L’Ancora: n. 4 – aprile 1968 – pag. n. 1-6
Guardando attentamente la nostra vita di aderenti o ai “Volontari della sofferenza” o ai “Fratelli degli ammalati” oserei affermare che, talvolta, viviamo questa idea di penitenza un po’ superficialmente, perché tanti sono i compromessi in cui si cade nella vita quotidiana. Compromessi che vanno dal momento in cui si aprono gli occhi, al mattino, al modo di trattare con gli altri, di rispondere fedelmente al propri impegni relativi al proprio stato ed all’apostolato che si vuole attuare. Quante volte dinanzi a richiami ed inviti a vivere con perfezione il nostro impegno cristiano, offrendo tutti i sacrifici quali atti penitenziali con l’offerta insegnata e richiamata dalla Madonna a Fatima, si sono visti sguardi quasi meravigliati che potevano anche significare non condivisione di vedute, per non dire addirittura compatimento.
Se vogliamo acquisire un vero spirito penitenziale dobbiamo ricercare la penitenza in tutto quello che ci circonda, che ci punge, che ci mortifica e che tiene in servitù il nostro corpo. La penitenza è in proporzione del sacrificio, del costo dell’opera di purificazione che viene svolta in noi, da noi stessi, sul fondo cattivo dell’animo nostro e delle nostre cattive tendenze. Se vogliamo acquisire il vero spirito penitenziale che si protrae per tutta la vita dobbiamo bandire certi particolari difetti che si insinuano talvolta e che si notano profondamente.
Questi difetti sono:
1) una falsa concezione della vita cristiana;
2) un non immediato e continuo ricorso alla vita sacramentaria;
3) timori nell’assumere le responsabilità d’apostolato solo perché costa fatica, mettendo sempre davanti tanti pretesti;
idee personali, contrarie alle precise linee direttive, mettendo sempre avanti la propria volontà con innumerevoli osservazioni dispersive e tendenti non agli interessi del programma della Vergine Santa ma alle proprie vedute.
CHE COSA COMPORTA LA VERA IDEA DI PENITENZA
1) Pentimento
S. Bernardo ci ammonisce, “ricordati chi hai disprezzato, che cosa ti sei meritato, che cosa hai perduto”.
Se siamo veramente intelligenti guardiamo con occhio tranquillo il bagaglio personale dei nostri errori; ricordiamo, se possiamo, le innumerevoli volte che – Dio non voglia – abbiamo magari meritato l’inferno; saremo così meno pigri nella penitenza, più lieti nella nostra vocazione, maggiormente pieni di carità, meno esigenti ed intransigenti. Il pentimento deve sgorgare come un’esigenza interiore, avendo noi continuamente dinanzi i peccati nostri: “peccatum meum contra me est semper”.
Il pentimento è prima di tutto “dolor voluntatis” (S. Tommaso) un dolore della volontà per l’offesa fatta a Dio.
“Per fare penitenza – Paolo VI idem – bisogna entrare in questa forma di vita spirituale, di un dolore nella volontà e quindi libero e accettato, quasi imposto da chi compie l’atto di penitenza. Ciò suppone un male da deplorare, da rimuovere espiando e riparando. Come si chiama questo atto riflesso della nostra psicologia che avverte tale necessità dolorosa? Si chiama il senso del peccato. E’ l’avvertire la propria coscienza non tranquilla; l’ansia di rimediare a qualche cosa che dà un profondo disagio all’anima”.
Temiamo che il male moderno sul senso e la coscienza del peccato entri anche nelle nostre file:
“Ora – Paolo VI idem – questo senso del peccato è venuto quasi meno, in non poche coscienze cristiane. La sensibilità, in esso, si è attenuata e quasi rassegnata a subire come un’abitudine quanto una volta era intollerabile: il sapersi in peccato: una tristezza che occorreva sollecitamente rimuovere. Adesso è diverso. Papa Pio XII, di v.m., ebbe a scrivere nel Messaggio al Congresso Catechistico degli Stati Uniti d’America, il 26 ottobre 1946, una frase che divenne celebre: ‘Il peggiore peccato dell’età moderna è quello di avere perduto la coscienza del peccato”. Si ignorano, dunque, l’importanza e la gravità di cosi deleterio male; esso non fa impressione: quando addirittura non si sente dire intorno a noi, che la morale può essere senza peccato”.
2) Riparazione
L’amore cancella, il debito contratto resta. L’amore ardente, perfetto, condona ogni debito, la penitenza, come insegnano i Santi Padri, “è un certo laborioso battesimo”, che ridona il candore dell’anima.
A Fatima la Vergine Santa domanda la riparazione per gli innumerevoli peccati personali e sociali che attirano tanti castighi sull’umanità.
Dinanzi alla richiesta ed alla metodologia della Madonna ascoltiamo le linee classiche dell’ascetica e l’insegnamento della Chiesa. Non basta il dispiacere interiore dei peccati commessi, occorre altresì una riparazione esterna, concreta, costante, precisa, crocifiggente i punti deboli. Ma la natura si ribella e si stanca: ricordiamoci però che la natura corrotta non è mai stata consigliera di santità. La prudenza della carne è stata esplicitamente condannata da Nostro Signore Gesù Cristo.
La Poenitemini, n. 8, dice:
“Il carattere preminentemente interiore e religioso della penitenza, e i nuovi e mirabili aspetti che in Cristo et in Ecclesia, essa assume, non escludono nè attenuano, in alcun modo, la pratica esterna di tale virtù, anzi ne richiamano con particolare urgenza e spingono la Chiesa – attenta sempre ai segni dei tempi – a cercare, oltre l’astinenza ed il digiuno, espressioni nuove più atte a realizzare, secondo l’indole delle diverse epoche, stesso della penitenza”.
COME VA FATTA QUESTA RIPARAZIONE?
Raddrizzando le vie storte, specchiando l’animo nostro nel Nostro divin modello, Gesù Cristo e vedendo tutte le deformità fare esattamente l’opposto di quanto ci sentiamo inclini a fare, costi quel che costi. E’ il corpo che ha prevaricato. Sia il corpo soggiogato in tutti i modi. Abbiamo commesso cose illecite? Proibiamoci anche le lecite. Soltanto in questa maniera possiamo divenire realmente padroni di noi stessi.
La Madonna a Lourdes ed a Fatima ci presenta anche metodi nuovi che umiliano la superbia più che infiacchire i corpi deboli e malaticci. Ricerchiamo quelle penitenze che pungono il nostro io e ci radicano nella umiltà e nell’ubbidienza. Nella diuturnità di questi esercizi mortificanti la natura umana, si acquista la vera libertà dei figli di Dio.
E’ quindi di estrema importanza per progredire nelle vie di Dio svolgere una continua azione di purificazione del nostro interno con atti espliciti e positivi come continua è la nostra inclinazione al male, non limitando la nostra azione alla fuga delle occasioni.
3) Propiziazione
Il vero concetto della penitenza porta anche quello della propiziazione: dolenti di avere offeso Dio, riduciamo in servitù il nostro corpo per propiziarci il suo amore, da noi ingiustamente disprezzato.
Il sentimento dell’espiazione non limita i suoi effetti benefici alla persona che compie atti penitenziali, ma li estende quanto si estende l’amore di Nostro Signore Gesù Cristo.
La riparazione del Cristo ha ristabilito il legame tra Dio e l’uomo.
La sua richiesta di perdono dall’alto della Croce ha propiziato per i Suoi crocifissori: il centurione e gli altri che con lui stavano a guardia di Gesù, vedendo quanto era accaduto glorificavano Dio dicendo, “veramente questo uomo era figlio di Dio”. “E tutti i gruppi che avevano assistito a questo spettacolo, considerando le cose avvenute se ne tornarono percotendosi il petto”. (Lc. ‘XXIII, 48).
Uguale attività propiziatrice per l’umanità dobbiamo svolgere noi cristiani, chiamati a continuare e completare la passione di Nostro Signore Gesù Cristo, consci che “la comunità ecclesiale esercita una vera azione materna nei confronti delle anime da avvicinare a Cristo” (D.M.VS. 6).
Proprio a questo punto vediamo i grandi insegnamenti della Madonna a Lourdes ed a Fatima. La Chiesa ha bisogno di testimonianze di riparazione e di propiziazione per tutta umanità. Questo il nostro apporto di salvezza che possiamo e dobbiamo dare. “Molte, molte sono le anime che vanno all’inferno perché non vi è chi preghi e chi si sacrifichi per loro”.
L. N.
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