Le guerre sono sempre tragedie, le guerre dei nostri giorni sono tragedie vissute in diretta. La tecnologia non lascia spazio all’immaginazione, sono le immagini in tempo reale a darci la misura enorme della violenza e della sofferenza. Insieme a video e a foto scioccanti, colpiscono i fatti e i numeri che niente e nessuno riesce a fermare. Fatti e numeri che non sono solo parole e cifre ma riguardano la reale situazione di una umanità distrutta e ferita.
In questi giorni i musulmani festeggiano Eid al-Adhā, la Festa del Sacrificio, che ricorda il sacrificio chiesto da Dio ad Abramo. Sono giorni di gioia perché si celebra la Fede profonda di Abramo che viene fermato mentre sta per sacrificare il suo unico figlio. Sono giorni di festa in cui le comunità di altre religioni scambiano auguri di pace e di ogni benedizione perché la convivenza pacifica è possibile. Sono giorni di gioia che le famiglie festeggiano riunite, mangiando cibi tradizionali, in giardini illuminati e colorati, in case addobbate a festa, giorni in cui si offrono regali e si comprano vestiti nuovi per la grande occasione. Purtroppo in questi giorni la Festa del sacrificio riflette nel suo nome, il sacrificio e la sofferenza di tante famiglie che non potranno riunirsi perché molti componenti sono morti. I bambini non giocano felici nei giardini ma cercano posti sicuri e riparati perché le case sono distrutte, non aspettano regali e vestiti nuovi ma cercano di sopravvivere alle malattie, alla fame, alla sete, al caldo.
Sono colpito maggiormente dalle sofferenze dei bambini perché sono sempre gli indifesi e senza colpa a subire le conseguenze della guerra.
Si contano più di 15.000 bambini uccisi, non si contano quelli rimasti ancora sotto le macerie. Prima del 7 ottobre, i bambini di Gaza con patologie gravi riuscivano a sopravvivere e a trovare farmaci grazie agli aiuti internazionali, gli stessi farmaci che ora sono stati fermati oltre il confine e a pochi metri da chi ne ha tanto bisogno.
Gli interventi chirurgici sono eseguiti nei pochi ospedali semidistrutti: almeno mille bambini hanno subito amputazioni senza anestesia.
Fa male pensare che a pochi chilometri di distanza da me, ci siano 50.000 bambini che soffrono di malnutrizione.
I danni psicologici sono enormi e riguardano quasi un milione di minorenni.
La sigla Wcnsf (Wounded child no surviving family), cioè bambino ferito, senza famiglia sopravvissuta, è stata creata per individuare i bambini di Gaza rimasti orfani, feriti e senza l’amore e il conforto della famiglia.
Pochi giorni fa, il 12 giugno, la comunità internazionale ha celebrato la Giornata mondiale contro il lavoro minorile. A Gaza e in Palestina sono migliaia i bambini che sono diventati capofamiglia in seguito alla morte o all’arresto dei genitori.
Bambini che invece di crescere spensierati sono diventati improvvisamente adulti per sfamare e per sostenere la famiglia nelle difficoltà e nella povertà.
Per i bambini che non ci sono più e per tutti quelli che soffrono nel mondo, chiediamo a Dio Onnipotente il dono della pace.
Guardiamo alla pace come al granello di senape di cui parla la parabola nel Vangelo di Marco, proclamato nell’undicesima domenica del tempo ordinario e come ci ha ricordato Papa Francesco all’Angelus, Dio è nella nostra vita come quel piccolissimo seme: a noi spetta il compito di seminare, di farlo con cura e attenzione, di aspettare con fiducia che germogli anche quando sembra che il terreno arido non dia frutto.
Sarà la presenza di Dio nelle nostre vite a darci la speranza e la certezza che la pace fiorirà! (Ibrahim Faltas)
[Fonte: Padre Ibrahim Faltas, Osservatore Romano]
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