Papa Francesco ai partecipanti al convegno «Riparare l’irreparabile» nel 350° delle apparizioni di Gesù a Paray-le-Monial

«Quante lacrime scendono ancora sulle guance di Dio, mentre il nostro mondo sperimenta tanti abusi contro la dignità della persona, anche all’interno del Popolo di Dio!». Lo ha detto il Pontefice ai partecipanti al convegno «Riparare l’irreparabile» promosso nel 350° delle apparizioni di Gesù a Paray-le-Monial. Ricevendoli in udienza nella mattina di oggi, sabato 4 maggio, nella Sala Clementina, il Papa ha pronunciato il seguente discorso.

Cari fratelli e sorelle!

Sono contento di accogliervi e vi do il mio cordiale benvenuto. Ringrazio Monsignor Benoît Rivière e Padre Louis Dupont per aver preso l’iniziativa di questo incontro, nel quadro della celebrazione del 350° anniversario delle apparizioni di Gesù a Santa Margherita Maria.

La riparazione è un concetto che troviamo spesso nelle Sacre Scritture. Nell’Antico Testamento essa assume una dimensione sociale di compensazione del male commesso. È il caso della legge mosaica che prevedeva la restituzione di ciò che era stato rubato o la riparazione del danno causato (cfr. Es 22, 1-15; Lv 6, 1-7). Si trattava di un atto di giustizia volto a salvaguardare la vita sociale. Nel Nuovo Testamento, invece, essa si configura come un processo spirituale, nel quadro della redenzione operata da Cristo. La riparazione si manifesta pienamente nel sacrificio della Croce. La novità qui è che essa rivela la misericordia del Signore verso il peccatore. La riparazione contribuisce quindi alla riconciliazione degli uomini tra loro, ma anche alla riconciliazione con Dio, perché il male commesso contro il prossimo è anche un’offesa a Dio. Come dice Ben Sirac il Saggio, “le lacrime della vedova non scendono forse sulle guance di Dio?” (cfr. Sir 35, 18). Cari amici, quante lacrime scendono ancora sulle guance di Dio, mentre il nostro mondo sperimenta tanti abusi contro la dignità della persona, anche all’interno del Popolo di Dio!

Il titolo del vostro convegno mette insieme due espressioni opposte: “Riparare l’irreparabile”. In questo modo ci invita a sperare che ogni ferita possa essere guarita, anche se è profonda. La riparazione completa a volte sembra impossibile, quando beni o persone care vengono persi definitivamente o quando certe situazioni sono diventate irreversibili. Ma l’intenzione di riparare e di farlo concretamente è essenziale per il processo di riconciliazione e il ritorno della pace nel cuore.

La riparazione, per essere cristiana, per toccare il cuore della persona offesa e non essere un semplice atto di giustizia commutativa, presuppone due atteggiamenti impegnativi: riconoscersi colpevole e chiedere perdono.

Riconoscersi colpevole. Qualsiasi riparazione, umana o spirituale, inizia con il riconoscimento del proprio peccato. «Accusarsi fa parte della saggezza cristiana, questo piace al Signore, perché il Signore accoglie il cuore contrito» (Omelia nella Messa a S. Marta, 6 marzo 2018). È da questo onesto riconoscimento del male arrecato al fratello, e dal sentimento profondo e sincero che l’amore è stato ferito, che nasce il desiderio di riparare.

Chiedere perdono. È la confessione del male commesso, sull’esempio del figlio prodigo che dice al Padre: «Ho peccato contro il cielo e contro di te» (Lc 15, 21). Chiedere perdono riapre il dialogo e manifesta la volontà di ristabilire il legame nella carità fraterna. E la riparazione — anche un inizio di riparazione o già semplicemente la volontà di riparare — garantisce l’autenticità della richiesta di perdono, manifesta la sua profondità, la sua sincerità, tocca il cuore del fratello, lo consola e suscita in lui l’accoglienza del perdono richiesto. Quindi, se l’irreparabile non può essere completamente riparato, l’amore può sempre rinascere, rendendo sopportabile la ferita.

Gesù chiese a Santa Margherita Maria atti di riparazione per le offese causate dai peccati degli uomini. Se questi atti hanno consolato il suo cuore, ciò significa che la riparazione può consolare anche il cuore di ogni persona ferita. Possano i lavori del vostro convegno rinnovare e approfondire il significato di questa bella pratica della riparazione al Sacro Cuore di Gesù, pratica che oggi può essere un po’ dimenticata o a torto giudicata desueta. E possano anche contribuire a valorizzarne il giusto posto nel cammino penitenziale di ciascun battezzato nella Chiesa.

Prego perché il vostro Giubileo del Sacro Cuore susciti in tanti pellegrini un più grande amore di gratitudine verso Gesù, un più grande affetto; e perché il santuario di Paray-le-Monial sia sempre luogo di consolazione e di misericordia per ogni persona in cerca di pace interiore. Vi do la mia Benedizione. E vi chiedo, per favore, di pregare per me. Grazie!

 

Il Beato Novarese parla della devozione al Sacro Cuore di Gesù

Chi è stato, anche una sola volta a Paray Le Monial, non dimentica più la dolce ed intima attrattiva che lo pervade, quando sosta dinanzi all’altare del SS.mo Sacramento, prospiciente a quella grata dinanzi alla quale, per ore ed ore, l’umile serva del Cuore ineffabile di Gesù stava in adorazione.

Sentimentalismi? Oppure, forse, con più esattezza, attrattiva specifica che si prova in determinati Santuari, allorché vi si accorre con precise intenzioni soprannaturali?

L’attrattiva della SS.ma Eucarestia, del resto, non è un sentimentalismo.

Sappiamo i tempi senza misura trascorsi dinanzi ad Essa dall’Eymard, dal Curato d’Ars, dal Cottolengo e, in un solo accenno, da tutti i Santi e da quanti con serietà hanno compreso il dono che il Cristo ci ha fatto, giunto nel punto di lasciare questo mondo.

Il Cuore di Gesù ci manifestava un aspetto della sua vita: il Suo amore, la Sua vita di unione col Padre e di continua ed amorosa tensione verso di noi.

La conoscenza di tale vita intima non è, né mai lo potrà diventare una conoscenza fredda, speculativa, che vive a se stante, come una realtà al di fuori di noi.

Tale intimità di vita mira a divenire l’anima della nostra vita interiore, introducendoci nelle insondabili realtà della carità, speculativa e pratica, del Cuore dolcissimo di Nostro Signore. Soltanto vivendo ed approfondendo tale intimità col Cristo, diventano possibili tanto l’impegno vocazionale e costruttivo del Corpo Mistico, quanto la preghiera comunitaria e la stessa partecipazione alla celebrazione Eucaristica.

Vivere ed approfondire l’intimità col Cuore di Gesù è compito specifico di ogni sacerdote, proprio perché, impegnato ad essere «alter Christus»; ed «alter Christus» lo sarà soltanto in base alla trasformazione in Lui, che egli nella propria vita sacerdotale avrà realizzato.

E questo non è soltanto assaporare le dolcezze dell’intimità del Cuore dell’Uomo-Dio, ma è pure morte a se stessi, a cui inesorabilmente siamo impegnati; come è pure apertura ed amore verso i fratelli, comprendendo sul confronto col Cuore di Cristo, fino a che punto noi li dobbiamo amare.

Possa questo Il Centenario rianimare il cuore sacerdotale di molti, spingendoli a trovare nel Maestro divino la via ed il mezzo per un’efficace ripresa, che la Chiesa ed il popolo di Dio con fiducia attendono.

 

[Beato Luigi Novarese, L’Ancora, n. 7, luglio 1972]