L’Ancora: n. 1 – gennaio 1964 – pag. n. 1-4

L’Imitazione di Gesù Cristo, il libro che dopo il Vangelo maggiormente abbiamo tra mano, afferma, «qualunque dono, o Signore, che Tu ci faccia e che non sia Te, è nulla ». Ed è vero perché tutto passa, Dio soltanto resta.
E’ Lui che abbiamo imparato a conoscere attraverso le cose create; è di Lui che sentiamo nel nostro cuore un’ardente sete; è a Lui che tendiamo attraverso tutto ciò che vediamo. I cieli e la terra cantano le Sue lodi e annunciano, con tema sempre nuovo e per noi meraviglioso, la infinita grandezza e l’infinita perfezione di Dio.
Ma anche tutto questo passa; l’anima umana soltanto è destinata a vivere eternamente.
Se consideriamo però le sorti dell’anima al di fuori della Redenzione quale tristezza riempie il nostro cuore: il genere umano destinato a vivere di Dio e per Iddio, a causa del primo peccato dei progenitori aveva perduto il mezzo proporzionato per il conseguimento del fine e cioè la vita di Dio, liberamente offerta con tutti g1i altri doni dal Signore.
Le conseguenze di tale perdita se non fosse intervenuta la Divina Misericordia, sarebbero state enormi ed irreparabili. Si sarebbe subito il peso della condanna senza nessuna prospettiva di salvezza.
Venendo meno la Grazia, che era il mezzo con cui l’uomo dal livello naturale era stato elevato a quello soprannaturale, l’umanità rimaneva con la sete di Dio, con le Sue aspirazioni verso il Cielo; senza più potere però raggiungere la meta.
Il dolore ed il lavoro non avrebbero avuto scopo di espiazione e di merito per sé e per gli altri.
Dinanzi a queste verità che ci lasciano attoniti e smarriti l’animo nostro si dilata alla speranza, quando accanto alle parole di condanna, leggiamo nella Sacra Scrittura l’annuncio di un programma di salvezza e sentiamo, attraverso i secoli, i Profeti che ci descrivono la figura e la Missione del Salvatore.
Il Signore, pur non avendo alcun obbligo né interno, né esterno di risollevare l’uomo dallo stato miserevole in cui era caduto, ha voluto tuttavia dimostrarci, nella accettazione dell’offerta del Suo Divin Figlio, un amore maggiore di quello dimostrato nella creazione.
Ma consideriamo la delicatezza di Dio, delicatezza nella sostanza e delicatezza nel modo di presentarci la salvezza.
Il Signore nell’offrirci la possibilità di essere ancora figli Suoi, non ci obbliga ad accettare la Sua offerta, ma si limita a presentarcela, facendoci vedere quanto Gesù Cristo abbia sofferto per poterci riconciliare con Lui.
Se approfondiamo questa consolante realtà quali tesori vi troviamo: all’umanità che si trovava nella assoluta impossibilità di adeguatamente riparare l’oltraggio inflitto al Creatore, si sostituisce il Figlio di Dio, il Quale si fa uomo come noi, per essere uno di noi, in tutto a noi simile fuorché nel peccato, per potersi presentare, in nome di tutto il genere umano, all’eterno Padre e cosi compiere nel proprio sacrificio il grande atto di riparazione; l’uomo col peccato aveva calpestato l’amore di Dio e Gesù, invece, si presenta. parlandoci dell’amore del Padre, che va in cerca del Figliol Prodigo, della pecorella smarrita, della dramma perduta; all’uomo che sfidando Iddio voleva essere simile a Lui, Gesù pone innanzi la mitezza e l’incommensurabile carità del Suo Cuore Divino; alla prima donna che in luogo di madre di vita era stata madre di morte, viene anteposta Maria SS.ma, Madre dei viventi nel senso più bello e più pieno della parola, perché tutto quello che abbiamo nell’ordine della vita spirituale, tutto l’abbiamo per mezzo Suo.
Stupenda delicatezza di Dio anche nel modo di offrire il preziosissimo dono: Maria SS.ma, creatura come noi viene creata senza ombra di peccato, vera Madre di Dio e altresì madre di quelli che nascono alla vita soprannaturale quindi madre nostra; Gesù, pur rimanendo vero figlio di Dio, divenuto anche vero fratello nostro, ha abitato tra di noi, lavorando e soffrendo con noi, e come noi, nelle varie vicende della Sua vita, al punto che i Suoi concittadini, meravigliati di fronte ai Suoi prodigi, esclamano, «Ma non è questo Gesù, il Figlio del fabbro?
Proporzioni meravigliose da parte di Dio che illuminano e non abbagliano, che riscaldano e non bruciano, che ci attirano, lasciandoci il merito della risposta. Considerando la Redenzione, dopo il libero e sovrano decreto del Padre, noi la troviamo tanto conveniente per dimostrarci il Suo amore verso le anime nostre. Ma quali convenienze per noi che eravamo privi della possibilità di riscatto e di merito? Con l’Incarnazione del Figlio di Dio e con il dono della Grazia, l’uomo ritorna ad essere ancora il Re del Creato: l’uomo, nella conoscenza di Dio attraverso le cose che vede e nell’accettazione dei frutti della Redenzione, di tutto si può servire per risalire a Dio e tutto può sopportare nella consapevolezza del merito che accumula per la vita eterna.
Quali guadagni soprannaturali, reali come quelli che vediamo su questa terra, noi possiamo avere, accettando il dono di Dio. La vita di Dio è quindi per noi il dono dei doni, è il pegno necessario ed indispensabile per entrare nel Regno dell’eterna vita. Quanto sono da compiangere quegli uomini che credono di poter fare a meno di Dio: uomini che non hanno sufficiente intelligenza per considerare i valori che unicamente interessano, che si fermano a considerare le sole realtà della terra, talmente miopi da non essere capaci ad entrare nel segreto della propria coscienza e scoprire la meravigliosa realtà dell’esistenza dell’anima con le sue soprannaturali possibilità. Ma la condizione di un ammalato che non comprende la possibilità di rendere soprannaturale la propria vita è disastrosa non soltanto per i sofferenti ma anche per la intera società, perché viene a mancare la riparazione richiesta e comandata da Dio, necessaria per ristabilire il giusto equilibrio tra gli uomini. E’ vero che fin tanto che si rimane su questa terra non appare la grandezza eccelsa della nostra dignità di figli di Dio. La nostra vita trascorre confusa vicino a chi magari non solo non stima ma disprezza tale tesoro. Soltanto alla morte appariremo come in realtà siamo e sarà allora evidente quanto fosse necessaria e preziosa la vita di Dio per poter entrare in Paradiso. La vita di Dio è il dono dei doni, fattoci con tanto amore dal Signore per ristabilire l’uomo nella sua primitiva dignità; è il mezzo con cui possiamo acquistare la nostra vera indipendenza dalla schiavitù del peccato; è la veste nuziale che ci dà diritto di entrare in cielo

L.N.