1Quando Israele era fanciullo,
io l’ho amato
e dall’Egitto ho chiamato mio figlio.
2Ma più li chiamavo,
più si allontanavano da me;
immolavano vittime ai Baal,
agli idoli bruciavano incensi.
3A Èfraim io insegnavo a camminare
tenendolo per mano,
ma essi non compresero
che avevo cura di loro.
4Io li traevo con legami di bontà,
con vincoli d’amore,
ero per loro
come chi solleva un bimbo alla sua guancia,
mi chinavo su di lui
per dargli da mangiare.
5Non ritornerà al paese d’Egitto,
ma Assur sarà il suo re,
perché non hanno voluto convertirsi.
6La spada farà strage nelle loro città,
spaccherà la spranga di difesa,
l’annienterà al di là dei loro progetti.

 

Una miscela di raffinato amore e di minacciose prospettive costituisce il brano oggetto della nostra riflessione. Una combinazione all’apparenza difficile e quasi impossibile, eppure appare subito come lo specchio di tante situazioni della vita. Sarebbe bello avere tutto sotto controllo, godere di una buona salute, essere in serena relazione con tutti, sentirsi appagati economicamente e professionalmente, insomma, sognare un cielo sempre azzurro e sereno sopra e soprattutto dentro di noi. Purtroppo, sappiamo che una simile combinazione si trova solo nel racconto delle fiabe. La realtà quotidiana, non priva di tanti elementi positivi e perfino esaltanti, conosce anche momenti bruschi con rallentamenti, cadute, delusioni con tutto il loro corredo di negatività.

A questo punto del libro il lettore conosce bene la situazione matrimoniale di Osea e i rinnovati sforzi per riportare l’inquieta moglie nell’alveo di una sana moralità. Il discorso era transitato verso il popolo e proprio a questi si rivolge ora il profeta con il suo accorato appello. La partenza è incandescente con il richiamo a quello che noi chiameremmo “il primo amore”, quello che non si scorda mai. C’è stata, all’inizio, una scintilla che ha causato l’incendio dell’amore tra Dio e il suo popolo e tale scintilla si chiama Esodo, la liberazione degli ebrei schiavi in Egitto ad opera del loro Dio. Qualche autore sostiene che la Bibbia inizi a Esodo 1 e non a Genesi 1, non per negare un dato oggettivo e incontrovertibile accettato da tutti, bensì per sottolineare che il primo incontro con Dio avvenne per il popolo al momento della liberazione, la pasqua ebraica, proprio come per noi cristiani il punto di partenza è la morte/risurrezione di Gesù, la nostra pasqua. Da quel primitivo big bang teologico e spirituale si risale agli inizi che sono, per gli ebrei, la creazione del mondo e la chiamata di Abramo, per noi la nascita di Cristo e la sua opera apostolica fatta di annuncio e di miracoli. Dovremmo sempre risalire e aver presente l’elemento sorgivo, ripercorrere l’album di famiglia per sapere che, se ora siamo a questo punto, è perché c’è stato un primo amore, quella famosa scintilla che ha originato tutto. «Quando Israele era fanciullo, io l’ho amato e dall’Egitto ho chiamato mio figlio» richiama la condizione servile di un gruppo di emigrati che vivono da schiavi in terra straniera, privi ancora di una vera coscienza nazionale. Sebbene già legati all’alleanza con Dio per via di Abramo venuto alcuni secoli prima, non ne sono coscienti e soprattutto non vivono tale alleanza, per ora ancora “sulla carta”. Sperimentando un Dio liberatore e salvatore, un Dio che propone al Sinai le Dieci Parole per mezzo di Mosè, che garantisce vicinanza e assistenza, allora inizia un vero rapporto di amore. Da notare che il movimento di amore è prima di tutto da Dio verso il popolo e solo in un secondo tempo, e anche molto più raramente, dal popolo verso Dio. Infatti, il verbo ebraico ‘hb che traduciamo con “amare” ebbe dapprima solo Dio come soggetto e solo in un secondo tempo l’uomo o il popolo e, comunque, sempre statisticamente in minoranza.

Tale stupenda rivelazione – Dio ama il suo popolo e se ne prende cura – è subito annebbiata con la frase successiva che rivela l’ottusa ingratitudine della risposta: «Ma più li chiamavo, più si allontanavano da me; immolavano vittime ai Baal, agli idoli bruciavano incensi»: ecco il contenuto della “prostituzione” di cui si è parlato a lungo nei capitoli precedenti. Insomma, è il tradimento di un amore. Il discorso continua con queste note di chiaroscuro, il chiaro degli interventi divini e lo scuro della risposta umana. A espressioni di toccante bellezza, che grondano tenerezza e umanità, facilmente immaginabili perché patrimonio di ogni famiglia dove regna l’amore «A Efraim io insegnavo a camminare tenendoli iper mano… li traevo con legami di bontà… ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia» fa da contrappunto negativo la durezza di cuore e l’insensibilità dei beneficiati: «ma essi non compresero che avevo cura di loro». Un dramma che ha del surreale, eppure tristemente e tragicamente vero. perché ritrae perfettamente quello che succede ogni volta che con il nostro peccato buttiamo via e disprezziamo l’amore divino.

Efraim, una delle dodici tribù di Israele, impersona tutto il popolo, come succede tante volte con la tribù di Giuda. Altre volte è Sion, propriamente un monte di Gerusalemme, a simboleggiare tutto il popolo. Il messaggio ha, quindi, valore universale, rivolto a tutto il popolo e oggi indirizzato anche noi, popolo della nuova alleanza.

Non sorprende che dopo tanta indifferenza, anzi, aperto rifiuto dell’amore divino per seguire amori più facili e compiacenti, ci sia l’abbandono nelle mani di un oppressore e dominatore che può essere l’Egitto o l’Assiria.

Il nostro brano termina qui, ma la storia continua e avrà un esito felice. Come suggerisce il titolo Vincoli d’amore non possiamo immaginare che Dio abbandoni il suo popolo sebbene ribelle e ostinato, perché il suo amore misericordioso e longanime avrà la meglio anche sui cuori più induriti e riottosi. Dobbiamo confermare che il bene vince sempre, anche se deve passare nel tunnel stretto e oscuro di sofferenza e morte. Insomma, il mistero pasquale si ripropone sempre e ha la sua garanzia nella parola divina di Gesù: «Io ho vinto il mondo» (Gv 16,33).