PREGHIERE E RIFLESSIONI SULLA PACE
“Con gli occhi del nemico” – David Grossman
Vivere in una regione disgraziata significa, prima di tutto, essere contratti, tanto fisicamente quanto mentalmente. I muscoli del corpo e della psiche sono tesi, sempre un po’ contratti, pronti ad assorbire il colpo ma anche a balzare via in fuga. Chiunque viva in una situazione del genere lo sa bene: non solo il corpo, anche la psiche si concentra, si prepara per il boato della prossima esplosione o per la prossima edizione del notiziario. «Colui che ride probabilmente non ha ancora ricevuto la terribile notizia» ha scritto Bertolt Brecht – anche lui esperto cittadino di una regione disgraziata – nella poesia A quelli nati dopo di noi. Già, quando vivi in una zona di tragica emergenza, scopri che sei sempre sul chivalà. Sei sempre pronto e teso con tutto te stesso al dolore che verrà, al prossimo scoramento. Difficile dire quando comincia esattamente la crudele metamorfosi: da quando, insomma, non ha più senso chiedersi se il dolore e lo scoramento verranno o meno, visto che comunque ci sei già dentro anche se tutto per il momento rimane ancora nell’ambito del possibile. In sostanza, tu già crei tutto dentro di te. Stabilisci ormai una normalità di vita già tutta impregnata di disperazione, a causa della perenne paura di questa disperazione. E non ti accorgi nemmeno più quanto la tua vita, come quella di tutti gli altri, scorra per lo più dentro la paura della paura, quanto il terrore distorca ormai il tuo carattere, quanto ti rubi la gioia di vivere e il senso della vita. […] Scrivere del nemico significa prima di tutto pensare al nemico. Cosa cui è ovviamente tenuto chiunque abbia un nemico, anche se si ha perfettamente chiaro di essere dalla parte della ragione, anche se si è sicuri della cattiveria, della crudeltà e dell’errore di quel nemico. Pensare (o scrivere) il nemico non significa in alcun modo giustificarlo. Non posso nemmeno immaginare, per esempio, di scrivere sul personaggio di un nazista e trovarmi a giustificarlo, benché abbia sentito l’impulso – persino il dovere – di mettere in Vedi alla voce: amore un ufficiale nazista, per poter capire come un uomo comune e normale abbia potuto trasformarsi in un nazista, giustificare a se stesso quel che fa e quel che passa, facendo ciò che fa. Pensare il nemico, dunque. Pensarlo con rispetto e profonda attenzione. Non solo odiarlo o temerlo. Pensarlo come una persona, una società o un popolo, distinti da noi e dalle nostre paure, dalle nostre speranze, dalle nostre fedi e prospettive, dai nostri interessi e dalle nostre ferite. Permettere al nemico di essere «prossimo» — foss’anche per un solo momento — con tutto ciò che questo comporta. Potrebbe risultare utile anche dal punto di vista della condotta bellica, dell’acquisizione di informazioni essenziali, questo principio del «conoscere il nemico dall’interno», ma può servirci anche per cambiare la realtà, cosicché questo nemico cessi gradualmente di essere tale per noi. Voglio chiarire che non sto affatto invitando ad «amare il nemico». A tale proposito non posso dire di essere stato dotato di una così nobile longanimità (che considero sempre un po’ sospetta, peraltro, quando mi capita di incontrarla negli altri). Per parte mia, intendo unicamente lo sforzo di tentare di capire il nemico, i suoi impulsi, la sua logica interiore, la sua visione del mondo, la storia che narra a se stesso. Ovviamente non è una cosa facile né semplice quella di leggere la realtà attraverso gli occhi del nemico. È spaventosamente difficile rinunciare ai nostri sofisticati meccanismi di difesa, esporci ai sentimenti vissuti dal nemico nel conflitto con noi, nella lotta contro di noi, a ciò che prova nei nostri confronti. È un’ardua sfida alla nostra fiducia in noi stessi e nelle nostre ragioni. Contiene il rischio di sconvolgere la «versione ufficiale», che è per lo più anche l’unica lecita, «legittima», che un popolo disorientato, un popolo in guerra, racconta costantemente a se stesso.
I bambini giocano
I bambini giocano alla guerra. E’ raro che giochino alla pace perché gli adulti da sempre fanno la guerra, tu fai “pum” e ridi; il soldato spara e un altro uomo non ride più. E’ la guerra. C’è un altro gioco da inventare: far sorridere il mondo, non farlo piangere. Pace vuol dire che non a tutti piace lo stesso gioco, che i tuoi giocattoli piacciono anche agli altri bimbi che spesso non ne hanno, perché ne hai troppi tu; che i disegni degli altri bambini non sono dei pasticci; che la tua mamma non è solo tutta tua; che tutti i bambini sono tuoi amici. E pace è ancora non avere fame non avere freddo non avere paura.
“Uno, nessuno e centomila” – Luigi Pirandello
Siamo molto superficiali, io e voi. Non andiamo ben addentro allo scherzo, che è più profondo e radicale, cari miei. E consiste in questo: che l’essere agisce necessariamente per forme, che sono le apparenze ch’esso si crea, e a cui noi diamo valore di realtà. Un valore che cangia, naturalmente, secondo l’essere in quella forma e in quell’atto ci appare. E ci deve sembrare per forza che gli altri hanno sbagliato; che una data forma, un dato atto non è questo e non è così. Ma inevitabilmente, poco dopo, se ci spostiamo d’un punto, ci accorgiamo che abbiamo sbagliato anche noi, e che non è questo e non è così; sicché alla fine siamo costretti a riconoscere che non sarà mai né questo né così in nessun modo stabile e sicuro; ma ora in un modo ora in un altro, che tutti a un certo punto ci parranno sbagliati, o tutti veri, che è lo stesso.
La pace verrà – Charles de Foucauld
Se tu credi che un sorriso è più forte di un’arma, Se tu credi alla forza di una mano tesa, Se tu credi che ciò che riunisce gli uomini è più importante di ciò che li divide, Se tu credi che essere diversi è una ricchezza e non un pericolo, Se tu sai scegliere tra la speranza o il timore, Se tu pensi che sei tu che devi fare il primo passo piuttosto che l’altro, allora… La pace verrà. Se lo sguardo di un bambino disarma ancora il tuo cuore, Se tu sai gioire della gioia del tuo vicino, Se l’ingiustizia che colpisce gli altri ti rivolta come quella che subisci tu, Se per te lo straniero che incontri è un fratello, Se tu sai donare gratuitamente un po’ del tuo tempo per amore, Se tu sai accettare che un altro, ti renda un servizio, Se tu dividi il tuo pane e sai aggiungere ad esso un pezzo del tuo cuore, allora… La pace verrà. Se tu credi che il perdono ha più valore della vendetta, Se tu sai cantare la gioia degli altri e dividere la loro allegria, Se tu sai accogliere il misero che ti fa perdere tempo e guardarlo con dolcezza, Se tu sai accogliere e accettare un fare diverso dal tuo, Se tu credi che la pace è possibile, allora… La pace verrà.
Carlo Maria Martini
Potremmo dire che sulla parola “pace” non c’è pace, perché lungo i secoli della storia e ancora oggi essa viene intesa in maniere molto diverse, spesso restrittive. L’antichità classica considerava la pace semplicemente come una tregua tra due guerre, costituendo le guerre una condizione quasi permanente dell’umanità. Oppure si può pensare a una pace imposta con la forza delle armi, con la conquista, come avveniva al tempo dei romani. Nella versione più moderna, c’è la pace sicurezza, che è il risultato dell’equilibrio del terrore, delle forze che potrebbero annientarci e che, quindi, potenzialmente si elidono. Nei suoi significati più profondi, la pace significa armonia: armonia dell’uomo con Dio, dell’uomo con il suo prossimo e dell’uomo con la terra. Questa è la visione biblica armonica dei primi capitoli del libro della Genesi. E, ancora, c’è la pace-comunione: comunione profonda di amore di Dio con l’uomo e degli uomini tra loro, che è la pace portata da Gesù. La pace, dunque, è composta di tanti elementi, ha il suo culmine nella pace-comunione e tuttavia non trascura le altre realtà e le altre situazioni terrene. Proprio per questo, è necessario continuamente ripensarla, riproporla nei termini attuali, affinché non sia una semplice astrazione, una semplice ideologia.
Preghiera per la Pace
Quale gioia, quando mi dissero: «Andremo alla casa del Signore». E ora i nostri piedi si fermano alle tue porte, Gerusalemme! Gerusalemme è costruita come città salda e compatta. Là salgono insieme le tribù, le tribù del Signore, secondo la legge di Israele, per lodare il nome del Signore. Là sono posti i seggi del giudizio, i seggi della casa di Davide. Domandate pace per Gerusalemme: sia pace a coloro che ti amano, sia pace sulle tue mura, sicurezza nei tuoi baluardi. Per i miei fratelli e i miei amici io dirò: «Su di te sia pace!». Per la casa del Signore nostro Dio, chiederò per te il bene.
Preghiera di San Giovanni Paolo II
Dio dei nostri Padri, grande e misericordioso, Signore della pace e della vita, Padre di tutti. Tu hai progetti di pace e non di afflizione, condanni le guerre e abbatti l’orgoglio dei violenti. Tu hai inviato il tuo Figlio Gesù ad annunziare la pace ai vicini e ai lontani, a riunire gli uomini di ogni razza e di ogni stirpe in una sola famiglia. Ascolta il grido unanime dei tuoi figli, supplica accorata di tutta l’umanità: mai più la guerra, spirale di lutti e di violenza; minaccia per le tue creature in cielo, in terra e in mare. In comunione con Maria, la Madre di Gesù, ancora ti supplichiamo: parla ai cuori dei responsabili delle sorti dei popoli, ferma la logica della ritorsione e della vendetta, suggerisci con il tuo Spirito soluzioni nuove, gesti generosi ed onorevoli, spazi di dialogo e di paziente attesa più fecondi delle affrettate scadenze della guerra. Concedi al nostro tempo giorni di pace. Mai più la guerra.
Preghiera di Papa Francesco
Ora, Signore, aiutaci Tu! Donaci Tu la pace, insegnaci Tu la pace, guidaci Tu verso la pace. Apri i nostri occhi e i nostri cuori e donaci il coraggio di dire: “mai più la guerra!”; “con la guerra tutto è distrutto!”.
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