L’Ancora: n. 5/6 – maggio/giugno 1951 – pag. n. 1-3
La sofferenza, fratello, ti chiama, entra nella tua casa, ti ferma nel tuo lavoro e tu ti senti accasciato.
Ti pare che la vita non debba più scorrere per te. Persino la natura ti sembra diventata matrigna.
Sovente nel tuo cuore esacerbatosi ripetono queste riflessioni: « Sì, accettare la sofferenza è bello ed è anche necessario che qualcuno soffra; ma, proprio io devo essere scelto a soffrire? Non potrebbe il Signore scegliere un altro al mio posto? Ho figli, a cui pensare; ho i genitori, che aspettano da me il sostentamento; ho la vita,. che mi si schiude dinnanzi col suo avvenire; ho l’apostolato, in cui tanto mi sento necessario !»
Credo che il Signore, dinnanzi a queste riflessioni, debba guardare con occhio di dolce rimprovero e debba dire:
« Parlare così, è umano, ma tu, uomo redento da me, hai un fine soprannaturale, che Io ti ho ridato ».
Anche la Madonna compatisce il figlio che non sa piegarsi alla volontà divina, mentre sembra quasi maternamente volerlo accarezzare per sollevarlo.
In realtà, la sofferenza ferma la creatura nel corso ordinario della sua vita forse quando meno essa se lo aspetta. Però, quanto è confortevole e come deve sostenere il pensiero che nulla accade senza la permissione di Dio. Infatti, come preoccuparci di noi, della nostra vita, della vita dei nostri cari, quando sappiamo che nemmeno un capello cade dal nostro capo senza la permissione divina? Se la vita degli uccelli, che in fondo è così poca cosa, è controllata da un piano armonico di provvidenza divina e così pure la vita vegetativa delle piante, vorremo noi che la nostra vita sia invece abbandonata, così, al caso? É assurdo; il caso non esiste. La bella e consolante verità è che : « Se anche il padre e la madre si dimenticassero di te, io mai mi scorderò di te »’. E colui che non si scorderà mai di te, è DIO.
La sofferenza ha preso te nel corso della tua vita, perché tu nel piano di Dio sei il cireneo che incontri Gesù lungo la via del suo calvario e devi portare con lui la tua croce. Gesù però è fedele e non permette che la tua croce sia al disopra delle tue forze. Egli lascia che tu porti la croce con lui, ti invita a restare presso di sé, però, nello stesso tempo, ti aiuta con la sua grazia. Egli, il Maestro, misura il Suo passo col tuo, e ti resta sempre vicino. Quindi, non sei solo. Anzi, osserva: i giudei che accompagnavano Gesù lungo la via del calvario, costrinsero il cireneo, che passava là per caso, a portare la croce del Signore; sono stati gli altri, che hanno inflitto quella sofferenza, sia pure per breve tempo al cireneo, non il Divin Maestro. Se gli altri non fossero intervenuti, Gesù non avrebbe mai costretto nessuno a portare con lui il peso della redenzione. Però come è simpatico vedere gli ammalati rappresentati dal cireneo che portano con Gesú la croce della sofferenza attraverso i secoli. E così anche tu, oggi, come venti secoli fa, quale novello cireneo porti la croce del dolore; però anche oggi, ancora come venti secoli fa, porti la croce vicino a Gesù, sostenuto dal suo amore, sotto il suo sguardo amorevolmente riconoscente.
Ma, quale differenza tra noi e Gesù!
Noi portiamo il peso delle nostre iniquità Gesù e Maria invece no. Essi soli sono innocenti. Dinnanzi a loro l’onda del male si è arrestata; in essi nulla vi è da espiare. Gesù é il giusto, Maria è la creatura immacolata, piena quindi di grazia in vista della sua maternità divina. Essi soli, Gesù e Maria, formano una classe di sofferenti a parte: i sofferenti che espiano unicamente per gli altri.
Il buon ladrone, dalla croce, fa, un esattissimo riconoscimento, quando dice: « noi davvero giustamente soffriamo; paghiamo la pena dei nostri misfatti; ma lui non ha fatto nulla di male ».
Eppure Gesù si è fatto l’« uomo dei dolori » perché l’ha voluto.
Di lui l’Autore sacro ha scritto il salmo che incomincia: « Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato? »
Ed Isaia annunciando il Messia dice che sarà: «abbietto, l’ultimo degli uomini, l’uomo dei dolori, che conosce la sofferenza e quasi cerca di nascondere la faccia ».
Tutto in Gesú soffrì; le sue prerogative divine ed umane furono vilipese. La sua passione durò pochi giorni, la dolorosa visione della passione durò invece quanto la sua vita terrena. In intensità la passione del Redentore é incommensurabile. Per comprenderla in tutta la sua profondità bisognerebbe comprendere chi è Dio e chi siamo noi, bisognerebbe sapere e potere valutare che cosa significhi per il creatore prendere la natura della creatura e permettere che quest’ultima sfoghi contro di lui il suo livore.
Maria Santissima appartiene anch’essa alla classe di Gesù, la classe di coloro che soffrono, unicamente per i peccati degli altri.
La Vergine Santa già aveva sperimentato fin dall’annunciazione dell’Angelo la spada che le sarebbe stata preannunciata da Simeone.
Chi saprà mai descrivere l’Amarezza del cuore di Maria, quando essa osservava che l’angoscia stava aumentando in Giuseppe fino al punto di volerla abbandonare? E quando a Betlemme vedeva che i conoscenti, anche quelli che si dicevano i più amici,
bellamente si scusavano per non ospitare lei e il suo sposo Giuseppe ? E la fuga in Egitto ? E l’eccidio di Erode ?
Fratello, dinnanzi a Gesù e a Maria che soffrono per amore nostro, il nostro lamento si fa piccolo, piccolo. Mi sembra che con giusta proprietà possiamo ripetere, sia pure in senso lato, le parole del buon ladrone : Noi davvero soffriamo giustamente, perché paghiamo le pene dei nostri misfatti; ma lui e Maria Santissima non hanno fatto nulla di male.
L. N.
(continua)
Scrivi un commento