Un breve commento al Messaggio del Papa per la Quaresima
Si apre il cammino quaresimale, che è già cammino pasquale. Sentieri interiori sono tracciati, scavati ed educati dal digiuno, la preghiera, e l’elemosina.
Potrebbero sembrare realtà poco attraenti. Il Papa sceglie di riproporceli in profondità nel suo Messaggio per il tempo forte della Quaresima.
“Il digiuno, la preghiera e l’elemosina, come vengono presentati da Gesù nella sua predicazione, sono le condizioni e l’espressione della nostra conversione. La via della povertà e della privazione (il digiuno), lo sguardo e i gesti d’amore per l’uomo ferito (l’elemosina) e il dialogo filiale con il Padre (la preghiera) ci permettono di incarnare una fede sincera, una speranza viva e una carità operosa”.
Sono vie esigenti perché Cristo è via esigente. E lo è anche la Verità che “è Cristo stesso”.
Il Papa dedica alcuni pensieri per spiegare il vero significato del digiuno: “vissuto come esperienza di privazione porta quanti lo vivono in semplicità di cuore a riscoprire il dono di Dio e a comprendere la nostra realtà di creature a sua immagine e somiglianza, che in Lui trovano compimento. Facendo esperienza di una povertà accettata, chi digiuna si fa povero con i poveri e “accumula” la ricchezza dell’amore ricevuto e condiviso”.
Ed ecco la bella conseguenza di questa pratica che è interiore e spirituale, non solo materiale: “digiunare vuol dire liberare la nostra esistenza da quanto la ingombra, per aprire le porte del nostro cuore a Colui che viene a noi povero di tutto, ma «pieno di grazia e di verità»: il Figlio del Dio Salvatore”.
L’altro aspetto che Francesco evidenzia è la speranza, consapevole di quanto sia difficile parlarne nel contesto contemporaneo. “Tutto sembra fragile e incerto e parlare di speranza potrebbe sembrare una provocazione. Ma il tempo di Quaresima è fatto per sperare”. E invita a stare “più attenti a dire parole di incoraggiamento, che confortano, che danno forza, che consolano, che stimolano, invece di parole che umiliano, che rattristano, che irritano, che disprezzano» (Enc. Fratelli tutti [FT], 223). A volte, per dare speranza, basta essere «una persona gentile, che mette da parte le sue preoccupazioni e le sue urgenze per prestare attenzione, per regalare un sorriso, per dire una parola di stimolo, per rendere possibile uno spazio di ascolto in mezzo a tanta indifferenza» (ibid., 224)”.
E infine, l’amore: “che dà senso alla nostra vita e grazie al quale consideriamo chi versa nella privazione quale membro della nostra stessa famiglia, amico, fratello. Il poco, se condiviso con amore, non finisce mai, ma si trasforma in riserva di vita e di felicità”.
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