusione di Cristo dalla storia dell’uomo è un atto contro l’uomo” (idem, 2.6.1979).
E’ un pensamento che si sta facendo strada sui veri e profondi motivi per cui si continua da taluni ad ignorare una legge che ha punti ben precisi di applicazione a sicurezza di tante anime che soltanto in ospedale possono essere avvicinate.
Sono timori che, con vera fondatezza, affiorano sempre di più nell’intimo di tanti sofferenti circa la sicurezza di vita che possono essi avere quando entrano in ospedale se i concetti di materialismo e di naturalismo continuano a progredire sino al punto di voler ottenere, dopo aver già ottenuto l’incolumità personale per gli infanticidi, anche l’incolumità relativa alla eutanasia.
E così dicasi della verità all’ammalato e di altri scottanti problemi che lo riguardano.
Se nelle attuali strutture sanitarie oggi l’ammalato ha di più, non so se si possa dire che egli abbia dall’ambiente di più per maggiormente realizzarsi.
Eppure chi più dell’ammalato può dire che “la storia di ogni uomo si svolge in Gesù Cristo?” (idem 2.6.1979).
Moralizzare tali ambienti significa denunciare le lacune senza acredine, evangelizzare prima di tutto attraverso l’azione degli ammalati che sono i primi interessati, richiamando ed esigendo che l’impostazione dei problemi riguardanti la morale siano affrontati a livello dell’etica cristiana e del Magistero, opponendosi a tutte le forme di naturalismo da qualunque parte siano sostenute.
Operare così significa attuare l’invito di Giovanni Paolo II, il quale esorta al dialogo, ma un dialogo chiaro, costruttivo, senza cedimenti, condotto con carità, chiarezza di idee, sostenuto dall’efficacia della preghiera e dal reale apporto del sacrificio.
Sac. Luigi Novarese
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