Ogni domenica un versetto poetico. Per andare oltre il visibile. Perché le parole trasformano il mondo.
A cura di Maria Teresa Neato
Clemente Luigi Antonio Rèbora (6 gennaio 1885, Milano – 1 novembre 1957, Stresa) è stato un presbitero, poeta e insegnante di lettere italiano. Collaborò a diverse riviste, tra cui La Voce. Le sue prime poesie rivelavano un profondo interesse per problematiche morali, portandolo a una crisi spirituale.
I TEMPI DI DIO
Fra quattro mura
stupefatte di spazio
più che un deserto
non aspetto nessuno:
ma deve venire;
verrà, se resisto,
a sbocciare non visto,
verrà d’improvviso,
quando meno l’avverto:
verrà quasi perdono
di quanto fa morire,
verrà a farmi certo
del suo e mio tesoro,
verrà come ristoro
delle mie e sue pene,
verrà, forse già viene
il suo bisbiglio
Commento
Questi versi, impastati di nascosta, dimessa ma tenace speranza, evidenziano in primis una solitaria attesa, entro mura che racchiudono Infiniti, silenti spazi di deserto.
Non è mai nominato… ma l’Atteso è il Signore. Capace di vivificare col proprio perdono ed i propri doni anche la Vita più “nascosta” e magari dolente… Raggiungendola col bisbiglio della Grazia, nell’abbraccio del Cuore
Mi piace molto “oltre il visibile” e desiderei condividere l’impressione che mi ha fatto questa poesia “I tempi di Dio” di Rebora.
Come preambolo personale, da quando ho cominciato a considerare i tempi di Dio li ho trovati sorprendenti, perché non li ho seguiti passo a passo come fa il poeta.
Egli, con squisita delicatezza, che sorvola l’alternanza di crude sofferenze e rialzi fiduciosi, mi rende partecipe della sua fede x la quale la speranza diventa conseguente certezza.
Da un tumulto interiore Rebora mi accompagna in un crescendo di spazi di vita e di consapevolezza che si fanno sempre + tangibili e reali.
Rimbomba la parola “perdono” usata in modo innovativo x me.
La rinascita avviene come dono x la troppa sofferenza.
Il poeta sta tutto orecchi all’arrivo del Signore fin quasi a sentirlo bisbigliare, mentre condivide con Lui tesori e pene che però non bastano.
Mi chiedo: ci vuole proprio la parola x dare corpo alla presenza?