L’Ancora: n. 5 – maggio 1953 – pag. n. 1-3
Ancora nel piano generale, l’uomo ripara, vivendo in grazia di Dio la propria vita naturale e soprannaturale, che porta le conseguenze inlebili del peccato. Queste tracce sono la concupiscenza, il lavoro, la sofferenza e la morte.
La lotta contro il desiderio di trasgredire la legge, divina o positiva, il lavoro e la sofferenza costituiscono la prima penitenza, messi alla pari nel decreto stesso di Dio, terminando poi con l’atto di suprema accettazione, la morte.
Lotta contro la concupiscenza, lavoro, dolore, morte hanno ciascuna una propria funzione.
La lotta contro la concupiscenza tiene l’individuo nella grazia di Dio mentre il continuo sforzo che ciascuno fa contro se stesso lo consolida nella virtù e gli fa acquistare meriti.
Questa prima conseguenza del peccato è comune a tutte le creature, meno a Maria SS.ma. Tutti devono combattere la propria concupiscenza sani e ammalati.
Maria è il motivo di tutta la nostra speranza
É pure comune a tutte le creature la penitenza finale della vita, la morte. Tutte le conseguenze del peccato hanno funzione di penitenza, noi fermiamoci però a considerare il lavoro ed il dolore.
Il lavoro e il dolore hanno funzione espiatrice ed impetratrice.
Come nel piano materiale vige l’imperativo che tutti devono lavorare per mangiare, cosi nel piano spirituale vige lo stesso imperativo che tutti devono riparare, ristabilendo l’equilibrio perduto e soddisfacendo per i debiti contratti col peccato.
Siccome nell’uomo materia e spirito non sono due entità distinte e separate, ma si trovano unite nello stesso individuo, ne consegue che lavorando e soffrendo l’uomo lavora per il campo dello spirito, ossia per sdebitarsi, spiritualmente arricchirsi e propiziare anche per gli altri mediante i propri meriti.
É lavoro che produce ricchezza nel campo dello spirito tanto l’officina quanto una decalcificazione che obbliga a letto una persona per anni. Sono, questi, due mezzi da Dio stabiliti, quantunque diversi, in vista della santificazione propria e dell’estensione del regno di Dio.
Siccome tutte le anime sono cariche di debiti con Dio a causa dei peccati ne consegue che tutte le anime hanno l’obbligo di giustizia di pagare, ossia di saldare i debiti contratti.
In che maniera si saldano i debiti?
Con la riparazione.
Oltre l’obbligo per ciascuno di combattere sempre la propria concupiscenza, c’è dunque chi va incontro a Dio, purificando la propria anima ed accumulando tesori per tutti mediante il lavoro e c’è pure chi va incontro a Dio mediante la malattia.
Al divino disegno di riparazione tutti gli uomini sono tenuti ad uniformarsi se vogliono entrare nel Paradiso e se vogliono andare incontro a Dio senza tante scorie di peccato da scontare in una più o meno lunga anticamera, in purgatorio.
Il lavoro ed il dolore non hanno meriti da se stessi, ma in quanto uniti a Gesù, alla sua vita divina, come il tralcio unito alla vite.
Lavoro e dolore posti da Dio nella stessa condanna, che differentemente attingono però, il fine.
Il lavoro ha funzione di espiazione in quanto obbliga l’individuo all’applicazione e lo costringe ad affaticarsi nelle proprie facoltà spirituali o materiali per ottenere un dato risultato.
In questo sforzo, in questa applicazione, che stanca, sfibra, sta l’imperativo di Dio: « mangerai il pane nel sudore della tua fronte ».
Il dolore raggiunge il fine di riparazione direttamente. Il dolore è già per se stesso una sofferenza, per uno squilibrio fisico, oppure una sofferenza dello spirito per mancanza dell’oggetto amato.
Il dolore raggiunge il fine direttamente ed in maniera più efficace. E questo si prova dalla stessa vita di Gesù Cristo, il quale liberamente e volontariamente ha voluto sottostare alla legge di riparazione mediante la sofferenza e l’effusione del sangue, mentre sarebbe stato più che sufficiente per redimere un’infinità di mondi un semplice atto di amore perché atto dell’Uomo-Dio, di valore quindi incommensurabile, infinito.
II dolore, essendo continuazione e completamento della passione di Gesù, va direttamente al fine espiatorio ed impetratorio.
Se poi consideriamo la risultante, « espiazione », che proviene dal lavoro e dalla sofferenza, ne consegue che come la passione è andata direttamente alla radice del male e l’ha vinto, così la sofferenza va più direttamente e con più intensità al trono di Dio quale espiazione delle colpe di tutti.
Per gli ammalati adunque esiste un obbligo, ancora più grave di restare in grazia di Dio, data l’importanza e l’efficacia della propria spirituale attività.
(continua)
L.N.
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