Il 22 maggio, il Card. Matteo Zuppi, Arcivescovo di Bologna e Presidente della CEI, ha presieduto nella Basilica di San Pietro la Santa Messa in occasione della 79ª Assemblea Generale della CEI. Di seguito il testo dell’omelia.
Cari Confratelli e cari amici tutti,
è una gioia ritrovarsi intorno alla Cattedra di Pietro che presiede nella comunione. Ci aiuta a esserne consapevoli, a riconoscerla, ad amarla. È la nostra forza, è forza dello Spirito, pienezza dell’amore che ci unisce. Lo Spirito ci raggiunge con i suoi raggi di luce, completa la nostra inadeguatezza, cura le ferite delle delusioni, libera dalle resistenze nascoste nelle pieghe dell’anima, ci fa comprendere la bellezza della nostra vita amata da Dio, ci rende riflesso di un amore sempre tanto più grande della nostra miseria personale. Lo Spirito continua ad operare in mezzo a noi e noi siamo testimoni del suo amore anche vivendo l’amore tra di noi.
Giacomo parla ad una comunità certo non perfetta, segnata da divisioni, frutto di quella che sempre l’Apostolo chiamerebbe “arroganza”, il banale, quasi irriflesso vanto personale che rende distanti dalla fraternità, che la limita, la immiserisce. Il nostro mondo è deformato dall’onnipotenza dell’io, dal perseguire stoltamente i propri affari, attività che enfatizza e deprime. Questi poi facilmente animano le discussioni infinite su chi è il più grande, spingono ad affermare e verificare la propria considerazione, ad occupare i primi posti nelle sinagoghe o moltiplicare i saluti nelle piazze, antesignani dei digitali link. Le passioni dell’io senza l’amore per Dio e per il prossimo finiscono per farci dimenticare il nostro limite e rendono sconsiderati perché siamo sempre vapore che appare per un istante e poi scompare, come tante esaltazioni che lasciano l’amaro del fallimento, della disillusione. Quanti semi di odio, di ignoranza, di insoddisfazione crescono nel cuore delle persone quando viene cancellato il limite stesso, illudendo di trovare sé stessi nell’arroganza e non nell’umiltà, nell’affermazione di sé e non nel dono di sé.
La formula di San Giacomo, concreta e facile, “se Dio vuole”, “Inshallà”, è entrata nel linguaggio comune ma è così trascurata da una generazione bulimica di impegni, di immagini, che stordiscono, rimuovono la debolezza perché non sappiamo capirla. Siamo chiamati a riscoprire attorno e dentro a noi i semi di bene, svelarli e farli incontrare con il suo autore, l’essenziale che invece del materialismo è quello che rimane invisibile ma dona vita e senso a tutte le cose. Giovanni pensa, con zelo mal posto, di difendere Gesù e anche la comunità. “Non è dei nostri”. Si pensavano in diritto di impedire a qualcuno in nome di una appartenenza che sa di esclusività. Con tanta larghezza, con magnanimità e benevolenza, Gesù li ammonisce: «Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me». Non siamo i migliori del mondo e non siamo neppure una élite esclusiva che crede di possedere tutta la verità e giudica ed esclude gli altri. Giovanni riduce Gesù a quello che conosce e verifica lui, dimenticando che è sempre tanto più grande del nostro cuore e che ci sono le tante pecore che non sono di questo ovile. “Chi non è contro di noi è per noi”. Quindi non viviamo nella difesa che paradossalmente rende nemico quello che è per noi. Gesù ci aiuta a vedere in tutti potenziali amici. Lo Spirito soffia dove vuole e può manifestarsi in modi inaspettati e attraverso persone che non fanno necessariamente parte della nostra comunità ecclesiale. Quanti semina Verbi e quanto amore da svelare nel cuore delle persone liberi dalla diffidenza che fa cercare solo chi è contro e non riconoscendo il bene, magari pensando ossessivamente di difendere il noi. Le nostre comunità – e lo stiamo scoprendo nel Cammino sinodale – incontrano tanti uomini e donne, anche tanti giovani, che aiutano, che vogliono aiutare, mettersi in gioco magari incontrando un senza fissa dimora, un anziano, un migrante, un ragazzo o un giovane in difficoltà, e molti altri. Fa parte della nostra missione profetica anche questo: riconoscere questi semi di bene e aiutarli a crescere, a incontrarci e incontrare Gesù, perché non siano soffocati dal maligno o semplicemente dispersi perché non amati e resi preziosi.
Affidiamo al Signore i nostri propositi e i nostri limiti, sicuri che lui fa grandi cose in coloro che lo amano, come lo ha amato Pietro. Ci aiuta Santa Rita, la Santa degli impossibili, della fragile e bellissima rosa che è speranza dove non c’è speranza. In questo mondo frammentato, Babele di tante solitudini esaltate e diffidenti, possiamo ricostruire il tessuto lacerato dalle divisioni tendendo la mano a tutti, perché riconoscano con noi quel Gesù che chiama con tanta larghezza, che li aiuti a fare il bene e ad essere amici, fratelli e sorelle.
[Fonte: Conferenza Episcopale Italiana]
Scrivi un commento