Francesco presiede la Messa a Trieste a conclusione della 50.ma Settimana Sociale dei Cattolici in Italia: “Dio si nasconde negli angoli scuri della vita e delle nostre città. L’infinito di Dio si cela nella miseria umana”. Forte l’appello ad impegnarsi insieme per una nuova civiltà di pace e fraternità
Di fronte alle sfide sociali e politiche che ci interpellano c’è bisogno dello scandalo della fede. È l’appello pronunciato da Francesco durante la Messa presieduta in Piazza Unità d’Italia a Trieste a conclusione della 50.ma Settimana Sociale dei Cattolici e concelebrata da 98 presuli e 260 sacerdoti. Presenti circa 8500 fedeli. Con loro anche vescovi e pastori delle chiese serbo-ortodossa, greco-ortodossa e luterana.
La fede che mette il dito nelle piaghe della società
Non abbiamo bisogno di una religiosità chiusa in sé stessa, che alza lo sguardo fino al cielo senza preoccuparsi di quanto succede sulla terra, ammonisce, ma di una fede radicata nel Dio fatto uomo, che entra nella storia e risana i cuori spezzati:
È una fede che sveglia le coscienze dal torpore, che mette il dito nelle piaghe della società, che suscita domande sul futuro dell’uomo e della storia; è una fede inquieta, che ci aiuta a vincere la mediocrità e l’accidia del cuore, che diventa una spina nella carne di una società spesso anestetizzata e stordita dal consumismo. É, soprattutto, una fede che spiazza i calcoli dell’egoismo umano, che denuncia il male, che punta il dito contro le ingiustizie, che disturba le trame di chi, all’ombra del potere, gioca sulla pelle dei deboli. Quanti usano la fede per sfruttare la gente? Quella non è fede.
Consumismo, cancro del cuore
Il Papa, interrotto da numerosi applausi, chiede scusa a chi lo ascolta quando la potenza dei raggi del sole gli impedisce di leggere speditamente il testo dell’omelia preparata e chiede: “Avete pensato se il consumismo, quell’ansia di sprecare e avere di più, è entrato nel vostro cuore? Il consumismo – prosegue – è una piaga, un cancro che ammala il cuore”, rende egoista e fa guardare solo a sè stessi.
La profezia della ferialità
Il Santo Padre si sofferma sulle letture proposte dalla liturgia odierna ed esorta ciascuno ad imitare Gesù che “ha vissuto nella propria carne la profezia della ferialità, entrando nella vita e nelle storie quotidiane del popolo”. Tra i suoi compaesani a Nazaret Egli, come i profeti, viene rifiutato, diviene una pietra di inciampo, motivo di scandalo. “Lo scandalo che impedisce a queste persone di riconoscere la presenza di Dio in Gesù è il fatto che Egli è umano”, si è fatto debole “fino a venire nella carne e abbassarsi a lavare i piedi dei discepoli”, ha spiegato il Papa:
Fratelli e sorelle, questo è lo scandalo: una fede fondata su un Dio umano, che si abbassa verso l’umanità, che di essa di prende cura, che si commuove per le nostre ferite, che prende su di se le nostre stanchezze, che si spezza come pane per noi. Un Dio forte e potente, che sta dalla mia parte e mi soddisfa in tutto è attraente; un Dio debole, che muore sulla croce per amore e chiede anche a me di vincere ogni egoismo e offrire la vita per la salvezza del mondo, è un Dio scomodo.
Lo scandalo del Dio fatto uomo
Gesù è stato motivo di scandalo, prosegue il Pontefice, perché “è rimasto fedele alla sua missione, non si è nascosto dietro l’ambiguità, non è sceso a patti con le logiche del potere politico e religioso. Della sua vita ha fatto un’offerta d’amore al Padre”.
L’infinito di Dio nella miseria umana
Un esempio per ogni cristiano, chiamato a testimoniare il Regno di Dio in ogni luogo di vita, anche in quelli oscuri, descritti da Umberto Saba nella poesia “Città vecchia”, citata dal Vescovo di Roma:
Non dimentichiamolo: Dio si nasconde negli angoli scuri della vita e delle nostre città, la sua presenza si svela proprio nei volti scavati dalla sofferenza e laddove sembra trionfare il degrado. L’infinito di Dio si cela nella miseria umana, il Signore si agita e si rende presenza amica proprio nella carne ferita degli ultimi, dei dimenticati e degli scartati.
Vivere come fratelli tutti
Non per le piccole cose, ma per il male che dilaga, per la vita umiliata, per le problematiche del lavoro, le sofferenze dei migranti, le ingiustizie, la condizione dei carcerati, per tutte “le situazioni in cui la vita viene abbrutita, ferita e uccisa” e che non vogliamo guardare perchè “abbiamo paura di trovare Cristo”: per questo, dovremmo scandalizzarci secondo Francesco, che da Trieste, crocevia europeo di popoli e culture, esorta tutti a credere in una nuova civiltà fondata su pace e fraternità:
A questa Chiesa triestina vorrei dire: avanti! Continuate a impegnarvi in prima linea per diffondere il Vangelo della speranza, specialmente verso coloro che arrivano dalla rotta balcanica e verso tutti coloro che, nel corpo o nello spirito, hanno bisogno di essere incoraggiati e consolati. Impegniamoci insieme: perché riscoprendoci amati dal Padre possiamo vivere come fratelli tutti. Tutti fratelli con quel sorriso dell’accoglienza e della pace dell’anima.
Nella consapevolezza di essere un’unica famiglia, la “famiglia di Dio”, il vescovo di Trieste Enrico Trevisi ha rivolto al Papa il suo saluto: “Hvala”. Perché “Dio parla e capisce tutte le lingue”. “Siamo una famiglia, una città che si è costruita attraverso l’apporto di tante culture e di tanti popoli ma anche di tante sofferenze e violenze: e noi vogliamo raccogliere la sfida di essere un laboratorio di pace e di dialogo anche per altre terre che ancora sono attraversate da tensioni e guerre”, ha detto il presule ricordando l’esempio di tre martiri: l’italiano Francesco Bonifacio, il croato Mirolslav Bulešić, lo sloveno Lojze Grozdè. Il vescovo ha donato al Pontefice una riproduzione della Madonna della salute tanto cara ai triestini, affidandogli la benedizione per gli ultimi, i malati, gli emarginati, i migranti, i carcerati e le carcerate che – ha ricordato – “hanno contribuito a realizzare i due mosaici” dell’altare.
Francesco ha ringraziato monsignor Trevisi per aver non solo presentato la realtà della sua diocesi, ma anche per aver chiamato per nome i tanti fedeli che la costituiscono.
Ho voluto ringraziare l’Arcivescovo, per tante cose, ma soprattutto per una: che non ha “parlato” dei malati … Li ha nominati! Li conosce per nome! E questo è un esempio, perché la carità è concreta, l’amore è concreto. Ogni persona, sana o malata, grande o piccola, ogni persona ha una dignità. La dignità si fa vedere con il nome e lui conosce il nome. Molto bello.
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