Rileggendo la «Evangelii gaudium» / 1
Evangelii Gaudium — Spunti
Così come per San Paolo VI l’enciclica Ecclesiam Suam, di cui oggi cade il 60° anniversario, fu in qualche modo un testo “programmatico”, per Papa Francesco lo stesso si può dire per l’esortazione apostolica Evangelii gaudium, pubblicata il 24 novembre 2013, otto mesi dopo l’inizio del suo pontificato. Si possono ritrovare in questo testo, in nuce ma già espressi in modo chiaro ed efficace, buona parte dei temi, degli argomenti, delle idee e delle immagini che in questi undici anni Bergoglio ha sviluppato e offerto alla mente e al cuore dei fedeli. Proprio per questo motivo, a partire da oggi pubblicheremo un’ampia galleria del testo dell’esortazione, evidenziando alcuni di questi temi, idee, immagini.
Nei brani che il lettore troverà oggi in pagina, tratti dal primo capitolo, si può riscontrare ad esempio l’insistenza, già nel titolo e nell’incipit, del tema della gioia. È la gioia «che riempie il cuore» (1) il primo e principale effetto dell’incontro con Gesù. La vita di fede nasce da questo incontro e si contraddistingue per questa gioia potente, che si oppone al rischio in cui cade il mondo attuale di una «tristezza individualista» (2) e dell’autorefenzialità (8). Questa gioia è per tutti, perché, e qui Francesco cita la Gaudete in Domino di Paolo VI, «nessuno è escluso dalla gioia portata dal Signore». Se uno fa un passo verso Gesù scopre che Lui stava già ad aspettarlo, perché, e qui il Papa fa un’affermazione che poi ha ripetuto tante volte: «Dio non si stanca mai di perdonare, siamo noi che ci stanchiamo di chiedere la sua misericordia» (3). Nei punti 5-8 il Papa afferma che la gioia nasce dal «cuore traboccante» (5) di Gesù; è questo il tema dell’eccedenza, che spesso ritornerà nei suoi discorsi, che si articoli in due movimenti: il cuore traboccante di Gesù crea un traboccamento nel cuore di chi lo incontra: «se qualcuno ha accolto questo amore che gli ridona il senso della vita, come può contenere il desiderio di comunicarlo agli altri?» (8) Nei punti successivi ritroviamo altre immagini ed espressioni care al Papa come “una Chiesa in uscita” (che diventa il primo punto del primo capitolo), il “raggiungere le periferie” (20), la “gioia missionaria”(21), il “rompere gli schemi” (22), il “primerear”, il “toccare la carne sofferente di Cristo nel popolo”, “l’odore delle pecore”(24), la “creatività missionaria” (28), lo stare del vescovo “davanti, in mezzo e dietro al popolo” (31), la necessità di abbandonare il “si è sempre fatto così” (31) e il fatto che «il confessionale non dev’essere una sala di tortura bensì il luogo della misericordia del Signore» (44).
Dal capitolo I
La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia. (…)
2. Il grande rischio del mondo attuale, con la sua molteplice ed opprimente offerta di consumo, è una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata. Quando la vita interiore si chiude nei propri interessi non vi è più spazio per gli altri, non entrano più i poveri, non si ascolta più la voce di Dio, non si gode più della dolce gioia del suo amore, non palpita l’entusiasmo di fare il bene. (…)
3. Invito ogni cristiano, in qualsiasi luogo e situazione si trovi, a rinnovare oggi stesso il suo incontro personale con Gesù Cristo o, almeno, a prendere la decisione di lasciarsi incontrare da Lui, di cercarlo ogni giorno senza sosta. Non c’è motivo per cui qualcuno possa pensare che questo invito non è per lui, perché «nessuno è escluso dalla gioia portata dal Signore». [Paolo vi, Esort. ap. Gaudete in Domino (9 maggio 1975), 22: aas 67 (1975), 297] Chi rischia, il Signore non lo delude, e quando qualcuno fa un piccolo passo verso Gesù, scopre che Lui già aspettava il suo arrivo a braccia aperte. (…) Ci fa tanto bene tornare a Lui quando ci siamo perduti! Insisto ancora una volta: Dio non si stanca mai di perdonare, siamo noi che ci stanchiamo di chiedere la sua misericordia. (…)
5. La nostra gioia cristiana scaturisce dalla fonte del suo cuore traboccante. (…) Perché non entrare anche noi in questo fiume di gioia? (…)
6. Ci sono cristiani che sembrano avere uno stile di Quaresima senza Pasqua. (…)
8. Solo grazie a quest’incontro — o reincontro — con l’amore di Dio, che si tramuta in felice amicizia, siamo riscattati dalla nostra coscienza isolata e dall’autoreferenzialità. Giungiamo ad essere pienamente umani quando siamo più che umani, quando permettiamo a Dio di condurci al di là di noi stessi perché raggiungiamo il nostro essere più vero. Lì sta la sorgente dell’azione evangelizzatrice. Perché, se qualcuno ha accolto questo amore che gli ridona il senso della vita, come può contenere il desiderio di comunicarlo agli altri? (…)
20. Nella Parola di Dio appare costantemente questo dinamismo di “uscita” che Dio vuole provocare nei credenti. (…) Ogni cristiano e ogni comunità discernerà quale sia il cammino che il Signore chiede, però tutti siamo invitati ad accettare questa chiamata: uscire dalla propria comodità e avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo. (…)
21. La gioia del Vangelo che riempie la vita della comunità dei discepoli è una gioia missionaria (…) ha sempre la dinamica dell’esodo e del dono, dell’uscire da sé, del camminare e del seminare sempre di nuovo, sempre oltre (…).
22. La Parola ha in sé una potenzialità che non possiamo prevedere. Il Vangelo parla di un seme che, una volta seminato, cresce da sé anche quando l’agricoltore dorme (cfr. Mc 4, 26-29). La Chiesa deve accettare questa libertà inafferrabile della Parola, che è efficace a suo modo, e in forme molto diverse, tali da sfuggire spesso le nostre previsioni e rompere i nostri schemi.
23. L’intimità della Chiesa con Gesù è un’intimità itinerante, e la comunione «si configura essenzialmente come comunione missionaria». [Giovanni Paolo ii, Esort. ap. postsinodale Christifideles laici (30 dicembre 1988), 32: aas 81 (1989), 451] Fedele al modello del Maestro, è vitale che oggi la Chiesa esca ad annunciare il Vangelo a tutti, in tutti i luoghi, in tutte le occasioni, senza indugio, senza repulsioni e senza paura. La gioia del Vangelo è per tutto il popolo, non può escludere nessuno. (…)
24. La Chiesa “in uscita” è la comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano. “Primerear — prendere l’iniziativa”: vogliate scusarmi per questo neologismo. La comunità evangelizzatrice sperimenta che il Signore ha preso l’iniziativa, l’ha preceduta nell’amore (cfr. 1 Gv 4, 10), e per questo essa sa fare il primo passo, sa prendere l’iniziativa senza paura, andare incontro, cercare i lontani e arrivare agli incroci delle strade per invitare gli esclusi (…) accorcia le distanze, si abbassa fino all’umiliazione se è necessario, e assume la vita umana, toccando la carne sofferente di Cristo nel popolo. Gli evangelizzatori hanno così “odore di pecore” e queste ascoltano la loro voce. (…)
27. Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione. (…)
28. La parrocchia non è una struttura caduca; proprio perché ha una grande plasticità, può assumere forme molto diverse che richiedono la docilità e la creatività missionaria del pastore e della comunità. (…) Questo suppone che realmente stia in contatto con le famiglie e con la vita del popolo e non diventi una struttura prolissa separata dalla gente o un gruppo di eletti che guardano a se stessi (…)
31. Il Vescovo deve sempre favorire la comunione missionaria nella sua Chiesa diocesana perseguendo l’ideale delle prime comunità cristiane, nelle quali i credenti avevano un cuore solo e un’anima sola (cfr. At 4, 32). Perciò, a volte si porrà davanti per indicare la strada e sostenere la speranza del popolo, altre volte starà semplicemente in mezzo a tutti con la sua vicinanza semplice e misericordiosa, e in alcune circostanze dovrà camminare dietro al popolo, per aiutare coloro che sono rimasti indietro e — soprattutto — perché il gregge stesso possiede un suo olfatto per individuare nuove strade (…) L’obiettivo di questi processi partecipativi non sarà principalmente l’organizzazione ecclesiale, bensì il sogno missionario di arrivare a tutti.
32. Dal momento che sono chiamato a vivere quanto chiedo agli altri, devo anche pensare a una conversione del papato. (…) Siamo avanzati poco in questo senso. Anche il papato e le strutture centrali della Chiesa universale hanno bisogno di ascoltare l’appello ad una conversione pastorale. Il Concilio Vaticano ii ha affermato che, in modo analogo alle antiche Chiese patriarcali, le Conferenze episcopali possono «portare un molteplice e fecondo contributo, acciocché il senso di collegialità si realizzi concretamente» [Conc. Ecum. Vat. ii, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 23]. Ma questo auspicio non si è pienamente realizzato, perché ancora non si è esplicitato sufficientemente uno statuto delle Conferenze episcopali che le concepisca come soggetti di attribuzioni concrete, includendo anche qualche autentica autorità dottrinale. Un’eccessiva centralizzazione, anziché aiutare, complica la vita della Chiesa e la sua dinamica missionaria.
33. La pastorale in chiave missionaria esige di abbandonare il comodo criterio pastorale del “si è fatto sempre così”. Invito tutti ad essere audaci e creativi in questo compito di ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile e i metodi evangelizzatori delle proprie comunità. Una individuazione dei fini senza un’adeguata ricerca comunitaria dei mezzi per raggiungerli è condannata a tradursi in mera fantasia. Esorto tutti ad applicare con generosità e coraggio gli orientamenti di questo documento, senza divieti né paure. L’importante è non camminare da soli, contare sempre sui fratelli e specialmente sulla guida dei Vescovi, in un saggio e realistico discernimento pastorale. (…)
39. Così come l’organicità tra le virtù impedisce di escludere qualcuna di esse dall’ideale cristiano, nessuna verità è negata. Non bisogna mutilare l’integralità del messaggio del Vangelo. Inoltre, ogni verità si comprende meglio se la si mette in relazione con l’armoniosa totalità del messaggio cristiano, e in questo contesto tutte le verità hanno la loro importanza e si illuminano reciprocamente. Quando la predicazione è fedele al Vangelo, si manifesta con chiarezza la centralità di alcune verità e risulta chiaro che la predicazione morale cristiana non è un’etica stoica, è più che un’ascesi, non è una mera filosofia pratica né un catalogo di peccati ed errori. Il Vangelo invita prima di tutto a rispondere al Dio che ci ama e che ci salva, riconoscendolo negli altri e uscendo da sé stessi per cercare il bene di tutti. Quest’invito non va oscurato in nessuna circostanza! Tutte le virtù sono al servizio di questa risposta di amore. Se tale invito non risplende con forza e attrattiva, l’edificio morale della Chiesa corre il rischio di diventare un castello di carte, e questo è il nostro peggior pericolo. Poiché allora non sarà propriamente il Vangelo ciò che si annuncia, ma alcuni accenti dottrinali o morali che procedono da determinate opzioni ideologiche. Il messaggio correrà il rischio di perdere la sua freschezza e di non avere più “il profumo del Vangelo”. (…)
41. Allo stesso tempo, gli enormi e rapidi cambiamenti culturali richiedono che prestiamo una costante attenzione per cercare di esprimere le verità di sempre in un linguaggio che consenta di riconoscere la sua permanente novità. Poiché, nel deposito della dottrina cristiana «una cosa è la sostanza […] e un’altra la maniera di formulare la sua espressione» [Giovanni xxiii, Discorso nella solenne apertura del Concilio Vaticano ii (11 ottobre 1962): aas 54 (1962), 786: «Est enim aliud ipsum depositum Fidei, seu veritates, quae veneranda doctrina nostra continentur, aliud modus, quo eaedem enuntiantur»]. A volte, ascoltando un linguaggio completamente ortodosso, quello che i fedeli ricevono, a causa del linguaggio che essi utilizzano e comprendono, è qualcosa che non corrisponde al vero Vangelo di Gesù Cristo. Con la santa intenzione di comunicare loro la verità su Dio e sull’essere umano, in alcune occasioni diamo loro un falso dio o un ideale umano che non è veramente cristiano. In tal modo, siamo fedeli a una formulazione ma non trasmettiamo la sostanza. Questo è il rischio più grave. (…)
42. Questo ha una grande rilevanza nell’annuncio del Vangelo, se veramente abbiamo a cuore di far percepire meglio la sua bellezza e di farla accogliere da tutti. Ad ogni modo, non potremo mai rendere gli insegnamenti della Chiesa qualcosa di facilmente comprensibile e felicemente apprezzato da tutti. La fede conserva sempre un aspetto di croce, qualche oscurità che non toglie fermezza alla sua adesione. Vi sono cose che si comprendono e si apprezzano solo a partire da questa adesione che è sorella dell’amore, al di là della chiarezza con cui se ne possano cogliere le ragioni e gli argomenti. Per questo occorre ricordare che ogni insegnamento della dottrina deve situarsi nell’atteggiamento evangelizzatore che risvegli l’adesione del cuore con la vicinanza, l’amore e la testimonianza.
43. Nel suo costante discernimento, la Chiesa può anche giungere a riconoscere consuetudini proprie non direttamente legate al nucleo del Vangelo, alcune molto radicate nel corso della storia, che oggi ormai non sono più interpretate allo stesso modo e il cui messaggio non è di solito percepito adeguatamente. Possono essere belle, però ora non rendono lo stesso servizio in ordine alla trasmissione del Vangelo. Non abbiamo paura di rivederle. Allo stesso modo, ci sono norme o precetti ecclesiali che possono essere stati molto efficaci in altre epoche, ma che non hanno più la stessa forza educativa come canali di vita. (…)
44. Pertanto senza sminuire il valore dell’ideale evangelico, bisogna accompagnare con misericordia e pazienza le possibili tappe di crescita delle persone che si vanno costruendo giorno per giorno. Ai sacerdoti ricordo che il confessionale non dev’essere una sala di tortura bensì il luogo della misericordia del Signore che ci stimola a fare il bene possibile. Un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani, può essere più gradito a Dio della vita esteriormente corretta di chi trascorre i suoi giorni senza fronteggiare importanti difficoltà. A tutti deve giungere la consolazione e lo stimolo dell’amore salvifico di Dio, che opera misteriosamente in ogni persona, al di là dei suoi difetti e delle sue cadute.
[Fonte: L’Osservatore Romano]
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