Nella Liturgia delle Ore si manifesta il carattere comunitario della Chiesa

Quanto parliamo di Liturgia delle Ore o Ufficio divino ci riferiamo a quella specifica modalità di preghiera che abbraccia l’intera giornata, scandendone i momenti in relazione al mistero di Cristo. Questa modalità di preghiera liturgica, essenzialmente biblica, è caratterizzata dalla lode. Non si tratta però di un’azione solo umana, cioè della lode e dell’adorazione che dalla terra sale verso il cielo, dall’uomo a Dio, ma della partecipazione della Chiesa alla lode che Cristo rivolge al Padre. Come scrive san Paolo VI nella costituzione apostolica Laudis Conticum, citando SC, è Cristo che, assumendo la natura umana, ha introdotto in questa terra quell’inno che viene eternamente cantato nelle sedi celesti associando a sé tutta la comunità degli uomini nell’elevare al Padre il canto di lode (SC 83). La lode della Chiesa e del cristiano trova dunque la sua dignità nel fatto che “partecipa dell’amore del Figlio Unigenito per il Padre e di quell’orazione, che egli durante la sua vita terrena ha espresso con le sue parole e che ora, a nome e per la salvezza di tutto il genere umano, continua incessantemente in tutta la Chiesa e in tutti i suoi membri” (Principi e norme per la liturgia delle ore / Pnlo, 7).

Proprio per questo Pnlo 9 afferma che: l’esempio e il comando del Signore e degli apostoli di pregare sempre e assiduamente non possono essere considerati come una norma giuridica, ma appartengono all’intima essenza della Chiesa, che è comunità e quindi deve manifestare il suo carattere comunitario anche nella preghiera.

Qui due realtà vengono sottolineate: la dimensione fondamentalmente ecclesiale della Liturgia delle Ore e la dimensione intrinsecamente orante della Chiesa, che la preghiera oraria manifesta. L’ecclesialità della Liturgia delle Ore è legata al fatto che l’intera Chiesa è soggetto orante e che tutti ne sono voce a pieno titolo: essa è l’espressione di un popolo tutto sacerdotale, perché “l’opera della redenzione umana e della perfetta glorificazione di Dio, Cristo la compie nello Spirito Santo per mezzo della sua Chiesa non soltanto quando si celebra l’Eucaristia e si amministrano i sacramenti, ma anche, a preferenza di altri modi, quando si celebra la Liturgia delle Ore” (Pnlo, 13).

Allo stesso modo nella sua preghiera, la Chiesa manifesta la propria natura di comunità, che indugiando nel tempo nella forma della lode, del rendimento di grazie, dell’intercessione per tutti gli uomini, proclama quotidianamente davanti al mondo il primato di Dio e riconosce il suo amore gratuito.

La Liturgia delle Ore quindi incardina nel tempo dell’uomo il tempo di Dio. Se è la preghiera di Cristo alla quale egli associa la comunità dei battezzati, i momenti nei quali essa si dispiega hanno valore di memoria degli eventi salvifici. Le due “ore” cardine della giornata sono infatti le Lodi e i Vespri, il sorgere del sole e il suo tramonto. Il mattino segna, con l’aurora, il sorgere della luce e pone fine al silenzio della notte, durante la quale l’oscurità e le tenebre, associate al sonno, hanno posto l’uomo di fronte alla sua fragilità, facendolo trepidare per un destino di morte e silenzio che lo attende. Se la notte è il tempo della trepidazione e dell’attesa (cfr. Sal 129,6), il mattino, con la vittoria della luce sulle tenebre, è promessa di novità, riaccende la speranza. Pnlo 38 esplicita questo annuncio di speranza associando la preghiera delle lodi al memoriale della resurrezione del Signore: “Quest’ora inoltre, che si celebra allo spuntar della nuova luce del giorno, ricorda la risurrezione del Signore Gesù, ‘luce vera che illumina ogni uomo’ (Gv 1,9) e ‘sole di giustizia’ (Ml 3,20), ‘che sorge dall’alto’ (Lc 1,78). Perciò ben si comprende la raccomandazione di San Cipriano: ‘Bisogna pregare al mattino, per celebrare con la preghiera mattutina la risurrezione del Signore'”.

Il termine della giornata, al tramonto del sole, assume invece un riferimento al mistero della croce del Signore.

Leggiamo infatti in Pnlo 39: “Con l’orazione che innalziamo, ‘come incenso davanti al Signore’, e nella quale ‘l’elevarsi delle nostre mani’ diventa ‘sacrificio della sera’ ricordiamo anche la nostra redenzione. E questo ‘si può anche intendere, con un significato più spirituale, dell’autentico sacrificio vespertino: sia di quello che il Signore e Salvatore affidò, nell’ora serale, agli apostoli durante la Cena, quando inaugurò i santi misteri della Chiesa, sia di quello stesso del giorno dopo, quando, con l’elevazione delle sue mani in croce, offrì al Padre per la salvezza del mondo intero se stesso, quale sacrificio della sera, cioè come sacrificio della fine dei secoli'”.

 “Ascolta Israele… Ascoltaci Signore”

La Liturgia della Parola è costituita da due pilastri strutturali nei quali due differenti soggetti si alternano nell’atto del parlare e in quello dell’ascoltare. C’è prima di tutto un momento in cui è Dio che parla al suo popolo. La sua Parola, che scende giù da cielo per raggiungere le storie degli uomini (cfr. Is 55,10-11), è creatrice e dona vita, mostra la fedeltà divina e parla all’oggi della storia, incoraggia l’impegno nel mondo e sostiene il cammino verso la Gerusalemme del cielo. A questo movimento discendente ne segue, conseguenzialmente, uno ascendente, nel quale Dio si mette in ascolto della supplica della comunità orante, che presenta davanti al trono dell’Altissimo i suoi desideri di pienezza, i suoi bisogni autentici e le sue preoccupazioni maggiori. In questo incontro tra parole donate da Dio all’uomo e parole consegnate dall’uomo a Dio, trova significato e spessore la preghiera dei fedeli, posta al termine della liturgia della Parola e proiettata verso la liturgia eucaristica.

Le prime testimonianze di questo elemento di intercessione, che ha la sua radice nel precetto paolino di rivolgere a Dio domande, suppliche e preghiere per tutti gli uomini (cfr. 1Tm 2,1-2), le rintracciamo nelle descrizioni del raduno liturgico nel giorno del Signore di Giustino, Tertulliano, Ippolito di Roma e altri autori della letteratura cristiana antica. I loro scritti ci attestano la presenza, all’interno del convito eucaristico, di preghiere che la comunità rivolge a Dio a conclusione della proclamazione della Scrittura e prima dell’anafora. Se gli scritti dei Padri ci testimoniano la presenza, la collocazione e il contenuto della preghiera di supplica, le fonti successive ci permettono di rilevare come questo elemento rituale gradualmente sia caduto in disuso. Sarà compito del Concilio vaticano II riscoprire la preghiera dei fedeli.

Nella Costituzione sulla Sacra liturgia, infatti, si determina: “dopo il Vangelo e l’omelia, specialmente la domenica e le feste di precetto, sia ripristinata la ‘orazione comune’ detta anche ‘dei fedeli’, in modo che, con la partecipazione del popolo, si facciano speciali preghiere per la santa Chiesa, per coloro che ci governano, per coloro che si trovano in varie necessità, per tutti gli uomini e per la salvezza di tutto il mondo” (Sc 53).

Le sobrie indicazioni di Sacrosanctum Concilium sono approfondite dall’Ordinamento generale del Messale romano che, ai numeri 69-71, offre una presentazione sintetica del significato della preghiera universale. Le premesse al Messale precisano che attraverso la preghiera dei fedeli “il popolo, risponde in certo modo alla parola di Dio accolta con fede e, esercitando il proprio sacerdozio battesimale, offre a Dio preghiere per la salvezza di tutti. È conveniente che nelle messe con partecipazione di popolo vi sia normalmente questa preghiera, nella quale si elevino suppliche per la santa Chiesa, per i governanti, per coloro che portano il peso di varie necessità, per tutti gli uomini e per la salvezza di tutto il mondo” (Ogmr 69).

Il compito della preghiera dei fedeli è quello di dare spazio all’invocazione collettiva della comunità orante che, nutrita dalla Parola, ascoltata e accolta con fede, offre a Dio preghiere per la salvezza di tutti e si prepara al gesto eucaristico. Dal punto di vista strutturale la preghiera universale è guidata da colui che presiede il quale ha il compito di introdurla con una breve monizione e di concluderla con un’orazione (cfr. Ogmr 71).

La pedagogia dell’Ecclesia orans ci insegna che l’invocazione dell’uomo deve essere ampia, universale e in rapporto alle situazioni. Le intenzioni della preghiera dei fedeli, pertanto, vanno poste in rapporto diretto con la vita e con i bisogni della comunità, per dare eco all’hodie della storia della salvezza e a quanto lo Spirito suggerisce in rapporto alla Parola e alla vita, alla sete di infinito e alle preoccupazioni del frangente presenti nel cuore di ogni viandante sulla terra, alla relazione che si istaura tra la libertà paterna di Dio e la libertà filiale dell’uomo. Per queste ragioni le intenzioni elevate dall’assemblea non devono essere artificiose, astratte, moraleggianti, ma devono muoversi tra la Parola proclamata, che si fa comune preghiera, e l’attualità pastorale e sociale che emerge alla coscienza del popolo di Dio (Cfr. Orazionale per la preghiera universale, premessa, n. 5).

[Fonte: Agenzia SIR]