L’11 maggio, presso la Piccola Casa della Divina Provvidenza di Torino, si è tenuto il convegno “L’Amore che salva”, in occasione dei 40 anni della Salvifici doloris e dell’11° anniversario della beatificazione del beato Luigi Novarese.
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Un importante convegno a 40 anni dalla pubblicazione della Salvifici doloris, alla luce del pensiero del beato Luigi Novarese (1914-1984). “L’Amore che salva” è il titolo dell’incontro che si è tenuto l’11 maggio, presso la Piccola Casa della Divina Provvidenza, Cottolengo di Torino.
Una data importante per tutta l’Opera fondata da Monsignore, giorno in cui ricorrono 11 anni dalla sua beatificazione nella basilica di San Paolo Fuori le Mura a Roma. La giornata organizzata e promossa insieme al Centro Volontari della Sofferenza (CVS) e ai Silenziosi Operai della Croce, le Associazioni fondate da Novarese, ha visto la partecipazione di oltre 200 persone arrivate da tutto il nord Italia.
Presenti anche il pronipote del beato, l’industriale casalese Giancarlo Cerutti, e il vescovo di Alba monsignor Marco Brunetti. Fitto il calendario di incontri che si è tenuto durante la mattinata con gli interventi che hanno riguardato l’importanza e l’attualità della lettera apostolica Salvifici doloris di san Giovanni Paolo II.
La giornata è iniziata con il gruppo del CVS di Casale che ha accolto i presenti con alcuni canti ed è continuata con il saluto e l’introduzione al convegno di don Wojciech Grzegork, Silenzioso Operaio della Croce e Presidente della Confederazione internazionale del CVS e del Moderatore generale dei Silenziosi don Johnny Freire. “Mi sento un po’ a casa qui oggi – ha detto monsignor Brunetti che per anni è stato il referente diocesano per la Pastorale della salute –. “Ho profonda stima per il beato Novarese e per le Associazioni da lui fondate dove i disabili e gli ammalati sono concretamente i soggetti attivi della Pastorale e l’apostolato lo fanno in silenzio, ma sono sempre presenti. Ci sono”. Brunetti ha poi sottolineato come “Novarese e Giovanni Paolo II abbiano entrambi vissuto la sofferenza, e ne siano testimoni.
Questo è per tutti noi un grande incoraggiamento e fonte di ispirazione”. A fare gli onori di casa è stato don Carmine Arice, padre generale della Piccola Casa della Divina Provvidenza che ha sottolineato nel suo intervento “l’impulso fondamentale che il beato Luigi Novarese ha dato alla Pastorale della Salute e alla Salvifici doloris”, un tema che, come ha ricordato don Wojciech sarà trattato nel convegno che si terrà a Roma il 20 luglio prossimo, giornata in cui ricorrono i 40 anni dalla morte del nostro padre fondatore.
Le testimonianze
Toccanti le testimonianze delle sorelle Annalisa e Paola Pettinaroli, sorelle dei Silenziosi Operai della Croce di vita in famiglia e da oltre 40 anni nel CVS. “Novarese ci stimolava – ha detto Paola, da 44 anni in carrozzella a causa di una malattia neurodegenerativa invalidante – e mi ha permesso di vedere e vivere il dolore in modo diverso”. Particolarmente coinvolgenti le parole della sorella Annalisa che ha raccontato le difficoltà incontrate sin dai primi anni e i pianti della sorella Paola nel non riuscire a correre come gli altri bambini.
L’intervento del dottor Felice Bonomi ha riguardato diversi aspetti. Il cardiochirurgo di Brescia ha provato a rispondere alla difficile domanda: “come è possibile per un medico credere in Dio?”. “La mia professione – ha detto Bonomi – mi pone a scoprire che alla base di tutto c’è una logica, non il caos. ‘Fare scienza vuol dire decifrare ciò che c’è scritto nel libro della natura’, diceva lo scienziato Antonio Zichichi ed è un pensiero che ho fatto mio. Arrivai per la prima volta a Lourdes nel 1991 e rimasi disorientato dagli ammalati. Rimasi sconvolto nel vedere che gli ammalati pregavano per un ideale più alto. Da lì è partito il mio personale percorso di fede che mi ha portato a rivedere la mia professione di vita”. Bonomi ha poi ricordato le parole di un seminatore di speranza, Fausto Gei (1927-1968), Silenzioso Operaio della Croce, Servo di Dio, che agli inizi degli anni Cinquanta mentre era studente in medicina scriveva: “Il medico deve tornare a occuparsi e a prendersi cura del paziente, senza atteggiamento pietistico”.
La terza testimonianza è toccata a don Alessandro Koch, cappellano del “Cottolengo Hospice” di Chieri, “un luogo in cui si va prima di morire”, ha detto il sacerdote ricordando come “di fronte alla malattia e alla morte cadano tutte le maschere e che ogni stanza di un malato terminale sia un santuario in cui risiede il Cristo sofferente”. Il sacerdote torinese ha poi riportato le parole della fondatrice del movimento Hospice Cicely Saunders (1918-2005, sottolineando l’importanza dell’essere presenti: “nel vegliare possiamo imparare non soltanto come rendere i pazienti liberi dal dolore e dalla sofferenza, come capirli e non abbandonarli mai, ma anche come stare in silenzio, come ascoltare, come esserci” e che “l’importante non è l’atteggiamento, ma è una presenza la spiegazione cristiana al dolore”.
Il vescovo di Cesena-Sarsina, mons. Douglas Regattieri, ha invece approfondito il legame tra la Mystici Corporis, l’enciclica di Pio XII, e la Salvifici doloris. Monsignor Regattieri ha spiegato i punti della Mystici Corporis che stanno alla base della lettera apostolica di san Giovanni Paolo II. “Tra i due testi vi è un passaggio fondamentale, esattamente a 20 anni dalla enciclica di Pio XII e 20 anni prima della Salvifici doloris: il Concilio Vaticano II e la pubblicazione della Gaudium et spes del beato Paolo VI”.
L’intervento don Carmine Arice
È toccato poi al “padrone di casa” don Carmine Arice affrontare il tema dell’attualità della Salvifici doloris. “Nella sofferenza di Cristo c’è il riconoscimento della nostra sofferenza – ha detto Arice durante il suo intervento –, questo è il coraggio della lettera apostolica scritta alla comunità cristiana”. Arice ha poi proseguito dicendo: “se esiste la sofferenza, come fa allora Dio a essere amore? È un tema da accostare con pudore, il dolore va rispettato, ma la sofferenza fa parte di ciò che è l’uomo, è essenziale alla natura dell’uomo e nel mistero della croce c’è salvezza.
Noi oggi abbiamo paura di dire questo perché abbiamo paura di essere accusati di dolorismo. È qui che c’è il cambio di prospettiva. Passiamo dal ‘soffrire a causa di’, al ‘soffrire offrendo per’. E monsignor Novarese è andato ancora oltre, è stato l’unico nella Chiesa che ha avuto il coraggio di dire che ci può essere un disegno soprannaturale, una vocazione alla sofferenza come chiamata alla salvezza”.
San Giovanni Paolo II inizia la lettera apostolica parlando di gioia: la gioia proviene dalla scoperta del senso della sofferenza (SD, 1). “La gioia dell’apostolo Paolo che, lieto come ogni martire di soffrire per Cristo, sa che il suo patire può non essere inutile e andare a vantaggio di molti.
Questo forse è proprio lo scopo della lettera: non sciupare nessuna lacrima e aiutare quanti soffrono, per la presenza di Cristo e della comunità cristiana, a riconoscersi dono prezioso per l’umanità, proprio come Cristo che salvato il mondo sul legno della croce e non nella gloria trionfale del suo ingresso a Gerusalemme”. Arice prosegue spiegando che “sperimentando la forza del male possiamo cogliere la necessità della salvezza, la sofferenza può aiutare ad intraprendere strade di conversione per una ricostruzione del bene nel soggetto e per questo essere occasione di una purificazione; scoprire di essere creature mortali può essere un dono utile per puntare lo sguardo sull’essenziale; prendere coscienza del bisogno di cura, di solidarietà, di compassione e di comunione che c’è in ogni uomo perché ‘il mondo della sofferenza invoca quello dell’amore’ (SD 29)”.
A chiudere il convegno è stata Angela Petitti, sorella dei Silenziosi Operai della Croce che ha tratteggiato la vita e l’Opera di Novarese, ricordando l’insegnamento che dava agli ammalati già negli anni Cinquanta: “abbattere le barriere in cui li emarginava la cultura della rassegnazione trasformandoli in soggetti attivi della Chiesa. Il malato diventa così portatore di diritti e dignità e la sofferenza non è un bene di per sé, ma diventa un percorso di fede alla luce della croce di Cristo che porta alla salvezza di se e degli altri”.
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Il Convegno è stato realizzato con il il patrocinio della
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