L’Ancora: n. 2/3 – febbraio/marzo 1980 – pag. 24

Il titolo è una frase sovente pronunciata da Pietro Salvi Alessio (1943‑1951) e che è anche il titolo d’una vita su di lui scritta da una suora carmelitana, da lunghi anni ammalata, che scrive sotto lo pseudonimo di Romanella.
Quantunque la vita di questo eroico fanciullo sia stata terminata il 25 marzo 1957, è rimasta ferma nei nostri archivi per un motivo che potrebbe sembrare una banalità, è la vita di un bimbo molto più maturo dell’età che aveva, troppo buono con visuali molto profonde da sembrare superiore alla sua età. Tale osservazione fatta con tanta insistenza han rimandato la stampa del volume fino ad oggi.
Il ricordo di Pietro che mi volle accompagnare a Lourdes con la preghiera e l’offerta delle sue sofferenze durante il primo Pellegrinaggio dei sacerdoti ammalati a Lourdes e la sua morte avvenuta proprio in quel periodo non mi hanno mai dato perfetta tranquillità fino a che ho dato un ordine preciso: “voglio che la vita venga pubblicata”.
Il Signore del resto parla alle anime semplici, alle anime candide dei bambini ed a loro si fa comprendere più che ai grandi, sempre estroversi verso quanti li circondano, o introversi nella contemplazione del proprio io e dei propri ragionamenti.
Un altro pensiero poi continua ad insinuarsi nel mio animo: nella vita di tanti ammalati e di tanti iscritti al Centro pare che entri la tentazione dell’eresia dell’azione e non si comprende più l’ideale della forza missionaria del Centro stesso.
Sembra che 1’esempio di Santa Teresa del Bambino Gesù con relativa proclamazione di Patrona delle Missioni siano stati relegati in soffitto, sorpassati dal tempo che viviamo, che porta le stigmate, che non accennano a diminuire, dell’odio e della violenza.
Per questo motivo ho affidato all’incaricata del Centro Nazionale dei Bambini, Anna Maria, di fare uscire al più presto la vita di Pietro Salvi Alessio ad edificazione di tutti e ad esempio di quanto i bambini sanno fare. Da tale vita viene pubblicato l’ultimo capitolo dal titolo “Ite missa est” da cui traspare dalla sua morte l’ardente ideale missionario.

Sac. Luigi Novarese