L’Ancora: n. 2 – febbraio 1953 – pag. n. 2-4

Nella tua vita di ammalato, la quale altro non è se non la continuazione della passione di Gesù, tu devi avere, come già si è detto, gli stessi sentimenti del Gesù che rappresenti, e, precisamente, devi sentire in te ciò che sentiva Gesù quando compiva l’offerta di se stesso sulla Croce.
Al sentimento di adorazione si unisce il sentimento di ringraziamento.
« Laudato si’ mi Signore, per sora nostra morte corporale », canta il mite Francesco. Ma per arrivare a cantare con viva fede questa lode anche « per sora nostra morte corporale » dobbiamo essere stati dei fedeli e fervidi amatori della Croce di Gesù.
L’atto di ringraziamento, che è il secondo dei quattro fini del Sacrificio, è una conseguenza del primo atto, quello di adorazione.

Se tu adori, se fu ti inchini dinanzi a colui che ti ha creato, che ti ha redento e che ti mantiene in vita, allora viene spontaneo di dirgli con volto riconoscente, « grazie ».
Se tu consideri che il supremo Essere, Dio, il quale regge e governa i secoli, si serve di te, e si serve perché Lui lo vuole, non che abbia bisogno di te, ma unicamente per sua misericordia, perché vuole associarti a Lui, allora il « grazie » sarà anche più sentito.
Se poi pensi che Dio pone te nella stessa posizione scelta dal Suo Unigenito per continuare la Sua stessa passione e per manifestare al mondo il Suo amore, il « grazie » ti fiorirà anche più spontaneo.
La vita allora ti sembrerà tanto feconda perché la volontà di Dio diventa la tua volontà. Tu vorrai ciò che Lui vuole, di te e di Lui non esisteranno che un unico essere, Dio in te e tu in Lui, unificato in Lui per mezzo della grazia in un solo fine.
E questa posizione è bella, consolante, infinitamente operosa ed invidiabile perché tu con Gesù doni, edifichi, redimi, ripari, consoli, sollevi senza posa, continuamente offrendo il meglio che hai per i fratelli, te stesso.
E ti pare poco poter vivere una vita così? Non merita perciò il Signore un profondo e sentito ringraziamento?
Evidentemente il valore totale di questo tuo sacrificio forse non lo vedi ora, perché noi ragioniamo come i bambini e sentiamo come i bambini, ma quando saremo grandi, ossia, quando entreremo nella patria celeste e vedremo Dio come è, e comprenderemo a fondo i veri valori della vita, allora soltanto e finalmente capiremo che due sono le missioni invidiabili su questa terra: la tua e quella del sacerdote.

La natura talvolta si ribella; dispiace a] corpo di morire. E’ logico, diverse sono le tendenze del corpo da quelle dell’anima.
La morte è una conseguenza del peccato, è un castigo, quindi è naturale che ripugni. Ma da questa morte quanta vita, quanta luce, quanta energia attorno a te si sprigiona.
E’ però vero che, in certe ore, il « grazie » esce debolmente e forse stentato. La natura umana freme, e, misticamente, come Gesù, suda sangue, è l’ora della prova. Si sente in quel momenti il bisogno di una mano che sorregga. L’umanità sembra cadere sotto il peso della Croce, come Gesù lungo la via del Calvario. Come è ancora possibile ripetere in quei momenti di tedio il nostro grazie?
Chi ci viene in aiuto? Non è forse l’ora delle tenebre quando pare che tutto sia vuoto attorno a noi? Che vale – allora ci domandiamo – la nostra sofferenza? Dove sono i nostri propositi? Dove sono le nostre promesse generose? Tutto sembra crollare. Crolla – secondo noi – l’edificio spirituale, costruito con tanta pena. La croce diventa dura, dura, dura! Le anime sorelle vengono meno. Si è soli di fronte a Dio, soli con la nostra povera umanità. Le stesse cose ordinarie, che compievamo prima con tanto amore, sembrano, se non addirittura peccaminose, per lo meno fredde. E allora, come dire ancora il nostro continuo grazie?

La fede sola in quelle ore ci sostiene e ci può venire in aiuto. L’unico mezzo è continuare a ripetere il nostro muto si, compiendo per riflessione con lo sguardo fisso sul Crocifisso, ciò che non possiamo compiere per spontaneità.
Sul Calvario, infatti, non udiamo più il canto di giubilo della Madonna. Il « Magnificat » della Vergine è tradotto in azione di fedeltà, di fedeltà muta, fatta di sola presenza, che vuol però dire di partecipazione all’offerta e ai dolori di Gesù.
Fiorisca quindi il nostro « grazie » anche nel silenzio dell’anima nostra desolata. La ragione, illuminata dalla fede comprende la nobiltà di essere unita al Creatore del cielo e della terra per la salvezza del genere umano.
Ma la nostra persona di sofferenti, come quella di Gesù, ha due aspetti: aspetto personale e aspetto sociale e rappresentativo.
Noi pure siamo solidali coi nostri fratelli. Solidali per la vita della grazia che circola in ciascuno di noi e che fa di noi una sola cosa col Cristo e solidali altresì per il nostro ufficio di piccoli redentori uniti all’unico e sommo Redentore.
Fratello sofferente, sii contento delle tue infermità. Adora il Signore che ti ha voluto associare a Lui e poi digli il tuo « grazie », serenamente, con gioia, con umiltà, fiduciosamente. Dalla tua accettazione la vita fiorirà nella tua solitudine e nel tuo lento martirio.

No, tutto non è finito con la sofferenza.
La vita più feconda germoglia dalla tua croce, dal tuo isolamento, dalla tua vita abbandonata. Spunti adunque il tuo « grazie » e il « grazie » tuo sarà luce che riscalderà tanti cuori.
Ripetiamo ancora come nei nostri raduni, con viva fede, vicini a Gesù, sotto lo sguardo dell’Immacolata:
– Grazie, o Signore, di avermi chiamato alla sofferenza!

L. N.