L’Ancora: n. 2 – febbraio 1966 – pag. n. 1-5
Viviamo in un’epoca così bella e così impegnativa che è impossibile restare con vecchi schemi, idee egocentriche e sorpassate, chiusi in noi stessi, preoccupati soltanto delle cose nostre e delle nostre persone.
E’ l’epoca post-conciliare. E’ un’epoca storica che non tocca soltanto alcune classi di cristiani, ma tutti indistintamente. Se una preferenza possiamo stabilire, forse non sbagliamo e non eccediamo se affermiamo che gli ammalati sono e devono essere i più impegnati in questa epoca di riforma e questo proprio perché nel momento in cui viviamo si richiede maggior cooperazione alla grazia per scuotere i tiepidi, rinfrancare i buoni e sostenere i fervorosi.
Gli ammalati hanno una parola da dire, la devono quindi pronunciare. Questa parola è un’intima e personale conoscenza della propria posizione nel Corpo Mistico di Gesù Cristo; è una interna adesione, viva e profonda, alla vocazione che il Signore ha stabilito per ciascuno.
Il Concilio ci porta a pensare con maggiore attenzione alla responsabilità che ogni membro del Corpo Mistico ha di fronte a tutto l’organismo che è la Chiesa. Ogni fedele è tenuto, alla luce della tradizione e dei solenni richiami conciliari, ad adeguare la propria vita non attirando gli eventi a ciò che pensa circa uno specifico e determinato problema, ma aderendo fin dall’intimo a quel senso vero, soprannaturale, vivo e costruttivo che quel dato problema richiama, ed investe.
« Il Concilio è come una sorgente, dalla quale scaturisce un fiume; la sorgente può essere lontana, la corrente del fiume ci segue. lì Concilio non ci obbliga tanto a guardare indietro, all’atto della sua celebrazione, ma ci obbliga a guardare all’eredità che esso ci ha lasciato, e che è presente e che durerà per l’avvenire ».
(Paolo VI, Disc. 12 gennaio 1966).
Sovente sentiamo la voce del Padre comune che si dirige a noi, che ci chiama, che ci esorta alla sopportazione, alla comprensione del dolore e questo non soltanto per umana e cristiana solidarietà, ma perché la società “ ha bisogno dei sofferenti ”.
A tale pressante richiamo deve pur corrispondere da parte nostra un impegno quanto mai fattivo per «conoscere, studiare, applicare questi documenti ». (Paolo VI, idem).
La Chiesa del Concilio propone di guardare il mondo — il mondo in cui siete — con lo stesso suo sguardo; sguardo di verità, di realismo, di bontà, di carità». (Paolo VI, Disc. 13 gennaio 1966).
Questo comporta, cari ammalati, vedere bene l’ambiente dove viviamo, le possibilità che abbiamo, non escludendo lo sforzo che necessariamente dobbiamo compiere su di noi stessi per uscire dalla nostra mentalità di tranquillo possesso della nostra fede, dei nostri principi magari esattamente vissuti, per diventare apostoli, per diventare aggressivi nell’apostolato, per diventare dei costruttori della città di Dio.
«Le circostanze odierne richiedono assolutamente che il loro apostolato (quello dei laici, il nostro apostolato quindi per quanto riguarda la nostra categoria) sia più intenso e più esteso ». (Decreto Apost. Laici).
SIGNIFICATO DEL RINNOVAMENTO
Questo impegno di rinnovamento, di cui tante volte anche nel passato vi ho scritto sia su questa rivista, sia con circolari gialle, ci deve portare ad esaminare il MODO CON CUI VIVIAMO ED ATTUIAMO IL NOSTRO APOSTOLATO. Ma noi la sentivamo questa esigenza e non mancavamo di sottolinearla fin dal 1962, quando si mirava ad impegnare tutti gli iscritti al Centro a voler ricominciare da zero. Ogni anno non ho mancato di ripetere lo stesso stimolo affinché ciascuno si sentisse “un responsabile” dell’apostolato.
Alla luce del Concilio, sotto l’invito pressante del Papa rivediamo con coraggio le nostre posizioni; rivediamo i nostri mezzi di apostolato; guardiamo le linee genuine del Centro, che oggi, più che mai, si ripresentano vive e palpitanti, adatte e necessarie.
L’APOSTOLATO DEGLI AMMALATI
PER MEZZO DEGLI AMMALATI
Consideriamo la profondità di questa frase, tante volte spiegata e ripetuta per scuotere all’azione, per impedire che gli ammalati diventino dei rimorchiati, per alleggerire il peso già così pressante e pesante degli stessi nostri Assistenti.
Se ciascuno prende la propria posizione molto si potrà fare di più e si finirà così con il dire «aspettiamo che i tempi maturino, che tutto sia sistemato per dare inizio al momento opportuno, alle diverse attività che il Centro propone».
« Guardiamo il mondo in cui viviamo », ci dice il Papa. Guardiamolo e vediamo come il nemico delle anime non dorma e scuotiamoci allora dal nostro torpore di tranquillo accontentamento per ciò che già abbiamo fatto, e vediamo, invece quanto possiamo fare, quanti settori vitali, luminosi per l’apostolato del Centro, a cui non si è ancora dato mano per non affrontare difficoltà, per mancanza di tempo, per mancanza di persone che si dedicano, per « attendere che i tempi maturino ». Il demonio non aspetta che i tempi della grazia maturino, approfitta di tutti e di tutte le circostanze per seminare acquiescenza per quel che è stato compiuto, per esaminare piccole e ristrette visuali personali che nulla dicono, che hanno soltanto il pregio di ritardare l’apostolato.
Oggi è il tempo del risveglio e dell’adeguamento alle esigenze che la Chiesa ha verso ciascuno di noi.
Il Centro non vuole niente di più e niente di meno dai propri iscritti che una vera e consapevole conoscenza della propria vocazione, studiata e vissuta alla scuola di Maria Santissima, prendendo i mezzi di apostolato che i Papi hanno approvato. Se è necessario soffrire e marciare contro corrente per andare incontro agli ammalati, soffriamo pure; migliaia e migliaia sono i sofferenti che vivono lontani dalla visuale della grazia! E’ insopportabile per un’anima che comprenda l’imperativo di S. Paolo, «adempio ciò che manca alla passione di Nostro Signore Gesù Cristo a beneficio del Corpo di lui che è la Chiesa », vedere la apatia in cui vivono tanti sofferenti, dimentichi delle proprie responsabilità derivanti dalla vocazione al dolore.
Dopo i continui appelli del regnante Pontefice non ci è lecito rimanere nella inattività. Il mondo ha bisogno dei malati, non di ammalati che vivono lontani da Dio, ma di ammalati che sentano la bellezza e l’urgenza della propria vocazione a sostegno di tutta la Chiesa.
L. Novarese
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