L’Ancora: n. 7 – luglio 1983 – pag. 1-5

Quante spiegazioni a questo proposito, spiegazioni accettabili o meno; quante offerte eroiche di anime generose che, quale coro sublime di Amore, si uniscono all’offerta dei Calvario per la costruzione dei Regno di Dio; e quante bestemmie di fronte alla morsa implacabile della sofferenza, arrivando fino alla disperazione e alla negazione dell’esistenza di Dio: se Dio ci fosse non mi lascerebbe in questo dolore.
É invece proprio perché Dio c’è, e proprio perché Dio è Amore che infinitamente ama l’uomo creato a sua immagine e somiglianza che lo lascia nell’uso rispettoso della sua libertà tanto per il bene quanto per il male, riservandosi evidentemente il giudizio finale sull’uso che è stato fatto del dono della libertà.
Dio sa benissimo che Egli è l’unico fine assoluto dell’uomo; ma pure essendo Egli infinitamente consapevole delle conseguenze di questa grande realtà è proprio perché è Amore che vuole essere conosciuto e riamato, non imponendo all’uomo l’eterna e beatificante felicità che corona l’esistenza e che è il fine di ogni creatura. Dio vuole che ogni uomo – proprio perché creato a Sua immagine e somiglianza – scopra e segua la sete insaziabile di Dio che egli sente in se stesso e lo ricerchi al di sopra di qualsiasi terrena realtà.
Se vogliamo realmente scoprire la ragione per cui il dolore è entrato nell’umanità è sull’uso della libertà dei nostri progenitori che dobbiamo rivolgere la nostra attenzione, se intendiamo scoprire le vere responsabilità di chi ha introdotto nel mondo la sofferenza.
Al momento attuale noi assolutamente nulla possiamo fare per allontanare il dolore da noi. Avremmo potuto impedirgli l’ingresso nella nostra vita nel momento della prova che con la consapevolezza di tutte le conseguenti responsabilità fu da Dio posta di fronte ai nostri progenitori.
Il motivo è sempre lo stesso: Dio Amore infinito vuole essere riamato liberamente da ogni uomo. L’Amore è una scelta e non un comando. Avendo i progenitori respinto l’amore, hanno introdotto nella carne di ogni uomo una spina dolorosa ed infetta che lentamente, ma inesorabilmente porta ogni uomo alla morte.
Il dolore quindi non è stato da Dio creato, esso è e resta una vera disperata inutilità.
Una cosa però noi possiamo fare seguendo il piano di amore manifestato da Dio all’umanità, ed è quello di trasformare il dolore in mezzo di riscatto per sé e per gli altri; questa possibilità è per ogni creatura punto essenziale della propria esistenza se non intende vivere in “ disperata “ inutilità il giorno di dolore che inevitabilmente incontra, concludendo poi l’esistenza in “ disperata “ amarezza.

Perché ciascuno di noi scopra questa chiamata a Dio attraverso il dolore, che diventa per tutti vocazione somma, è necessario concretamente ricercare e freddamente seguire il cammino della storia. Allora soltanto ci incontreremo con Gesù Cristo, il quale con la Croce è entrato nella storia dell’uomo per salvare tutti gli uomini, infrangendo con la propria morte e risurrezione, la morte, conseguenza dei peccato, entrato nella storia dell’umanità: “ O morte io sono la tua morte, dove è la tua vittoria? “ (I Cor. 15,55).
Dice infatti Gesù Cristo nell’ultima cena: “ Voi siete nella tristezza, ma io vi rivedrò ed il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà rapirvi questa gioia “ (Gv 16,22); la nostra tristezza era la morte del Cristo ed è la morte nostra con tutte le sue conseguenze; gioia nostra, invece è la risurrezione del Cristo e la nostra futura personale risurrezione dono della morte e risurrezione di Gesù Cristo: “ Io vi rivedrò “ perché dopo la mia crocifissione e morte risorgerò come più volte vi avevo detto durante la mia vita ed il vostro cuore si rallegrerà, nessuno vi potrà rapire questa gioia perché nella mia personale risurrezione c’è il pegno della risurrezione di tutti gli uomini. Tutti, per i meriti di Cristo, risorgeranno anche se diversa può essere per ciascuno la risurrezione: risurrezione di vita e risurrezione di morte.
Risurrezione di vita che dice vittoria sul peccato e superamento dei dolore vissuto con Cristo; risurrezione di morte che dice continuazione disperata ed eterna di sofferenza per avere ricercato nella vita la falsa felicità nella dimenticanza dei precetti del Padre.
L’uomo con il dolore è posto dinanzi a Dio e a se stesso ed è da Dio invitato a scoprire il fine per cui è stato creato e lo scopo della sofferenza che ineluttabilmente si è introdotta nella vita di ciascuno di noi.
L’uomo così scopre la propria vocazione al dolore, vocazione a unirsi con la propria sofferenza alla vocazione di Cristo, Sommo ed Eterno Sacerdote che con tutta l’umanità si presenta al Padre in sacrificio di adorazione, ringraziamento, espiazione e propiziazione.
Nell’uomo dunque resta una sola possibilità, quella presentatagli dall’infinito amore misericordioso di Nostro Signore Gesù Cristo, “ volontariamente inserirsi nel piano redentivo della Croce e fare del proprio sacrificio, un solo sacrificio con Cristo per la salvezza dell’umanità “.
Grande amore di Dio per l’uomo che si manifesta nella sua immensità ed immutabilità tanto nel piano della creazione quanto in quello della redenzione.
Può sembrare duro questo linguaggio “ portare la croce, come precisa vocazione “, ma questo invito è liberante e provocante la gioia più profonda, da S. Paolo ad oggi: “ Sovrabbondo di gaudio nelle mie sofferenze “. Così l’Apostolo e così pure la Serva di Dio Suor Faustina, “ mercé la grazia di Dio, ho ricevuto nel cuore la disposizione di non essere mai così felice come quando soffro per Gesù che amo con ogni palpito del mio cuore “.

Nell’ardente desiderio di salvare anime attraverso la Croce ancora Suor Faustina, scrive il 20 gennaio 1938 nel suo diario: “ Cerco di acquistare la pienezza della carità, perché così sarò più utile alla Chiesa. Compio sforzi continui nel praticare la virtù… e questa serie di virtù quotidiane, silenziose, nascoste, quasi impercettibili, ma praticate con grande amore, le depongo nel tesoro della Chiesa, a profitto di tutte le anime. Sento interiormente di essere quasi responsabile di tutte le anime; sento di non vivere soltanto per me stessa, ma per tutta la Chiesa “.
Questi sono i vertici della vocazione. Ma se questi e quelli ci arrivano, perché noi no?
Ecco il motivo per cui il Santo Padre fa riflettere che essendo la vocazione un talento, va quindi maturata sotto l’azione dello Spirito Santo (21 maggio 1980):
“ Seguendo l’insegnamento dell’Apostolo delle genti, noi sappiamo che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi, e anche noi, quando siamo coinvolti da miserie e da dolori di ogni genere, gemiamo e piangiamo; ma il Signore ci conforta e ci esorta a sperare sempre. Sappiate, carissimi, che nel Battesimo e nella Cresima, è stato effuso lo Spirito Santo nei vostri cuori. Pertanto, continui Egli ad illuminare le vostre menti, perché comprendiate la vostra vocazione ed il valore della vostra sofferenza santificata;
continui Egli a darvi coraggio e fortezza, perché possiate superare con dignità e merito ogni prova dolorosa; continui Egli, infine, ad essere sempre per voi “Consolatore perfetto. Dolce ospite dell’anima, dolcissimo sollievo” (dalla Liturgia).
A tale proposito afferma ancora il Santo Padre:
“ … la vita dell’uomo storico, inquinata dal peccato, si svolge di fatto sotto il segno della croce di Cristo. Nella croce, Dio ha capovolto il significato della sofferenza: questa, che era frutto e testimonianza del peccato, è diventata, ora, partecipazione all’espiazione redentrice operata da Cristo. Come tale, essa porta quindi in sé, già fin d’ora, il preannuncio della vittoria definitiva sul peccato e sulle sue conseguenze, mediante la partecipazione alla risurrezione gloriosa del Salvatore (Dal discorso dei 13 aprile 1980).
“ Eppure, insieme, io e voi crediamo fermamente, alla luce della Parola di Dio, che esiste una dimensione, incontrollabile sia dai sensi che dalla semplice ragione umana, nella quale la vostra sofferenza e quella di tutti gli uomini acquista un significato profondo e si trasforma da debolezza in forza, da povertà in ricchezza, quando viene illuminata dalla Croce di Gesù. “Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti… perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio” (1 Cor 1,27.29). Come il Padre celeste ha scelto per la salvezza degli uomini la Croce, segno di ignominia e di debolezza, così ha scelto la vostra infermità, perché tale croce, posta sulle vostre spalle ed incisa nelle vostre carni, diventi – insieme con quella di Gesù – strumento e segno di salvezza per voi, che la portate nella fede e nella speranza cristiana, e per tutti gli altri uomini bisognosi di salvezza (Dal discorso dei 19 marzo 1981).

Sac. Luigi Novarese