L’Ancora: n. 1 – gennaio 1962 – pag. n. 7-11
Sono sei mesi che ci ha lasciati per la Patria Celeste e pare ancora ieri, che vicino a noi s’interessava di tutta l’attività, difficoltà e successi del Centro.
Non sembra vero che non sia più tra noi, pare quasi uno di quegli scherzi che tante volte egli faceva, indice del suo carattere vivo e faceto, che ha fatto di lui, nonostante la sua penosa situazione fisica “ fragilità ossea “ un “ ilare donatore di se stesso al Signore “. Mi ero abituato a telefonargli quasi ogni mattina dall’ufficio e ad intrattenermi con lui sull’andamento dell’Apostolato. Quanti “SOS” di preghiere tramite suo ho lanciato agli ammalati di Roma, i quali, proprio perché più vicini al Centro, hanno il compito di sostenerlo, più degli altri, con la preghiera, nelle immediate difficoltà o necessità. Quante volte Luciano stesso mi chiamava al telefono per farmi subito un resoconto delle visite avute e parteciparmi i risultati della sua attività. Le sue lunghe conversazioni con Sorella Myriam venivano da noi scherzosamente chiamate “ il colloquio dei capi “.
Dal giorno in cui egli entrò a far parte dei Volontari della Sofferenza possiamo con tranquillità affermare che il Centro divenne la sua vita. Quali difficoltà si dovettero affrontare per abituare la famiglia, la quale, giustamente temendo per la fragilità ossea del loro caro, aveva timore, specialmente nei primi tempi, di lasciarlo fuori casa nelle diverse ore della giornata, passate quasi sempre presso il Centro.
Si poneva in camera mia, di fronte alla mia scrivania ed in silenzio o lavorava, aiutando a rispondere con lettere di ringraziamento alle offerte pervenute, oppure, recitava il Santo Rosario.
Era contento! Ed eravamo contenti anche noi, poiché nella sua vita era entrata la gioia più piena; l’attività della valorizzazione del dolore era la sua attività e quante volte ebbe a ripetermi:
– Creda, Monsignore, non è impedito se non chi vuole essere impedito.
Aspirava a far parte dei Silenziosi Operai della Croce in vita comune e sognava una casa anche in Roma o nelle vicinanze ove unirsi ad altri Fratelli d’ideale e darsi completamente all’Apostolato.
L’ultima fase della sua malattia non sembrava che dovesse strapparcelo.
Al mattino del venerdì, 14 luglio, prima di partire per Ariano, telefonai ancora alla mamma, con preghiera di assicurare Luciano che lo avremmo ricordato alla cara Madonna, “ Salute degli Infermi “.
La mamma ci dette la consolante notizia che Luciano stava meglio, aveva riposato e che si poteva considerarlo fuori pericolo.
Durante il giorno si era ancora occupato del Centro, verso le ore 14 si era fatto dare una busta e dentro aveva posto una offerta, che gli era stata data per la Casa di Re, domandò di essere lasciato solo per riposare: si sentiva molto stanco. Rimase solo e nel silenzio della sua cameretta, testimone della sua lunga giornata di Venerdì Santo, alle ore 15, come Gesù Cristo sul Calvario, accanto alla sua mamma, accorsa spinta dall’istinto materno, lasciò la terra per andare a vedere, faccia a faccia, Dio e la Vergine Santa che aveva tanto amato e servito. Un Sacerdote della Parrocchia di Santa Maria in Trastevere, don Francesco, Sacerdote Novello, il 14 luglio, giorno della sua morte, aveva celebrato al mattino la Santa Messa in camera di Luciano e Gesù Eucaristia aveva visitato il suo fedele servo.
Gesù Cristo, vivente in ogni sofferente che viva in grazia, poche ore dopo, ancora una volta, nell’accettazione della morte di Luciano, compiva il Suo atto di riparazione per tutta l’umanità.
Sorella Myriam, subito avvisata della morte del caro fratello d’ideale, poteva essere immediatamente presso la salma e rappresentare vicino a lui tutti gli ammalati del Centro.
Ad un Fratello di dolore, Elio Mandolini – cieco e privo di un arto superiore – che prima di partire per le ferie era andato a salutarlo, e gli aveva promesso preghiere per la sua guarigione, Luciano con prontezza aveva risposto:
– Prega che sia fatto la volontà di Dio. Alla mamma sovente in lagrime, ripeteva:
– Se tu piangi, io soffro.
Se accadeva alla mamma di accennare con qualcuno delle sofferenze del figlio, immediatamente la interrompeva:
– Mamma, vuoi star zitta, per piacere?
Ad essa, piangente su di lui, quando sopraggiunse la polmonite:
– Mamma, più bella di questa tu vuoi la strada?
Sì, Luciano comprese il valore della sofferenza, visse la sua vita di dolore e rinuncia con gioia, facendo di essa scala per il Cielo, conquista di meriti per la società, esempio a tanti fratelli.
Nemmeno noi crediamo ancora alla sua morte; anche se abbiamo visto la sua salma devotamente composta, con l’aspetto tranquillo e sorridente, e tante, tante persone di ogni ceto e condizione sociale salire sino in camera sua, per tributargli ancora una volta un atto di amore e venerazione: Luciano, infatti, non è morto; egli vive, in cielo, con una realtà di vita come quando viveva su questa terra.
Il suo Parroco, che lo piangeva come il più caro figlio della parrocchia, mi diceva:
– Del caseggiato, dove viveva Luciano, io ero tranquillo. C’era lui che pregava ed offriva. Mai ho avuto dispiaceri dagli abitanti di quella casa.
Il papà di Luciano, che tante lagrime ha versato per la morte del figlio, ebbe la gioia, nel giorno della sepoltura, di essergli spiritualmente unito, come la sua sposa e le due figliole, con la Santa Comunione.
Non fu un funerale quello che avvenne per Luciano e nemmeno vogliamo affermare, come si suol dire, un trionfo. Fu qualcosa di più: una grande manifestazione di fede, degna di un Silenzioso Operaio della Croce, che aveva speso la sua vita per la sua augusta Regina del Cielo e della Terra.
Gli ammalati anche impediti, senza essere stati invitati, vollero prendere parte al funerale: giungevano alla Basilica di Santa Maria in Trastevere con le loro carrozzelle, portando, legati al manubrio, grandi mazzi di fiori.
Quando la salma del caro Luciano giunse alle porte della Chiesa, due Fratelli Ammalati impediti, in carrozzella, un giovane ed un Sacerdote, l’attendevano per accompagnarla in Chiesa, ove gli altri fratelli di dolore la stavano aspettando, recitando il Santo Rosario.
Subito ebbe inizio la Santa Messa da me celebrata, mentre il Parroco ed i Sacerdoti della Parrocchia si alternavano nelle confessioni.
La Chiesa era gremita come per le grandi occasioni.
Prima dell’assoluzione al tumulo, invitai i presenti a cantare il Magnificat, che, sia pure col dolore più profondo per la morte di un così caro fratello, uscì solenne e poderoso da tutti i cuori: era il grazie alla Madonna per aver scelto il Suo figlio Luciano al Suo servizio; per esserSi degnata di servirSi di lui per estendere il Suo messaggio di preghiera e di penitenza; era il grazie di Luciano alla Vergine Santa, dettoLe dai fratelli sofferenti, per i tanti doni elargitigli. La salma uscì dalla Chiesa tra due fitte ali di fedeli, che, come a chiusura dei raduni degli ammalati, cantavano “ L’Ave di Lourdes “: era il 16 luglio, festa della Madonna del Carmelo, ultimo giorno delle apparizioni di Maria Santissima alla Sua piccola Bernardetta.
E così è passato Luciano in mezzo a noi, lasciandoci la scia del buon esempio e l’esempio delle sue virtù.
Con questo articolo non ho pensato di tracciare la fisionomia del nostro caro scomparso. Ritorneremo su di lui, appena il Signore ce lo consentirà.
Le file dei nostri cari si sta ingrandendo anche in Cielo e ci rendono ancor più desiderabile la Patria nostra Celeste per ritrovarli e stare con loro sempre, vicino a Maria Santissima, nella contemplazione di Dio, in quella Patria, ove non ci sono più dolori, né separazioni, ma gioia piena in cambio delle nostre tribolazioni, che per grandi che siano, sono passeggere, limitate, destinate a finire.
D. Luigi Novarese
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