L’Ancora: n. 7 – luglio/agosto 1951 – pag. n. 1-3
Non imprecare, fratello, se il dolore ha colpito i tuoi figli, se li vedi sfiorire anziché
rigogliosamente prosperare. Tutti portiamo il peso di colpe, o nostre o dei nostri padri. « I nostri padri hanno peccato e noi portiamo il peso delle loro iniquità ».
I bimbi, del resto, soffrono meglio dei grandi, intuiscono la missione sociale del dolore e ci danno sovente delle risposte, che sorpassano di gran lunga la saggezza dei sapienti.
« Ci sono nel mondo tanti peccati, qualcuno quindi deve pagare… », diceva Antonietta Meo, morta in tenerissima età, nel periodo in cui le fu amputata una gamba.
« Non piangete sopra di noi », sembrano volerci dire i bimbi. Ed i bimbi, infatti, sono sereni e, sovente, anche contenti nelle loro lunghe ore di Calvario, rasserenati certamente da una luce sovrumana, perché Dio non abbandona mai i figli suoi.
Giulio Fiorentini, piccolo bimbo morto all’età di sette anni circa, affetto dal morbo di Lyttel fin dalla nascita, non usò mai del dono della parola; però con lo sguardo continuamente cercava il quadro della Madonna e, fissandolo a lungo, rideva contento. Questi innocenti formano una classe di sofferenti del tutto particolare, che non ha bisogno di compatimento.
Non è detto che il solo peccatore debba pagare per le sue colpe ; formiamo tutti, infatti, un solo organismo, di cui Cristo è il Capo. Se un membro di questo corpo mistico è particolarmente arido, è legge « di natura soprannaturale» che un organo particolarmente sano e ricco di vita faccia affluire la sua linfa verso l’organo atrofizzato, affinché questo riacquisti la propria funzione.
Il dolore non risparmia gli innocenti, i buoni ; anzi, sono questi, spesso, i più crocefissi, perché è quanto mai logico che siano essi gli aristocratici della cristiana società.
Sia a noi di esempio il grande patriarca S. Giuseppe, « uomo – giusto », come dice il Santo Vangelo. Consideriamo questo Santo come modello di tutte le anime che non commisero mai deliberatamente peccato e vediamo quanto abbia tuttavia sofferto. Già si è accennato quanto egli ebbe a patire fin dal momento, in cui decise di sposare Maria Santissima. Entriamo in profondità in questa sua angoscia e scrutiamone, se possibile, tutta l’afflizione quando venne a sapere che la sua diletta sposa doveva divenir madre, pur essendo egli certissimo della di lei immacolata verginità.
Giuseppe amava Maria Santissima come il più fedele degli sposi ed il più grande degli ammiratori. Maria, del resto, era l’Immacolata, ricca perciò di doti naturali e soprannaturali, capaci di strappare l’ammirazione agli Angeli oltre che alle creature.
Giuseppe, dopo Dio, amava Maria Santissima al disopra di tutte le creature egli non poteva quindi supporre né ammettere in lei alcun neo. Come quindi spiegare la sua maternità ?
Nessuno gli aveva detto nulla. Aveva taciuto il cielo ; taceva anche Maria Santissima, non volendo essa anticipare l’ora di Dio. La Madonna vedeva crescere, nel cuore del suo diletto sposo, l’ambascia come una marea che sale ; tuttavia, non una parola chiarificatrice uscì dal suo labbro, mentre sarebbe bastato così poco per dire a lui le meraviglie del Signore. Non aveva forse ella cantato le meraviglie di Dio dinanzi la cugina Elisabetta? Come mai allora taceva dinanzi a Giuseppe?
Non era giunta ancora l’ora di Dio.
Al Signore, così potente da renderla madre con l’atto della sua volontà creatrice, non sarebbero mancati i mezzi per chiarire a Gesù ogni cosa. A lei non restava che abbandonarsi ciecamente e fiduciosamente a Dio.
E Giuseppe, ignaro dei disegni di Dio, prende la sua decisione. Sia pur col cuore straziato, decide di abbandonare Maria. Non gli reggeva l’animo di darle il libello del ripudio ed esporla così alla giustizia della legge antica. Gli era sembrato più prudente e più giusto abbandonarla, allontanandosi.
Ore di angoscia per Giuseppe, ma non meno per Maria, che leggeva nel cuore di lui ogni affanno ed ogni proposito.
Al fedele sposo, a cui non restava che attuare il progetto ormai stabilito, una nuova angoscia ora si aggiungeva, quella del distacco.
Il Signore però vegliava. Tutto sembrava finito tra lui e Maria, quando l’Angelo di Dio interviene, come già un giorno era intervenuto quando Abramo stava per immolare il figlio Isacco.
« Giuseppe, figlio di Davide – gli dice – non temere di prendere Maria in tua sposa, perché quel che è nato in lei, è opera dello Spirito Santo. Ella darà alla luce un figlio, che chiamerai Gesù, («Salvatore»), poiché salverà il suo popolo dai suoi peccati».
E qui è bene soffermarci un poco per gustare, più con la meditazione che con le parole, la delicata dolcezza di questa ambasciata.
L’Angelo chiama Giuseppe per nome per ispirargli fiducia, per rassicurarlo. Anche Maria viene dolcemente chiamata per nome. Il nome di Maria posto vicino a quello di Giuseppe voleva ben dire la volontà di Dio: porli tutti e due sulla medesima strada per il piano di redenzione.
A Giuseppe il Signore ricorda la sua discendenza : « Figlio di Davide», come per fare eco al canto della Vergine nella casa di Elisabetta: «Il Signore si è preso cura d’Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come promise ai padri nostri, ad Abramo e ai suoi discendenti per tutti i secoli ».
Accennando al piano misericordioso di Dio, l’Angelo, per divino incarico, per primo lo rassicura, su quanto formava oggetto delle sue trepidazioni : « Non temere di prendere Maria in tua sposa ». Come è bello quell’aggettivo « tua » messo in bocca all’Angelo. Quanto è grande la misericordia di Dio ! E di che cosa temeva e soffriva Giuseppe se non proprio di non poter prendere in sposa Maria, la creatura amata al disopra di tutte le altre? E il Signore l’assicura di questo possesso, dicendogli « la sposa tua », che ti è appartenuta, che ti appartiene e che mai venne meno alla tua fiducia. E’ vero ; Maria darà alla luce un figlio, ma non è opera umana. Il voto perpetuo di non conoscere uomo, sia pur unendosi in matrimonio a Giuseppe era stato rispettato e lo sarebbe stato anche per l’avvenire.
L’Angelo poi, continua, spiegando a Giuseppe che avrebbe avuto potestà su quel Figlio di Dio e di Maria ; sarebbe stato compito suo dargli il nome, come era stato compito di Zaccaria stabilire il nome per Giovanni. Inoltre, colui, che sarebbe nato da Maria, avrebbe salvato il popolo dai suoi peccati. La visione non era ancora finita che il gaudio si volgeva in trepida e dolorosa attesa: il Figlio sarebbe stato un Redentore, quindi un sacrificato. Ecco il piano completo della redenzione.
E l’eccidio degli innocenti ordinato da Erode? Quale eco ebbero nel cuore di Maria e di Giuseppe il pianto di tanti bimbi, bimbi strappati dal seno delle loro madri ed uccisi per causa di ingiustificato e perfido timore di un Governatore ! « Una voce si è udita in Rama, un pianto e un lamento grande ; Rachele che piange i figli suoi e non vuole essere consolata, perché non ci sono più ». Pianti di madri, che si ripercuotevano nei cuori di Maria e di Giuseppe, trovandovi piena comprensione !
Fratello, a cui sembra tanto dura la croce che porti, nel veder soffrire degli innocenti considera il dolore nel « giusto Giuseppe» e nei fanciulli, che sanno sorridere ed accettare con tanto amore la volontà di Dio. Nel loro limpido sguardo noi scorgiamo la luce del cielo e il riflesso del Paradiso. Non piangiamo sopra di loro, ma, piuttosto, invidiamoli, perché non a tutti è dato di cooperare, innocenti con Gesù Innocente, e redimere l’umanità.
L. N.
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