L’Ancora nell’unità di salute: n. 2 – 1979 – pag. n. 89/90
Il problema dell’aborto, aberrazione della civiltà nella sua attuale legale impostazione, sembra, osservando le linee politiche italiane, allontanarsi ancor più da una soluzione giusta, degna delle nostre tradizioni.
L’odierna legislazione in materia abortiva continua suscitare profonda indignazione negli animi onesti, che ne approfondiscono sempre di più la vasta e nefanda portata a tutti i livelli.
Urta la natura umana, è contro la legge divina positiva, offende l’uomo che si vede legalmente condizionato nel culmine della donazione dell’amore, infligge, inoltre, un’ulteriore frustrazione in chi dalla natura è stato meno dotato.
E’ proprio quest’ultimo particolare aspetto che intendiamo sottolineare: il rammarico dei sofferenti che mentre si sentono accettati e difesi nella società in forza della Costituzione della Repubblica, in pratica, invece, possono legalmente essere esclusi perché la legge abortista prevede proprio la legale loro soppressione, qualora la madre lo giudichi, a suo giudizio, ben accertato dai sanitari preposti a tale infanticidio.
Evidentemente la vasta reazione suscitata da tale infausta provvedimento è pure profondamente nostra e non finiamo mai di reagire contro questa legge che soffoca la dignità e libertà dell’uomo, lasciato indifeso nel momento in cui ha maggior bisogno di sostegno e di protezione.
Il Centro Volontari della Sofferenza, in nome dei propri iscritti, non ha mancato di elevare la sua voce, perché, fra tutte, era la più direttamente interessata.
Ma chi presta orecchio all’angoscia del sofferente che vede positivamente e con liceità precluso il diritto alla vita?
Ma non si pensa che la legge abortista è immorale e che non soltanto e i diritti umani ma è una chiara e sicura via aperta all’immoralità anche coloro che, misconosciuta la via spalancata della Redenzione, diventano veramente inutili a sé ed agli altri?
Quale, infatti, il valore del dolore al di fuori della sua trasformazione agli dalla Passione, Morte e Resurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo?
Ecco perché pubblichiamo, almeno in piccola serie, qualcuna delle tante proteste di sofferenti, scritte con angoscia e dense di sdegno, pervenute alla nostra Direzione.
Non finiremo mai di considerare l’immoralità dell’infanticidio, esecrato fin dagli albori della Redenzione, continuato nei campi di concentramento, impunemente, oggi, perpetrato dalle madri.
Ma non basta biasimare, occorre con tutte le forze, con l’apporto di ogni anima di buona volontà, seguire una linea pastorale che richiami il senso del giusto e del bello e scuota gli animi, ricostruendo il piano del vero amore, come sorto dalla mente di Dio Padre.
L’ «Humanae Vitae», Enciclica di Paolo VI, donataci in difesa della vita, è il chiaro binario che va nuovamente indicato e fedelmente seguito se vuol dare un preciso senso all’amore coniugale.
Qualsiasi interpretazione, al di fuori di quella indicazione, non è luce vera, ma indicazione erronea, data dalla superbia dell’arbitrio, nel desiderio di attirarsi la popolarità, dimentichi di quella scelta e voluta dal Cristo col piano della Croce. Questa è la vera popolarità che edifica, anche se costruita attraverso la salita lungo una via stretta, irta e, magari, difficoltosa.
Il sorriso di tante madri che hanno offerto la propria vita nel darne alla luce una nuova, insegna e, ancor oggi, illumina.
Occorre rifare la strada inversa percorsa dai seminatori dell’odio, della violenza, del materialismo e della dissacrazione.
Sono vari decenni che tale genia di persone, indisturbatamente seminano immoralità e droga per rovinare la famiglia e distaccare, col vizio, i cuori dalla Chiesa,
L’opera dell’evangelizzazione e della vera e totale promozione umana compiuta in tutta la sua estensione.
Gli ammalati, nella linea del Magistero Pontificio ci dicono come essa va intesa, mentre la parola di Giovanni Paolo II ne autentica la scelta, fatta fin dai primi momenti dell’affacciarsi di tale doveroso impegno.
Crescere in Cristo, sentirsi sicuri in una società che non delude, ma accompagna l’handicappato lungo il proprio umano e sofferto cammino, è la vera ed intima aspirazione di ogni sofferente che intenda non essere un vinto dal proprio impedimento.
Sac. Luigi Novarese
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