L’Ancora: n. 11/12 – novembre/dicembre 1970 – pag. n. 1-4
Tutto di me e in me si protende verso l’unico canto d’amore: Dio
Nella constatazione dell’impossibilità di trovare una qualsiasi risposta positiva agli angosciosi problemi dei dolore, necessariamente spinti dalla prudenza e dall’interesse, ci poniamo di fronte alla persona dei Cristo storico. preannunciato dai Profeti, vissuto accanto agli Apostoli e descritto degli storici dei suo tempo, per sentire da Lui la vera impostazione del problema che ci interessa, prendendo inoltre cognizione di quanto dobbiamo fare per trasformare il piano umiliante della sofferenza in vera promozione umana ed in mezzo di conquista. La Chiesa scaturita del cuore di Cristo trova “nel Suo Signore e Maestro la chiave, il centro ed il fine dell’uomo nonché di tutta la storia umana” (La Chiesa nel mondo contemporaneo, 10) Al di là di tutte le realtà mutabili stanno infatti le realtà immutabili, le quali trovano il loro intimo ed ultimo fondamento in Cristo Nostro Signore. Con l’insegnamento vivo del Cristo possiamo infatti arrivare a scoprire il mistero dell’uomo ed a risolvere gli angosciosi problemi che ci tormentano.
Cristo, Uno di noi
Il Figlio di Dio prendendo, in tempo ben definibile e controllabile, carne nel seno della Vergine Santa e facendosi quindi uomo come noi ha vinto la morte con la sua risurrezione e ha trasformato la sofferenza in mezzo di conquista, donandoci la possibilità di continuare noi pure ad operare la medesima trasformazione del dolore mediante la nostra partecipazione alla Sua vita divina, comunicataci con il santo Battesimo. Partecipare alla Sua vita divina, diventare in Cristo un corpo solo, realizzando la meravigliosa unità del Suo Corpo Mistico, significa essere immersi nella realtà continuamente salvifica della Sua morte e risurrezione, significa avere risolto tutti i “perché” dell’esistenza. Fin dai Suoi primi discorsi il Cristo affrontò il problema del dolore, ma l’affrontò decisamente, chiaramente, affermando che intendeva sottoporsi ad esso e che l’avrebbe vinto con la propria risurrezione. Non appena Simone infatti lo riconobbe quale Figlio di Dio, immediatamente il Divin Maestro annunciò la passione a cui intendeva andare incontro ed i benefici frutti di vita totale per quanti avrebbero creduto in Lui:
“Bisogna che Il Figlio dell’uomo patisca molto e sia rigettato dagli anziani e dai capi dei Sacerdoti, e sia messo e morte e risusciti il terzo giorno. Or Egli diceva a tutti: se qualcuno vuoi venire dietro a me rinneghi se stesso, prendo la sua croce e mi segua” (Luca IX, 22-23 e cfr. Mc. Vili, 31-34, Mat. XVI, 21-24).
Atteggiamento psicologico di Cristo
Mai il Cristo parlò del dolore come problema a se stante, ma sempre, tutte le volte abbinava al pensiero della propria passione e morte la certezza della risurrezione, vedi dopo la Sua trasfigurazione sul monte Tabor e mentre saliva a Gerusalemme per il suo ingresso trionfale, festività delle Palme. (Mc. IX, 9-10 e Luca XVIII, 31-33).
Dalla costante ripetizione dei concetti della vita che continua oltre la tomba e della risurrezione nonostante la morte, appare evidente come Egli abbia sempre avuto dinanzi l’angoscia dell’umanità per la presenza dei dolore e della morte. Il Discorso riferito dall’Apostolo Giovanni, in cui il Cristo promette l’Eucarestia, è una meravigliosa garanzia di vita che dissipa qualsiasi angoscia.
Procuratevi non Il cibo che perisce, ma il cibo che dura per la vita eterna… Io sono il pane della vita. I vostri padri mangiarono la manna nel deserto e sono morti. Questo è il pane disceso del cielo, chi ne mangia non muore. Io sono il pane vivo disceso dei cielo. Se qualcuno mangia di questo pane vivrà in eterno”. (Giov. VI, 27-51).
La sofferenza con la inconfutabile storicità della risurrezione del Cristo acquista dimensioni nuove, acquista una vera e propria promozione, che da sé intrinsecamente non ha e non può avere, cessa di essere un doloroso enigma senza significato e diventa elemento positivo di bene. Da qui le conseguenze immediate che il dolore umano al di fuori del Cristo non ha alcuna nota positiva e che l’uomo soltanto in Cristo, Mediatore e Redentore, può acquisire una promozione nuova, ineffabile, feconda, che dona dignità e frutto alla desolante inutilità della sofferenza nel piano della costruzione sociale dei popoli. Lo stesso precetto divino “chi vuoi venire dietro di me rinneghi se stesso, prendo la croce e mi segua” diventa ed è un caldo Invito ad affrontare con animo nuovo la croce ed il mistero della carità, avendo il dolore ottenuto quella promozione, che assolutamente non avrebbe mai potuto avere senza la libera ed eterna scelta del Figlio di Dio.
Non ogni sofferenza…
Non qualsiasi sofferenza ha in sé stessa tale promozione divina, ma soltanto quella che è vissuta in Cristo, in comunanza di vita divina con Lui.
Tali capacità nuove si acquistano con la vita della grazia che ci innesta e ci costituisce membra vive dei suo Corpo Mistico. Fecondità meravigliose dei dolore trasfigurato e vivificato dalla grazia. sua disperata desolazione invece quando subentra ancora il peccato a distruggere quanto Il Cristo ci ha conquistato, a prezzo della sua passione e morte.
“Chi ha dato al dolore dell’uomo il suo carattere sovrumano, oggetto di rispetto, di cura e di culto, afferma Sua Santità Paolo VI, è Cristo paziente, il grande fratello di ogni povero, di ogni sofferente. V’è di più: Cristo non mostra soltanto la dignità del dolore: Cristo lancia una vocazione al dolore. Questa voce è tra le più misteriose e benefiche che abbiano attraversato il quadro della vita umane. Gesù chiama Il dolore ad uscire dalla sua disperate Inutilità ed a divenire fonte positiva di bene, fonte non solo delle più sublimi virtù che vanno dalla pazienza all’eroismo e alla sapienza, ma altresì alla capacità espiatrice, redentrice, beatificante, propria della Croce di Cristo”. (Paolo VI, 27 marzo 1964).
Ma c’è qualcosa di più che va approfondito, se vogliamo assaporare la bellezza della promozione che Dio ha donato all’uomo, rendendolo idoneo a collaborare con il Divin Redentore per la propria ed altrui salvezza: “il potere salvifico della Passione del Signore può diventare universale, è immanente in ogni nostra sofferenza se – ecco la condizione – se accettata e sopportata in comunione con la Sua sofferenza. La “compassione” (patire con) da passiva si fa attiva: idealizza e santifica il dolore umano, lo rende complementare a quello del Redentore” (Paolo VI, 27 marzo 1964).
Due concetti fondamentali sottolinea il Papa, che con magistrale chiarezza e sicurezza ha spiegato le dimensioni dei dolore, e cioè: il beneficio universale della passione del Cristo e la possibilità immanente, ossia che intrinsecamente resta nell’uomo, quale nuova possibilità di trasformare la propria croce in mezzo di salvezza.
Gli sviluppi dell’efficacia, dell’attività, dell’offerta dei dolore sono in proporzione della carità dei singolo; ed il fedele, in Cristo Salvatore e Redentore, vive una vita di creatura nuova, una vita di vera promozione divina, con le visuali redentive del Cristo, che mirano a realizzare il regno di Dio In opposizione al regno dell’egoismo e dell’odio, che il principe delle tenebre scioccamente credeva di poter impiantare al di fuori e contro di lui. In virtù dei Corpo Mistico, il Cristo dona una nuova fisionomia al dolore e lo chiama a diventare fonte positiva di bene.
L.N.
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