Il 20 luglio al santuario della Beata Vergine del Trompone di Moncrivello i Silenziosi Operai della Croce hanno celebrato la memoria liturgica del loro padre fondatore.
«Siamo qui oggi a celebrare una persona che, partendo dall’esperienza della sua malattia, ha saputo far della propria vita un insegnamento per tutti noi». Ha esordito così don Giovan Giuseppe Torre, sacerdote dei Silenziosi Operai della Croce e rettore del santuario della Beata Vergine del Trompone di Moncrivello, giovedì 20 luglio, durante la santa messa per celebrare la memoria liturgica del beato Luigi Novarese.
Una data importante per tantissimi ammalati, quella del 20 luglio, durante la quale si sono svolte celebrazioni eucaristiche, incontri e commemorazioni in numerose diocesi dal Nord al Sud Italia e nei centri delle comunità dei Silenziosi Operai della Croce presenti in Polonia, Portogallo, Israele, Colombia e Camerun che hanno ricordato le parole dell’allora Segretario di Stato Vaticano Tarcisio Bertone pronunciate l’11 maggio di quattro anni fa, nella basilica di San Paolo fuori le Mura di Roma: «Concediamo che il Venerabile Servo di Dio Luigi Novarese, d’ora in poi sia chiamato Beato e che si possa celebrare la sua festa ogni anno il 20 luglio, giorno in cui è nato al Cielo».
Don Torre durante l’omelia si è rivolto ai ragazzi dell’oratorio “EmmeTiVi”, delle parrocchie di Tonengo, Mazzè e Villareggia, diocesi di Ivrea, accompagnati da don Alberto Carlevato, per spiegare l’importanza di Novarese ai giovani di oggi. Il sacerdote si è soffermato in modo particolare sulla vita del beato, colpito in giovane età dalla tubercolosi ossea, e il periodo trascorso nel Sanatorio Santa Corona di Pietraligure, (SV): «Nell’ospedale, il giovane Luigi si è messo a servizio degli altri, cercando di portare una parola gentile o un sorriso agli altri ammalati attraverso opere concrete, perché aveva capito che la sua via, come quella di ognuno di noi, anche se colpita dalla malattia e segnata dalla sofferenza, non è inutile». Il sacerdote ha proseguito spiegando la difficile decisione che Novarese dovette prendere dopo la guarigione dalla malattia «Come posso essere più utile agli ammalati?», si chiedeva il beato, «Devo fare il medico o il sacerdote?»; Novarese scelse di diventare sacerdote, capendo l’importanza della dimensione spirituale nel percorso di guarigione del sofferente.
Al termine della messa, concelebrata da don Bruno Capuano, direttore della Pastorale sanitaria della diocesi di Vercelli e da don Pietro Testa, don Torre ha ricordato il motivo per il quale il beato Novarese venga oggi indicato dalla chiesa universale come esempio da seguire: «Il nostro Padre fondatore ha insegnato che nessuno deve essere escluso perché diverso e che la vita di ciascuno di noi, anche quella dell’ammalato piegato dalla sofferenza, immobile su un lettino senza neanche la possibilità di parlare, ha un senso perché è l’immagine del Cristo in Croce».
Definito da san Giovanni Paolo II “L’apostolo degli ammalati”, monsignor Novarese fin dalla seconda metà degli anni Quaranta si prese cura dell’emarginazione dei disabili, fondò centri di assistenza, corsi professionali per i portatori di handicap, diede vita ad associazioni come il Centro Volontari della Sofferenza e i Silenziosi Operai della Croce. Organizzò convegni internazionali su temi religiosi e scientifici mettendo a confronto medici e malati, sottolineando in particolare l’importanza che la dimensione spirituale viene ad assumere nel rapporto fra l’infermo e la malattia. Dal maggio 1942 al maggio 1970 Novarese lavorò presso la Segreteria di Stato Vaticana al servizio di cinque pontefici che ne apprezzarono la spiritualità e il carisma: Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II. Nel 1970 lasciò la Segreteria di Stato e passò alle dipendenze della Cei dove si occupò di pastorale sanitaria. Concluso nel 1977 il lavoro alla Cei, si dedicò interamente alla sua opera. La salma del beato Novarese riposa ora in una cappella della chiesa di Santa Maria del Suffragio, in via Giulia 59 a Roma.
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