12Seminate per voi secondo giustizia
e mieterete secondo bontà;
dissodatevi un campo nuovo,
perché è tempo di cercare il Signore,
finché egli venga
e diffonda su di voi la giustizia.
13Avete arato empietà e mietuto ingiustizia,
avete mangiato il frutto della menzogna.
Poiché hai riposto fiducia nella tua forza
e nella moltitudine dei tuoi guerrieri,
14un rumore di guerra si alzerà contro il tuo popolo
e tutte le tue fortezze saranno distrutte.
Come Salmàn devastò Bet-Arbèl
nel giorno della battaglia
in cui la madre fu sfracellata sui figli,
15così sarà fatto a te, casa d’Israele,
per la tua enorme malvagità.
All’alba sarà la fine del re d’Israele.

In una economia di sussistenza, quando la prima e più grande preoccupazione consiste nel poter riempire lo stomaco ogni giorno, non sorprende di trovare in continuazione riferimenti al cibo e al suo approvvigionamento. Tristemente e tragicamente succede ancora oggi in qualche parte del mondo che la popolazione sia impegnata per la maggior parte del tempo a procurarsi da mangiare. Solo una volta soddisfatto tale bisogno primario, sarà possibile rivolgersi ad altri interessi come le relazioni con gli altri, la cultura, il viaggiare, il divertimento…

Anche il nostro brano inizia giocando sul corretto rapporto seminare-mietere, quasi a confermare che il faticoso lavoro trova la sua ricompensa quando arriva il tempo del raccolto. Il lettore percepisce subito una prospettiva diversa da quella puramente agricola, perché i due verbi del lavoro agricolo sono accompagnati da modalità che non appartengono necessariamente all’agricoltore: il seminare è contrassegnato dalla giustizia e il mietere dalla bontà. Anche Israele, al pari degli altri popoli, riconosceva che il “miracolo” della natura con i suoi cicli stagionale che assicuravano il sostentamento era opera divina. Cambiava sostanzialmente il referente o l’agente, perché Israele attribuiva tutto questo all’opera creatrice e provvidenziale di Dio, mentre i popoli vicini attribuivano tutto a Baal e Astarte. Divinità maschile la prima, femminile la seconda, dalla loro unione sessuale veniva il ciclo stagionale. Era una religione semplice, naturista, facilmente praticabile e subito fruibile, di immediata comprensione ad una intelligenza anche elementare. Proprio in questo contesto prende maggior luce la vicenda matrimoniale di Osea, quando si dice che andò a prendere come moglie Gomer, una prostituta. Il termine evoca istintivamente una situazione non corretta, una licenza che la morale comune non accetta. Presso i popoli attorno a Israele era subentrato, per convinzione o per comodità, il concetto di prostituzione sacra. Presso i templi pagani esisteva un’intensa attività di donne che si mettevano a disposizione dei “pellegrini” che andavano a onorare la divinità e un modo di tale culto era proprio quello di unirsi sessualmente a loro. Tale unione era pensata come una sollecitazione per Baal e Astarte a fare lo stesso e dalla loro unione veniva il ciclo stagionale che assicurava cibo e benessere. Una concezione religiosa ingenua e primitiva, molto legata alla natura e di facile e comoda osservanza. Non c’erano problemi morali e l’esercizio di tale prostituzione si arricchiva del termine altisonante di “prostituzione sacra” proprio per il suo riferimento alla divinità. I profeti saranno feroci contro tale pratica, ma non primariamente come potremmo pensare noi perché veniva disatteso il sesto o il nono comandamento, bensì perché veniva tradito il primo comandamento, quello di riconoscere l’unicità di Dio. Unirsi a quelle donne era come riconoscere l’esistenza e il valore di Baal e Astarte. Gli ebrei sentiranno sempre il fascino di tali luoghi che, collocati sulle colline, erano chiamati “alture” e la loro frequentazione era un tradimento dell’alleanza che avevano stipulato con il Dio che li aveva liberati dall’Egitto e che li accompagnava nella loro storia.

Osea è richiesto da Dio di andare a prendersi una donna che svolgeva tale servizio nei templi: era una prostituta sacra. La sua vicenda matrimoniale deve essere una viva rappresentazione di quello stridore teologico e spirituale sortito dal rapporto guastato tra Dio e il suo popolo. Il linguaggio crudo e nudo può creare in noi un certo disagio e forse anche un istintivo rifiuto, ha però il vantaggio di esprimere il messaggio in modo chiaro e subito comprensibile. Come agisce Dio con il suo popolo che chiama all’intimità un popolo che spesso e volentieri lo abbandona per seguire divinità facili e compiacenti e poi lo cerca per portarlo ancora nell’orbita del suo amore, così fa Osea con Gomer.

Per ritornare al punto iniziale del seminare e mietere, ci sarà abbondanza e prosperità solo se il popolo resterà fedele e accanto al suo Dio, senza compiacenti distrazioni e allettanti miraggi che alla fine lasciano solo il vuoto dell’illusione. Le dure parole del messaggio profetico con chiari riferimenti alla distruzione  sono in realtà un monito perché non si imbocchi la strada sbagliata. Detto in termini positivi, solo la fedeltà al Signore e la comunione con Lui garantiscono abbondanza di cibo e gioia di vivere.