L’Ancora: n. 3 – marzo 1966 – pag. n. 1-7

C’è UNO che bussa alla porta della nostra casa…

La morte presa cristianamente è un tesoro posto a disposizione di ognuno per potere pagare tutte le proprie miserie ed aiutare anche gli altri a trovare Dio e vivere nel suo amore.
L’uomo non è nato per la morte, ma per la vita e la stessa morte che noi piangiamo se colpiti nelle persone care e che ci spaventa quando pensiamo alla nostra, non è cessazione totale della vita, ma un «inizio della vita futura in cui non c e nessuna morte ».

La morte è la separazione dell’anima dal corpo.
Da tale definizione già intravediamo come l’anima continui, dopo la separazione dal corpo, la vita iniziata nel momento in cui è incominciata la vita umana. La morte è entrata nel mondo attraverso il peccato; la morte è l’epilogo della sofferenza.
Secondo S. Tommaso la morte è la conclusione della sofferenza, non una sofferenza di per se stessa. La morte è una pena di danno, toglie la vita fisica.

La morte, come pena, è la più grande, a cui umanamente non c’è rimedio e che tutti tocca.

Morte, atto d’amore.

La morte però vista nella sua finale essenza, anch’essa è un grande atto di amore di Dio verso l’umanità: essa pone a disposizione di tutti un mezzo che può bilanciare qualunque manchevolezza e mette nella condizione di poter meritare, come e con Gesù, anche per gli altri.
Tutti abbiamo dei peccati; tutti siamo peccatori, tutti quindi abbiamo diritto di avere da parte di Dio un mezzo proporzionato che ci dia la possibilità di scontare i debiti contratti durante la vita. Potrebbe sembrare un paradosso, in realtà la morte è un atto di grande misericordia di Dio verso l’umanità.
Se dopo la redenzione non avessimo più avuto la possibilità del peccato non avremmo nemmeno avuto bisogno di avere dei mezzi grandemente penitenziali e sommamente giovevoli a nostra disposizione. In realtà la concupiscenza continuamente ci spinge alla infrazione della legge; la debolezza umana ci dimostra, con l’esperienza fino a che punto siamo venuti a patti con il nemico delle anime nostre: se non avessimo nemmeno un mezzo di bilancio come ci troveremmo di fronte a Dio?
Possiamo avere tante lacune, ma abbiamo pure un mezzo, con cui possiamo ristabilire l’equilibrio, non esistendo prova più grande di amore che dare la vita per l’amico.
Non esiste quindi mezzo più grande di riparazione che dare la vita per Gesù Cristo con Gesù Cristo in sconto dei propri peccati.
A questo punto allora si inseriscono conclusioni importantissime:
a) necessità di aiutare i fratelli a porsi in stato di grazia perché abbiano a valorizzare cosi grande tesoro. Una sofferenza ed una morte senza vita di Dio non è fruttuosa.
b) necessità di rendere consapevole la persona con tutti i mezzi che la prudenza e la carità pongono a disposizione perchè abbia ad accettare tale prova, aiutandola a mettersi in condizione di valorizzarla al massimo.
c) dopo un’accettazione generica della morte si esige ancora che si abbia ad accettare anche la prova «hic et nunc» come essa si presenta.
Certamente che se si riuscisse a far accettare la morte come si presenta in circostanza determinata, con tutte le sue conseguenze, ci sarebbe maggior merito.
d) la delicatezza della comunicazione sulla gravità di stato in cui uno si trova, (malattia che sta risolvendosi con la morte) evidentemente pone chi di dovere di fronte a problemi umani e soprannaturali di grandissima importanza.
La delicatezza del momento, le preoccupazioni familiari, il timore di impressionare il malato con la manifestazione della gravità del suo stato non sminuiscono il dovere di pienamente affrontare la situazione e risolverla nei dovuti modi che la carità e la prudenza suggeriscono.
Nessuno ha il diritto di togliere alla creatura ciò che Dio le ha posto a disposizione per la propria santificazione.
Se si pensa che anche una vita di peccato può essere bilanciata con un atto di amore e di accettazione, come si può con tranquillità d’animo lasciare che si vada incontro alla morte senza cooperare ad avere il merito che da tale accettazione scaturisce?
L’accettazione della morte appartiene agli atti di giustizia verso Dio. E’ una pena proprio in vista della riparazione ai debiti contratti durante la vita.
E’ una falsa pietà quella di nascondere la gravità della malattia ai sofferenti, perché si priva così la persona cara di possibilità enormi di conquista e di meriti eterni.
E per quanto tempo durerebbe del resto questo atto di falsa pietà? Per poco tempo perchè al momento in cui la persona cessa di vivere alla terra e l’anima incomincia a vivere nell’eternità, alla luce della Somma Verità, Dio, immediatamente percepisce i veri valori, quelli che restano o quelli che attirano una condanna.
L’anima sente allora immediatamente l’amore riconoscente verso chi l’ha aiutata a sistemare partite magari rimaste aperte da anni, o il senso di odio per quelle persone che con la loro falsa pietà hanno contribuito a tenerla in stato di peccato, nascondendole la verità fino alla fine.
La congiura del silenzio in simili situazioni sarebbe una ben triste commedia, malamente recitata attorno a chi sta male e tragicamente conclusa in forma, magari, irreparabile.

Forza della grazia di stato.

Nè si può inoltre dimenticare la grazia di stato, ossia la grazia del momento presente, che evidentemente scatta nell’istante in cui se ne ha bisogno. Il valore di una santa morte dipende dall’accettazione e santificazione o meno di essa; ma se chi agisce attorno ai sofferenti agisce con spirito di fede, secondo le regole non della prudenza della carne, ma dello spirito, il Signore non manca di intervenire per il maggior bene di quell’anima. Anche nel caso deprecato che venisse respinto l’invito, per lo meno chi resta non ha il rimorso di avere negato ad un’anima tutti quegli elementi che forse avrebbero contribuito a scuotere o a ravvivare una fede assopita.
Argomento pieno di luminosa fiducia è la continua constatazione dei benefici effetti del fiducioso ricorso alla Madonna.
La Vergine Santa è madre che veglia ed attende il proprio figlio, da Lei generato alla vita della grazia e tante volte soccorso, per presentarlo al fratello maggiore Gesù ed introdurlo nella Gerusalemme celeste. La Madonna è Madre che, con le sue sollecitudini materne, veglia più che mai in quei momenti perchè la persona con la cessazione della vita terrena sancisce la sua posizione di fronte a Dio.
Non può quindi essere assente dal capezzale dei figli, Colei, che è la Mediatrice di ogni grazia e che con Gesù, unico Mediatore, ha meritato sul Calvario per ciascuno di noi ed ha inoltre visto quanto costiamo al Suo dilettissimo Figlio.
La Madonna, quindi, proprio in virtù della sua funzione materna sarà quanto mai vicina alla croce di ogni figlio come fedelmente lo è stata accanto alla croce di Gesù.
Nella vita di San Giovanni di Dio si narra il bellissimo episodio avvenuto al termine della sua vita. Sfinito dal dolore, preoccupato per i debiti della propria fondazione, pieno di amarezze, Giovanni di Dio, si rivolgeva alla Vergine Santa, lamentandosi di non sentire in quei dolorosi momenti il suo materno aiuto.
La Madonna apparve allora al suo figlio prediletto, come già gli era apparsa quando lo aveva chiamato dalla vita svagata delle armi, e dolcemente rimproveratolo, gli disse: “Non è mia consuetudine abbandonare i miei devoti in questi supremi istanti”.

Come compiere l’atto di accettazione della morte

La Chiesa ci è sempre maestra; non è proprio il caso che noi aspettiamo l’ultimo momento della nostra esistenza in cui forse non avremo nemmeno più la facoltà di comprendere. L’atto di accettazione lo possiamo compiere fin d’ora e la Chiesa lo ha arricchito con l’Indulgenza Plenaria.
Non ci sono formule obbligatorie. E’ sufficiente un atto di accettazione anche fatto al termine di questa lettura. Quest’atto, innestato nell’eternità di Dio, se non viene espressamente ritrattato, vale per quegli ultimi istanti.

L.N.