Ogni domenica un versetto poetico. Per andare oltre il visibile. Perché le parole trasformano il mondo.
A cura di Maria Teresa Neato
Nadia Anjuman è stata una poetessa e giornalista afgana nata nel 1980 e morta a Herat nel 2005, a causa delle ferite causate dal marito Farid Anjuman. È stata uccisa dal marito e dai suoi familiari, che ritenevano che la pubblicazione di un suo libro di poesie “disonorasse” la famiglia.
Non ho voglia di aprire la bocca
di che cosa devo parlare?
che voglia o no, sono un’emarginata
come posso parlare del miele se porto il veleno in gola?
Per cosa devo piangere, per cosa ridere,
Per cosa cosa morire, per cosa vivere?
io, in un angolo della prigione
lutto e rimpianto
io, nata invano con tutto l’amore in bocca.
Lo so, mio cuore, c’è stata la primavera e tempi di gioia
con le ali spezzate non posso volare
da tempo sto in silenzio, ma le canzoni non ho dimenticato
anche se il cuore non può che parlare del lutto
nella speranza di spezzare la gabbia, un giorno
libera da umiliazioni ed ebbra di canti
non sono il fragile pioppo che trema nell’aria
sono una figlia afgana, con il diritto di urlare.
Commento
Le donne afgane, ora… possono solo gridare col loro silenzio, con la loro vita ed i loro volti “ingabbiati” nei burka.
Come, quanto stridono i versi di questa donna-martire… a confronto dei nostri quasi osceni, sboccati bla bla gossipari, pseudoelettorali, superficiali… Ormai purtroppo incapaci di dire l’essenza dell’Amore, della Bellezza, della Dignità umana! Per abuso di parole. E di liberta: sprecata, calpestata da noi stessi, per l’insipienza che ci viene dal non conoscerne e non “com-prenderne” più l’indicibile ed impagabile valore!
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